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"L'attribuzione della qualità di datore di lavoro è stabilita per legge "
fonte www.puntosicuro.it / Normativa
23/11/2012 - Pubblichiamo la prima
parte delle indicazioni e riflessioni dell’avvocato Rolando Dubini sul tema
dell’attribuzione della qualità di datore di lavoro. Attribuzione stabilita
per legge e, pertanto, non derogabile convenzionalmente. Con riferimento ai requisiti
della delega di funzioni e alla sentenza della
Cassazione Penale 19.10.2012, n. 41063.
1.
La tragica morte dell'operaio annegato in un condotto di areazione
La vicenda giudiziaria
trae origine dalla
tragica morte di un
operaio in uno dei cantieri più moderni
e tecnologici della città di Milano, a Porta Nuova, dove torri futuristiche
disegnano la nuova Milano, anche in vista dell'Expo.
L'operaio è precipitato,
il 26 maggio 2010, in quello che i media definirono un “pozzo” profondo trenta
metri, rimanendo intrappolato per cinque ore senza soccorsi. Morto nel buio,
probabilmente affogato, scrissero i giornali dell'epoca: il pozzo per buona
metà era pieno d'acqua. Alcuni operai hanno raccontato di aver visto il collega
per l'ultima volta prima delle 15 del giorno della tragedia. Poi, un paio d'ore
dopo, al momento dell'uscita, si sono resi conto del collega che mancava e
hanno iniziato a cercarlo. Alla fine hanno avvertito la polizia, quando erano
da poco passate le 19. Sono state le Volanti arrivate sul posto a capire, in
pochi minuti, che era necessario andare a cercare nel pozzo. Hanno chiamato i
sommozzatori dei vigili del fuoco. Il nucleo speciale dei pompieri (Saf) ha
recuperato il corpo dell'operaio dopo le 20.
L'operaio lavorava come
carpentiere per la ditta XXX s.n.c., specializzata in ferro e ferro battuto, una delle aziende
partner della general contractor YYY, e si recava saltuariamente nel cantiere
da circa un mese.
Milano Porta Nuova (tra
Garibaldi, Isola e Varesine) rappresentava nel 2010 da sola il 10 per cento del
volume delle costruzioni in Lombardia. Le indagini sull'incidente furono
affidate alla polizia e agli ispettori dell'Asl. Il pozzo, secondo i primi
elementi emersi all'epoca, si rivelò essere pozzo funzionale al condotto per
l'impianto di areazione, molto profondo (30 metri), parzialmente pieno d'acqua,
con un apertura di 50 centimetri. Il
cadavere dell'uomo era a una profondità di circa venti metri e, per riportarlo
in superficie, i vigili del fuoco che si sono calati all'interno hanno lavorato
più di due ore. E poi ci sono i tempi: l'allarme alla polizia scattato (secondo
le prime testimonianze) solo quattro ore dopo che l'uomo era stato visto per
l'ultima volta [1].
2.
La vicenda giudiziaria: la sentenza del 14 dicembre 2011 il G.U.P. del
Tribunale di Milano
La tragedia ha avuto
risvolti giudiziari che hanno riguardato più imputati. Qui ci occupiamo di
quella parte che riguarda essenzialmente uno solo degli imputati.
Con sentenza del 14.12.2011
il G.U.P. del Tribunale di Milano, all'esito dell'udienza preliminare, emetteva
sentenza di non luogo a procedere nei confronti del primo imputato e socio
amministratore della ditta XXX s.n.c. in relazione al delitto di omicidio
colposo di cui all'articolo 589 del codice penale aggravato dalla violazione
delle norme di prevenzione infortuni in danno dell'operaio AAAA.
Al primo imputato e socio
amministratore della XXX s.n.c. e ad altri imputati, “
era stato addebitato che, con
condotte
indipendenti e causalmente rilevanti nella produzione dell'evento,
operando, mediante le rispettive imprese, presso il cantiere edile per la
costruzione di edificio multipiano polifunzionale, sito in Milano via (zona
Porta Nuova) avevano determinato la morte di AAAA”
, dipendente della XXX s.n.c, “
per annegamento, con colpa consistita in
negligenza, imprudenza, imperizia ed inosservanza di norme sulla prevenzione
degli infortuni sul lavoro”; in particolare, relativamente al primo
imputato e socio amministratore della XXX s.n.c. ed al secondo imputato e socio amministratore
della XXX s.n.c.,
nella loro qualità di
soci amministratori della soc. XXX
e“
quindi
di datori di lavoro”, operando come subappaltatori (della YYY s.r.l.)
per la fornitura e posa di materiale metallico (in particolare posa di angolari
eseguiti a misura e chiusini in ghisa per la chiusura delle camere dei pozzi di
emungimento funzionali all'impianto di climatizzazione degli edifici in
costruzione), “
avevano omesso di prendere le misure necessarie per tutelare la
sicurezza dei lavoratori, non cooperando con gli altri datori di lavoro delle
imprese operanti sul medesimo cantiere all'attuazione delle misure di
prevenzione e protezione dai rischi, anche attraverso l'informazione reciproca
al fine di eliminare i rischi dovuti alle interferenze tra i lavori delle
diverse imprese”.
Trattasi di violazione
dell'importantissimo comma 2 dell'articolo 26 del D.Lgs. n. 81/2008 che
testualmente recita: “nell’ipotesi di cui al comma 1, i datori di lavoro, ivi
compresi i subappaltatori: a) cooperano all’attuazione delle misure di
prevenzione e protezione dai rischi sul lavoro incidenti sull’attività
lavorativa oggetto dell’appalto; b) coordinano gli interventi di protezione e
prevenzione dai rischi cui sono esposti i lavoratori, informandosi
reciprocamente anche al fine di eliminare rischi dovuti alle interferenze tra i lavori delle diverse
imprese coinvolte nell’esecuzione dell’opera complessiva”. La violazione di
detto obbligo di “
collaborazione
prevenzionale” tra tutti i datori di lavoro impegnati nell'appalto e nel
subappalto è punita, a titolo di reato contravvenzionale di pericolo presunto,
con l'arresto da due a quattro mesi o ammenda da 1.500 a 6.000 euro a carico
del datore di lavoro e/o del dirigente che eventualmente disponga di un potere
di gestione dell'appalto o subappalto, e, a differenza dell'omicidio colposo
che porta al processo penale in modo inevitabile, trattasi di reato
contravvenzionale soggetto alla procedura di estinzione in via amministrativa
con adempimento e pagamento di un quarto della sanzione amministrativa, ai
sensi del D.Lgs. n. 758/1994.
Per quel che riguarda
questa obbligatoria “
collaborazione
prevenzionale” in più occasioni la Cassazione ha individuato alcune regole
fondamentali di comportamento imposte dalla legge, e particolarmente
interessanti in relazione alla fattispecie che qui si esamina:
- il committente è tenuto
a cooperare con l'appaltatore nell'apprestamento delle misure di prevenzione se
si tratta di misure dirette a tutelare l'incolumità dei dipendenti del committente e di quelli
dell'appaltatore (Cass 1.03.2006, Casaburo).
-
il subappaltante che deve eseguire, all'interno del cantiere
predisposto dall'appaltatore, un'opera parziale e specialistica, ha l'onere di
riscontrare ed accertare la sicurezza dei luoghi di lavoro (Cass. Pen. 20
.04.2006, Clemente);
- “
le mere intese verbali e
telefoniche tra i datori di lavoro impegnati nella realizzazione di un'opera
complessa non sono sufficienti ad attuare la coordinazione tra le imprese
imposta dall'art. 7, comma secondo, D.Lgs.
n. 626 del 1994 (ora art. 26 c. 2 D.Lgs. n. 81/2008) in vista della programmazione
e dell'attuazione degli 'interventi di
protezione e prevenzione dai rischi cui sono esposti i lavoratori', al fine di
eliminare quelli dovuti alle interferenze tra le diverse imprese coinvolte
nell'esecuzione dell'opera” (Cass. pen., Sez. IV, 30/06/2008, n. 26115).
In particolare i due
imputati e soci amministratori della XXX s.n.c. si vedevano addebitare la
circostanza di avere “
segnatamente ... omesso di verificare che
fossero adottate e rispettate adeguate procedure di sicurezza per le lavorazioni
da svolgere in prossimità e all'interno delle camere dei pozzi di emungimento,
nelle quali erano destinati ad essere impiegati i loro dipendenti”.
Cosicché “
mentre AAAA si trovava presso il
cantiere al fine di verificare i lavori da svolgersi presso il pozzo n. 7, si
introduceva nella camera del tombino, ove si trovava l'imbocco del pozzo che,
dopo l'esecuzione di lavori” di competenza della ZZZ s.r.l., “
era stato coperto solo con pannelli di
polisterene da parte del personale di quest'ultima società; in tale frangente
AAAA, a causa della scarsa illuminazione della zona e tratto
verosimilmente in inganno dalle dimensioni e dal colore di tali pannelli
(uguali quelli delle tavole in armatura), vi poggiava i piedi sopra, ma i
pannelli cedevano sotto il suo peso, facendolo precipitare all'interno del
pozzo, profondo 36 metri, di cui gli ultimi 18 metri riempiti con acqua di
falda, con conseguente decesso del medesimo per annegamento (acc. in Milano
il 26/5/2010)”.
In relazione a tali fatti,
e ad altre circostanze di seguito indicate, il G.U.P. ha ritenuto che il
proscioglimento del primo imputato e socio amministratore della XXX s.n.c. si
imponeva per ragioni formali e sostanziali.
Infatti, dal verbale di
assemblea dei soci del 4.9.2009, risultava la volontà espressa e formale
dell'assemblea di riconoscere a (diverso soggetto) "
anche la nomina di datore di lavoro, così come definito dall'art. 2,
lett.b, del D.Lgs n. 81 del 9 aprile 2008", in tal modo attribuendogli
anche le funzioni di vigilanza e prevenzione, in virtù dei poteri specifici e
delle competenze del datore di lavoro. Tutto questo secondo una prassi assai
diffusa nelle aziende e negli enti, dove addirittura si parla di “datore di
lavoro delegato”, figura in realtà giuridicamente inesistente, e non solo non
prevista dalla norme, ma addirittura vietata in quanto l'articolo 16 del D.Lgs.
81/2008 prevede che in caso di delega il delegante è sempre e solo il datore di lavoro, mentre il delegato è
sempre e solo il delegato del datore di lavoro.
In ogni caso, riporta la
successiva sentenza della Cassazione, “
sulla
base di ciò il giudice di merito ha ritenuto che il solo (nominato) era da
considerare datore di lavoro e, quindi, titolare in via esclusiva della
posizione di garanzia e dei connessi poteri di vigilanza e di protezione”,
quindi solo colui che la delibera dell'assemblea dei soci aveva individuato
come tale.
3. La vicenda giudiziaria: Cassazione Penale, sentenza 19 ottobre
2012, n. 41063
3.1. La legge individua direttamente il datore di lavoro
Avverso la sentenza del
G.u.p. Di Milano di assoluzione ha proposto ricorso per cassazione il
Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Milano, “
lamentando la erronea applicazione della
legge penale, in quanto l'imputato, in quanto socio amministratore della s.n.c.
era da considerare datore di lavoro e non risultava alcuna formale delega di
poteri, ai sensi degli artt. 16 e 17 d.lgs. 81 del 2008, idonea ad esonerarlo
dalle sue responsabilità”.
La Cassazione dà ragione
all'accusa, ribalta la decisione annullandola, con argomenti degni della
massima attenzione da parte delle aziende, ove ancora non si comprende che la
figura del datore di lavoro non è individuata dal vertice aziendale, ma dalla
legge, e che quindi ogni individuazione contrastante con quel che si deduce
dalla rigorosa applicazione della norma vigente non ha alcun valore né effetto
legale liberatorio, e la stessa delega è soggetta a molte condizioni per essere
valida, condizioni frequentemente assenti nelle deleghe esistenti in molte aziende.
La Suprema Corte ricorda
che
ai sensi dell'art. 2, lett. b) del
d.lgs. 81 del 2008 viene definito «datore di lavoro» il soggetto titolare del
rapporto di lavoro con il lavoratore o, comunque, il soggetto che, secondo il
tipo e l'assetto dell'organizzazione nel cui ambito il lavoratore presta la
propria attività, ha la responsabilità dell'organizzazione stessa o dell'unità
produttiva in quanto esercita i poteri decisionali e di spesa.
Nel caso di specie, come
osserva il ricorrente, “
non vi
è dubbio che l'imputato avesse, alla data del fatto, la veste di datore di
lavoro
, considerato che da visure
camerali, risultava essere rappresentante ed amministratore” della società XXX
s.n.c.
Pertanto, sottolinea con
forza la Corte di legittimità, “
erroneamente
il G.U.P. ha ritenuto l'imputato non essere titolare di tale funzione in
ragione di una delibera assembleare, in quanto la attribuzione della qualità di
datore di lavoro è stabilita per legge e, pertanto, non è derogabile
convenzionalmente” (Cass. Pen., 19.10.2012, n. 41063).
Si tratta di un principio
di importanza fondamentale:
non si può
decidere in Azienda, convenzionalmente e a piacere chi è il datore di lavoro,
l'individuazione viene fatta direttamente dalla legge.
Inoltre, la sentenza che
qui si commenta, aggiunge che “
sul
datore di lavoro, come sopra individuato, grava, ai sensi dell'art. 18 del
d.lgs. cit, la posizione di garanzia del rispetto delle norme
antinfortunistiche”. Sul punto la Corte di legittimità “
ha più volte ribadito che
in tema di prevenzione degli infortuni sul
lavoro, la posizione di garanzia del datore di lavoro, è inderogabile quanto ai
doveri di vigilanza e controllo per la tutela della sicurezza, in
conseguenza del
principio di effettività
, il quale rende riferibile l'inosservanza alle norme precauzionali
a
chi è munito dei poteri di gestione e
di spesa”
(Cass. III, 29229\2005, Ligresti); inoltre, “
il datore di lavoro, quale responsabile della sicurezza, ha l'obbligo
non solo di predisporre le misure antinfortunistiche, ma anche di sorvegliare
continuamente sulla loro adozione da parte degli eventuali preposti e dei
lavoratori, in quanto, in virtù della generale disposizione di cui all'art.
2087 cod. civ., egli è costituito garante dell'incolumità fisica dei prestatori
di lavoro” (Cass. IV, 20595\2005, Castellani).
Rolando Dubini, avvocato in Milano
La seconda parte dell'articolo sarà pubblicata nei prossimi giorni. Per gli abbonati alla Banca dati
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