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"Le non technical skill e la gestione del rischio residuo"

fonte www.puntosicuro.it / Sicurezza sul lavoro

19/12/2012 -
Immaginiamo che nella nostra azienda le misure generali di tutela siano già state attuate.
1)  I pericoli che potevano essere eliminati sono stati eliminati.
2)  Gli oggetti, gli ambienti e le sostanze con caratteristiche di pericolosità più numerose e/o più gravi sono stati sostituiti con oggetti, ambienti e sostanze con caratteristiche di pericolosità meno numerose e/o meno gravi.
3)  I restanti pericoli isolabili sono stati isolati (a esempio con lavorazioni a ciclo chiuso, cabine robotizzate o telecomandate ecc.).
4)  Per le situazioni di rischio emergenti dalla interazione di uno o più lavoratori con le situazioni di pericolo non eliminabili / riducibili/ separabili, sono stati installati dispositivi di protezione collettivi e sono stati assegnati ai singoli lavoratori quelli individuali.
5)  Gli stessi lavoratori hanno ricevuto istruzioni e informazioni e hanno partecipato ad attività di formazione e addestramento.
 
Bene, a questo punto, potremmo dire che  in questa nostra azienda così ben preparata il rischio sia pari a zero?
In realtà in questa nostra (immaginaria) azienda, come in qualsiasi altra realtà di vita e lavoro, il rischio non potrà mai essere considerato pari a zero. Affermare che si può azzerare il rischio, significa credere (e far credere) che la sicurezza non è nient'altro che il risultato della rigorosa applicazione di una serie, anche molto ampia, di disposizioni specifiche. Ma nessuna serie di disposizioni specifiche potrà mai coprire ogni possibile circostanza operativa. Per questo la sicurezza è anche il risultato della capacità diffusa di gestire il rischio residuo e, sempre per questo motivo, a fianco delle disposizioni specifiche sono inevitabili anche disposizioni aspecifiche, come quella con cui, significativamente, si apre l'art. 20 del D. Lgs. 81/08: "Ogni lavoratore deve prendersi cura della propria salute e sicurezza e di quella delle altre persone presenti sul luogo di lavoro...".
L’assenza dei rischi è una illusione che diventa inganno (o autoinganno) quando ci porta a trascurare la restante parte del lavoro di prevenzione: la gestione del rischio residuo.

Il rischio residuo si può manifestare nelle molteplici interfacce tra le persone, e tra le persone e le  macchine e attrezzature. Un problema ricorrente, a esempio, è quello del fraintendimento delle intenzioni di un collega. Noi, per coordinarci con gli altri nello sforzo di realizzare un lavoro comune, spesso ci affidiamo a una implicita “teoria della mente”: diamo per scontato che quello che per noi appare come il significato evidente di una parola o di un’azione, sia evidente anche per i nostri interlocutori.
Per spiegare questo concetto, vi racconto la storia di un infortunio. Un operatore in una centrale di produzione dell’energia elettrica era stato incaricato di trovare un guasto in un interruttore. Seguendo le procedure, la parte dell’impianto su cui doveva essere svolta l’ispezione era stata isolata e messa in sicurezza. Questa parte isolata stava in una cabina chiusa a chiave. Però, non tutte le componenti della cabina erano state isolate e messe in sicurezza. Sulla base delle istruzioni ricevute, l’operatore si era costruito una mappa mentale che assumeva che tutte le parti dell’impianto contenute in quella cabina fossero in sicurezza. L’operatore si era fatto dare dal capo turno le chiavi per andare a vedere dentro la cabina. “Vado a vedere” era una formula usata molte volte per aprire la porta esterna della cabina, ma non anche il cancello della griglia interna alla cabina. Quando l’operatore disse “vado a vedere” intendeva dire vado a vedere anche al di là della griglia, perché credeva che tutte le componenti fossero state isolate e messe in sicurezza. Il capoturno, da parte sua, attribuiva all’espressione “vado a vedere” il significato abituale di ‘apro solo la porta esterna e non anche la griglia interna’. La rappresentazione mentale dello spazio non corrispondente alla reale situazione della messa in sicurezza dell’impianto e l’ambiguità nell’uso di espressioni consuete in contesti operativi non consueti hanno contribuito significativamente al verificarsi di un grave infortunio di folgorazione elettrica.
 
Le norme erano state seguite correttamente. Ma il deficit di competenze come la consapevolezza situazionale e la comunicazione interpersonale è stato decisivo nel creare una esposizione a rischio residuo mal gestita.
 
Troppe volte ci si accontenta di dire che la gestione del rischio residuo non è nient’altro che un problema di comportamento individuale. Bella scoperta! Tutti gli eventi avversi che accadono sul lavoro (infortuni, incidenti, mancati incidenti) sono prima o poi riconducibili a un problema di comportamento individuale. A volte al comportamento del lavoratore, altre volte a quello del suo capo, altre ancora a quello del progettista e così via. Questa, dunque, è una “spiegazione” che non spiega nulla. Per la comprensione e per l’orientamento alla prevenzione, è più produttivo chiedersi che tipo di comportamento  è quello che viene posto nella sequenza di fattori che hanno condotto all’evento avverso: un errore o una violazione? E, nel caso, che tipo di errore? O che tipo di violazione?
 
Questa indagine può fare emergere che, da parte dei singoli lavoratori e/o dell’organizzazione intesa come sistema socio-tecnico, ci sia proprio un deficit di possesso e/o di utilizzo di competenze necessarie alla gestione del rischio residuo. Tra queste competenze, quelle non tecniche (Non Technical Skill – NTS) hanno un rilievo preminente. Infatti, non sono le conoscenze e le capacità operative relative alle relazioni causali prevedibili quelle che i lavoratori devono esercitare quando i provvedimenti organizzativi di prevenzione hanno già eliminato i pericoli eliminabili, ridotto quelli riducibili e separato le persone dall'esposizione ai pericoli non eliminabili e non riducibili, e messo in opera i dispositivi di protezione collettivi e individuali.
Per definizione, le conoscenze e le capacità operative di natura tecnico normativa sono già state esercitate per l'attuazione di quei provvedimenti di prevenzione. Ne consegue che, per gestire il rischio residuo, le competenze tecnico normative non sono più sufficienti. L’esperienza ha individuato le seguenti principali aree in cui il possesso di competenze non tecniche si rivela cruciale per la gestione del rischio residuo:
-        consapevolezza situazionale
-        comunicazione efficace
-        presa di decisioni
-        lavorare in gruppo
-        leadership
-        gestione dello stress e della fatica
 

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