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"Gli ambienti confinati e la certificazione dei contratti"
fonte www.puntosicuro.it / Sicurezza
21/02/2013 - Il DPR n. 177 del 14 settembre 2011, attuativo dell’art.6, co.8, del D.Lgs. n. 81/08, affronta in modo diretto il tema spinoso della
qualificazione delle imprese e dei lavoratori operanti in
ambienti sospetti di inquinamento o c.d. confinati.
Prima di entrare nel merito del Regolamento in oggetto, è bene
ricordare che il perimetro interessato alla sua applicazione riguarda i
luoghi sospetti di inquinamento (i pozzi neri, le fogne, i camini, le
fosse e gallerie, gli ambienti e recipienti, condutture, caldaie e
simili dove possono sprigionarsi gas deleteri, come da artt. 66 e 121
del D.Lgs. n. 81/2008) e i luoghi confinati che
debbono intendersi come da Allegato IV, punto 3 di cui al D.Lgs. n.
81/2008, ovvero i silos, i serbatoi, le vasche, le canalizzazioni, i
recipienti e le tubazioni.
Il Regolamento di cui al Dpr 177 ha quale fine primo quello di
individuare requisiti di qualificazione delle imprese per ciò che
attiene il personale impiegato negli appalti e nelle prestazioni d’opera
per i soggetti che lavorano negli ambienti sospetti di inquinamento o
confinati.
Si tratta di fatto di una anticipazione delle più ampie
disposizioni in materia di qualificazione delle imprese che
dovrebbero essere prodotte dalla Commissione consultiva presso il
Ministero del lavoro di cui parla l’art. 6 del D.Lgs. n. 81/2008.
E’ bene rammentare a riguardo che l’
appalto si
configura come un “contratto con il quale una parte assume con
organizzazione e con gestione a proprio rischio, il compimento di
un’opera o un servizio verso un corrispettivo in denaro” (art. 1655
c.c) e l’
appaltatore, chiarisce il codice civile, deve quindi essere un imprenditore commerciale ai sensi del 2082 c.c..
Sarà quindi prezioso ricordare che la prassi e la giurisprudenza ricordano che le
caratteristiche peculiari dell’appalto sono:
l’organizzazione dei fattori produttivi; l’assunzione del rischio di
impresa; l’autonomia dell’appaltatore; l’esercizio del potere
organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori utilizzati
nell’appalto.
La
prestazione d’opera ex art. 2222 c.c. si
configura invece quando “una persona si obbliga, verso un
corrispettivo, a compiere un’opera o un servizio con il lavoro
prevalentemente proprio o dei familiari e senza vincolo di
subordinazione”. È quindi da escludere dalla applicazione del Dpr 177 del 2011 l’altra
tipologia contrattuale interessata alla applicazione dell’art. 26 del
D.Lgs. n. 81/2008, ovvero la somministrazione di beni e cose.
Entrando
ora nei
requisiti richiesti alle imprese
e ai lavoratori autonomi che lavorano negli ambienti confinati troviamo
espressamente indicati:
-
la integrale applicazione delle disposizioni in materia di valutazione dei
rischi, di sorveglianza
sanitaria,
di misure di gestione delle emergenze. E nello specifico si chiarisce che per i
lavoratori autonomi ciò che l’art. 21 prevede come facoltativo (la sorveglianza
sanitaria e la formazione) diviene obbligatorio;
-
la presenza di personale in percentuale non inferiore al 30% con esperienza
almeno triennale relativa a lavori in ambienti sospetti o confinati. Tale
“personale” deve essere assunto con contratto di lavoro subordinato a tempo
indeterminato. Qualora il personale lavori invece con altre tipologie
contrattuali, queste debbono essere certificate ai sensi del D.Lgs. n.
276/2003;
-
avvenuta effettuazione di attività di informazione e formazione (compreso il
datore di lavoro) di tutto il personale in relazione ai fattori di rischio
dell’attività, oggetto di verifica ed apprendimento;
-
possesso di DPI, strumentazione ed attrezzature idonee al tipo di attività con
effettuazione di attività di addestramento;
-
applicazione del DURC;
-
integrale applicazione della parte economica e normativa della contrattazione
collettiva di settore con riferimento a contratti ed accordi collettivi
sottoscritti da organizzazioni comparativamente più rappresentative sul piano
nazionale.
È
bene rammentare che per le attività in ambienti sospetti da inquinamento e ambienti confinati è vietato il
subappalto se non autorizzato dal datore di lavoro e in questo caso certificato
ai sensi della Legge Biagi.
La certificazione
dei contratti prevista dal DPR n.177/11 e la Legge Biagi
La
finalità della certificazione
individuata dall’art.75 del D.Lgs. n. 276/03, nella versione rivista dalla L.
n.183/10, è in realtà quella di “ridurre il contenzioso”, infatti la legge fa
riferimento espresso ad una “procedura volontaria” (“le parti possono”), mentre
con il DPR n.177/11 la certificazione viene ad
assumere per la prima volta una valenza obbligatoria e non più
facoltativa.
La
ragione, peraltro condivisibile, è quella di eliminare o ridurre al minimo i
rischi in un settore caratterizzato da gravi incidenti.
L’ obbligo di
certificazione
viene quindi esteso a tutte le tipologie contrattuali diverse da quelle a tempo
indeterminato, ovvero i contratti a termine, quelli intermittenti, i contratti a progetto, le associazioni in
partecipazione con apporto lavorativo, le prestazioni d’opera ex art. 2222
c.c..
La
disposizione fa riferimento inoltre ad una pregressa esperienza professionale,
questo impone l’obbligo di certificazione anche di eventuali contratti di
apprendistato, pur essendo questi ultimi indicati dalla legge (art.1, co.1, del
D.Lgs. n. 167/11) tipologie di rapporto di lavoro a tempo indeterminato.
Andrebbero
poi certificati i contratti di appalto e subappalto (autorizzati).
Un
elemento che va quindi chiarito riguarda il riferimento contenuto nella lett.
c) del comma 1, dell’art.2 del Dpr 177, laddove si fa riferimento alla
“presenza di personale, in percentuale non inferiore al 30%, con esperienza
almeno triennale in ambienti sospetti di inquinamento o confinati”.
Il
quesito di natura interpretativa è quello inerente la
percentuale del 30% del personale a cui fa riferimento il DPR, ai
fini della certificazione obbligatoria.
Ebbene
è opportuno chiedersi se questo parametro riguardi solo i contratti a tempo
indeterminato o anche tutti gli altri.
Inoltre
vi è da chiedersi se l’obbligo di certificare riguardi solo quei contratti
“flessibili” all’interno del 30% del personale della forza lavoro con
esperienza almeno triennale o anche tutti gli altri che vanno oltre il 30 %.
In
attesa di un chiarimento amministrativo si possono esprimere alcune
valutazioni.
Una
lettura strettamente letterale sembrerebbe fare riferimento al “personale”
nella misura del 30% “assunto”. Quindi
da
una lettura puramente formale andrebbero certificati obbligatoriamente solo i
contratti all’interno del 30 per cento del personale assunto con contratti a
tempo determinato di natura subordinata. Ma con tutta evidenza tale
interpretazione letterale si scontra con la finalità del Regolamento che al
contrario vuole garantire tutti i lavoratori con qualunque forma contrattuale
siano in attività, anche non subordinata.
L’altro
nodo interpretativo da sciogliere positivamente, a detta dello scrivente, è
quello che
non solo i contratti
riguardanti il 30% del personale esperto debbano essere certificati ma i
contratti (anche quelli dei lavoratori autonomi e degli appalti) relativi a
tutto il personale impegnato negli ambienti sospetti di inquinamento o
confinati.
Va
inoltre detto che il DPR 177 prevede che la certificazione debba essere
“preventiva” all’inizio della attività, anche quella relativa ai contratti di
appalto e subappalto (questi ultimi purché autorizzati dal committente).
La
disposizione va quindi al di là di
quanto previsto dall’art.84 del D.Lgs. n.276/03, laddove al contrario si
afferma che le procedure di certificazione possono essere utilizzate, sia in
sede di stipulazione di appalto di cui all’art.1665 c.c. sia nelle fasi di
attuazione del relativo programma negoziale, anche ai fini della distinzione
concreta tra somministrazione di lavoro e appalto.
Il
datore di lavoro, una volta acquisita la certificazione dei
contratti,
dovrà tuttavia sempre valutare anche la esperienza professionale del personale
impiegato, oltre all’acquisizione del Durc delle imprese esecutrici.
Dovrà
poi verificare che venga applicato integralmente il
Contratto collettivo di settore.
Per
quel che riguarda gli
organi deputati
alla certificazione, si deve fare riferimento a quanto prevede l’art.76 del
D.Lgs. n. 276/03.
Sono
espressamente indicati dalla legge quelli autorizzati, ovvero:
a)
gli Enti bilaterali costituiti nell’ambito territoriale di riferimento, o
quelli costituiti a livello nazionale quando la commissione di certificazione
sia costituita nell’ambito di organismi bilaterali a competenza nazionale;
b)
le Direzioni del Lavoro e le Province (che, in larga misura non hanno ancora
proceduto alla costituzione della relativa commissione);
c)
le Università pubbliche e private, comprese le Fondazioni Universitarie,
registrate in un apposito Albo del Ministero del Lavoro;
d)
la Direzione Generale delle Relazioni Industriali e dei Rapporti di Lavoro (già
Direzione Generale della Tutela delle condizioni di lavoro) del Ministero del
Lavoro, esclusivamente nei casi in cui il datore di lavoro abbia proprie sedi
di lavoro in almeno due province di regioni diverse ovvero per quei datori di
lavoro con un’unica sede di lavoro associati a organizzazioni imprenditoriali
che abbiano predisposto a livello nazionale schemi di convenzione certificati
dalla commissione di certificazione istituita presso il Ministero del Lavoro;
e)
i consigli provinciali dei consulenti del lavoro, esclusivamente per i
contratti di lavoro instaurati nell’ambito territoriale di riferimento.
L’individuazione
dell’organo di certificazione è fondamentale, in quanto, qualora si intenda
certificare un contratto, un appalto o un subappalto si deve individuare la
sede di competenza.
Per
ciò che riguarda le Direzioni del Lavoro, le Province, i Consigli dei
consulenti del lavoro, gli Enti bilaterali regionali o provinciali è bene fare
riferimento a quanto prevede l’art. 77 del D.Lgs. 276/2003, ovvero in relazione
“alla cui circoscrizione si trova l’azienda o una sua dipendenza alla quale
sarà addetto il lavoratore”. Nel caso in
cui ci si rivolga invece alla sede ministeriale, alle Università o alle
Fondazioni Universitarie, non vi è alcun
problema di competenza territoriale, potendo tali organi certificare in ambito
nazionale.
Per
ciò che riguarda la
procedura di
certificazione è bene infine rammentare che:
-
l’inizio del procedimento deve essere comunicato alla Direzione Provinciale del
Lavoro che provvede ad inoltrare la comunicazione alle Autorità pubbliche
interessate (committenti o di vigilanza) nei confronti delle quali l’atto di
certificazione è destinato a produrre effetti;
-
il procedimento deve concludersi in trenta giorni dal ricevimento della
istanza;
-
l’atto di certificazione deve essere motivato e contenere il termine e
l’Autorità cui è possibile ricorrere;
-
l’atto di certificazione deve esplicitare gli effetti civili, amministrativi,
previdenziali e fiscali in relazione ai quali le parti chiedono la
certificazione;
-
i contratti certificati e la pratica devono essere conservati presso le sedi di
certificazione per almeno 5 anni a far data dalla loro scadenza.
Per
ciò che concerne la
efficacia giuridica
della certificazione, questa permane, anche verso i terzi, fino al momento
in cui sia stato accolto, con sentenza di merito, uno dei ricorsi
giurisdizionali esperibili ex art.80, con l’eccezione dei provvedimenti di
natura cautelare.
Il
ricorso giudiziale deve essere obbligatoriamente preceduto da un tentativo di
conciliazione (co.4) avanti alla commissione di certificazione che ha adottato
l’atto, secondo la procedura prevista dall’art.410 cpc. La disposizione
prevede, altresì (co.5), la possibilità di impugnare l’atto di certificazione
avanti al Tribunale Amministrativo Regionale competente per gli usuali vizi
relativi alla violazione delle norme procedurali ed all’eccesso di potere.
Qualora
i datori non rispettino quanto previsto dal DPR 177 del 2011 si trovano nella
condizione di chi non ha verificato la idoneità tecnico
professionale
dell’azienda che esegue i lavori. La sanzione per questo reato di natura
contravvenzionale è quella dell’arresto
da due a quattro mesi o della ammenda compresa tra € 1.000,00 e € 4.800,00
(art.55, co.5, lett.b, D.Lgs. 81/2008).
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