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"Su chi grava l’obbligo di elaborare il DUVRI?"

fonte www.puntosicuro.it / Normativa

28/02/2013 - Con la  sentenza del 16 gennaio 2013 n. 2285, la Terza Sezione Penale della Cassazione ha dato ragione ad un appaltatore precedentemente condannato (al pari del committente) “ per non avere egli assicurato il coordinamento degli interventi di prevenzione e protezione dai rischi dovuti alle interferenze tra i lavori delle diverse imprese coinvolte nell’esecuzione di un’opera”.
L’appaltatore aveva ricorso in Cassazione sostenendo che l’obbligo di  elaborazione del DUVRI a seguito dell’emanazione del decreto 81 grava unicamente sul committente e la Corte ha accolto il suo ricorso disponendo l’annullamento con rinvio della sentenza che lo aveva condannato e fornendoci utili indicazioni sulla corretta interpretazione dell’art. 26 del testo unico nella parte dedicata alla gestione dei  rischi interferenziali e ai titolari di tale obbligo.
 
La Cassazione fa anzitutto una importante premessa sulle  differenze tra la normativa preesistente e quella attuale in materia di obblighi del committente e dell’appaltatore, ricordando che  “in tema di lavori eseguiti a seguito di contratto d’appalto o d’opera, il  Decreto Legislativo n.  626 del 1994, articolo 7, comma 2, prevedeva che i ‘ datori di lavoro , genericamente indicati, dovessero cooperare all’attuazione delle misure di prevenzione e protezione dai rischi sul lavoro incidenti sull’attività lavorativa oggetto dell’appalto (lettera a) e dovessero coordinare gli interventi di protezione e prevenzione dai rischi cui sono esposti i lavoratori, informandosi reciprocamente anche al fine di eliminare rischi dovuti alle interferenze tra i lavori delle diverse imprese coinvolte nell’esecuzione dell’opera complessiva (lettera b); sempre l’articolo 7, al comma 3, prevedeva poi che spettasse al "datore di lavoro" promuovere il coordinamento di cui al comma 2, lettera b).”
 
Poi, prosegue la Corte,  “la previsione dell’articolo 7, abrogata dal Decreto Legislativo n. 81 del 2008, è stata, con riferimento testuale agli “obblighi connessi ai contratti d’appalto o d’opera o di somministrazione”, letteralmente ripresa dall’articolo 26 , comma 2, dello stesso Decreto Legislativo n. 81 che ha riferito gli obblighi di cooperazione e coordinamento di cui sopra ai “datori di lavoro, ivi compresi i subappaltatori”; lo stesso Decreto Legislativo da ultimo citato ha poi sanzionato, all’art. 55 comma 5 lettera d), “il datore di lavoro e il dirigente” per la violazione, tra gli altri, anche dell’articolo 26, comma 2”.
 
Ma  l’articolo 26, comma 3, recependo in parte ed ampliando il previgente contenuto del Decreto Legislativo n. 626 del 1994, articolo 7, comma 3,  ha invece previsto”  – e qui sta il punto della questione  –  “che sia il ‘datore di lavoro committente’ a dover “promuovere la cooperazione ed il coordinamento di cui al comma 2, elaborando un unico documento di valutazione dei rischi  che  indichi le misure adottate per eliminare o, ove ciò non è possibile, ridurre al minimo i  rischi  da interferenze ”.

E dunque ad oggi, in base all’art. 26 del decreto 81, gli obblighi da considerare sono due e sono due obblighi distinti e non sovrapponibili secondo la Corte: “da un lato, quello di coordinare gli interventi di protezione e prevenzione dai rischi cui sono esposti i lavoratori, imposto ai ‘datori di lavoro’ genericamente denominati ‘ivi compresi i subappaltatori’ (obbligo contemplato appunto dall’articolo 26 comma 2 ed autonomamente sanzionato dall’articolo 55, comma 5, lettera d), e, da un altro, quello di promuovere la cooperazione ed il coordinamento elaborando il documento di valutazione dei rischi (obbligo contemplato dall’articolo 26, comma 3, parimenti distintamente sanzionato dall’articolo 55, comma 5, lettera d), imposto testualmente al solo ‘ datore di lavoro committente e non anche come, in precedenza, […] ai datori di lavoro non committenti.
 
A questo punto la Cassazione pone dei punti fermi che è utile riepilogare schematicamente:
 
- “La condotta di omessa elaborazione del documento di valutazione dei rischi  […] deve essere oggi ritenuto un reato proprio del ‘datore di lavoro committente’ , senza possibilità di estensione del medesimo, pena, diversamente, la violazione del principio di tassatività della legge penale, al datore di lavoro appaltatore”. Prova di ciò ne è il fatto che ad esempio, ricorda la Corte, l’art. 26 del decreto 81/08 “impone l’adeguamento “in funzione dell’evoluzione dei lavori, servizi e forniture”, sicché l’unico soggetto in condizione di poter procedere a tale adeguamento non può che essere il committente.”
 
- “Così come la redazione del ‘documento di valutazione dei rischi’ è obbligo esclusivo del datore di lavoro, analogamente la redazione del D.u.v.r.i. è obbligo del datore di lavoro committente, pur potendo lo stesso essere delegato a terzi (presupponendo peraltro pur sempre la delega che l’obbligo gravi sul medesimo datore di lavoro), sicché estendere un tale obbligo a soggetto terzo, nel caso di specie il lavoratore autonomo appaltatore, peraltro infortunatosi, snaturerebbe la ratio della norma che vuole che sia evidentemente il datore di lavoro committente a rendere edotti dei rischi le ditte appaltatrici”.
 
- “Il richiamo effettuato dalla lettera p) dell’articolo 18” - che contiene gli obblighi del datore di lavoro e del dirigente - “non può considerarsi come introduttivo di un obbligo anche per i datori di lavoro non committenti”. Questo si desume dal regime sanzionatorio collegato a tale obbligo: infatti “la violazione dell’articolo 18, lettera p), prima parte (ovvero appunto quella dell’obbligo di redazione del documento di cui all’articolo 26, comma 3) è, a ben vedere, sprovvista di sanzione, giacché la lettera e) dell’articolo 55 sanziona unicamente, con l’ammenda da 2.000 a 4.000 Euro, “la violazione dell’articolo 18, comma 1, lettera ... p), seconda parte”, ovvero, segnatamente, la violazione dell’ obbligo di consegna tempestiva di copia al rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza [questo per evitare duplicazioni, in quanto l’omessa elaborazione del DUVRI prevista dall’art. 26 c. 3 è già sanzionata dall’articolo 55, comma 5, lettera d), come su ricordato, n.d.r.]. Se quindi il legislatore avesse voluto configurare, per la mancata elaborazione del documento di cui all’articolo 26, comma 3, un illecito penale per tutti i datori di lavoro ‘in genere’, avrebbe dovuto evidentemente prevedere una sanzione ad hoc […]”.
 
- La circostanza che “il Decreto Legislativo n. 81 del 2008, articolo 29, comma 4, preved[a] che “il documento di cui all’articolo 17, comma 1, lettera a), e quello di cui all’articolo 26, comma 3, devono essere custoditi presso l’unità produttiva alla quale si riferisce la valutazione dei rischi” rende “evidente che se spetta al datore di lavoro ‘committente’, ossia a colui che ha ‘la disponibilità giuridica dei luoghi in cui si svolge l’appalto o la prestazione di lavoro autonomo’ (articolo 26, comma 1), la custodia del D.u.v.r.i., tale obbligo non può che essere la conseguenza del fatto che è lui stesso che lo elabora, coordinandosi con l’appaltatore ed assumendosene la paternità, nonché mettendolo a disposizione degli organi di vigilanza in caso di accesso ispettivo presso il luogo di lavoro ove si svolge l’attività in appalto.”
 
Vorrei concludere ricordando che circa un anno prima di questa pronuncia, la Cassazione Penale, con la sentenza 10 febbraio 2012 n. 5420, si era già pronunciata sull’ obbligo del DUVRI e sul concetto di interferenza.
 
Vittima dell’infortunio era stato un lavoratore il quale, “intervenuto, insieme ad altri operatori della società X s.r.l., con la tipologia di pronto intervento su chiamata, presso il reparto “stampaggio” dello stabilimento F. di M., per liberare una tramoggia (a forma di “L” in cui venivano raccolti gli sfridi provenienti dalla tranciatrice per essere convogliati su di un nastro trasportatore) dai residui di lavorazione ed al fine di rimettere in funzione l’impianto di lavorazione trancia sviluppi, sotto la direzione di R., socio della X, che decideva di far tagliare in parte le pareti della tramoggia (onde consentire l’allargamento della bocca della stessa ed il conseguente deflusso dei lamierati sul nastro trasportatore), veniva travolto dal carrello di protezione del nastro trasportatore, che, a causa della caduta degli sfridi sul predetto nastro, determinata dal cedimento delle pareti della tramoggia, si sganciava schiacciando il S. contro la parete.”
 
Al rappresentante legale dello stabilimento F. S.p.a. di M., imputato per il reato di omicidio colposo, era stata così “contestata la mancata elaborazione del Documento Unico di Valutazione dei Rischi , funzionale alla eliminazione di possibili rischi derivanti dalle ‘interferenze’ tra le attività della ditta appaltante e della ditta appaltatrice.”
 
La Corte d’Appello aveva assolto l’imputato (decisione poi ribaltata dalla Cassazione) “movendo dal rilievo che nessuna efficacia causale, rispetto alla pacifica dinamica dell’infortunio, può esplicare il profilo della mancata elaborazione del Documento Unico di valutazione dei rischi da parte del legale rappresentante della ditta appaltatrice F., funzionale alla eliminazione di possibili rischi derivanti dalle ‘interferenze’ tra l’attività della ditta appaltante e della ditta appaltatrice.”
In particolare la sentenza della Corte d’Appello, “nel rilevare che nessuna interferenza vi è stata durante l’espletamento dell’intervento di svuotamento della tramoggia intasata dagli sfridi, riporta la definizione del concetto di “interferenza” data con la Determinazione n. 3/2008 dall’Autorità per la Vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, intesa come “circostanza in cui si verifica un contatto rischioso tra il personale del committente e quello dell’appaltatore o tra il personale tra imprese diverse che operano nella stessa sede aziendale con contratti differenti”.
 
Ma la Cassazione annulla con rinvio la decisione assolutoria della Corte d’Appello .
 
Secondo la Suprema Corte, infatti, l’accezione di “interferenza” tra impresa appaltante ed impresa appaltatrice non può ridursi, ai fini della individuazioni di responsabilità colpose penalmente rilevanti, al riferimento alle sole circostanze che riguardano ‘contatti rischiosi’ tra il personale delle due imprese, ma deve fare necessario riferimento anche a tutte quelle attività preventive, poste in essere da entrambe antecedenti ai ‘contatti rischiosi’, richiamati dal GUP di chiara natura materiale, destinate, per l’appunto, a prevenirli. In sostanza, ancorché il personale della ditta appaltatrice operi autonomamente nell’ambito del luogo di lavoro della ditta appaltante, deve esser messo in condizione di conoscere, a cura della appaltante, preventivamente i rischi cui può andare incontro in quel luogo di lavoro con riferimento, ovviamente, all’attività lavorativa che deve ivi svolgere.Il principio generale in materia di interferenze tra ditta appaltante ed appaltatrice, affermato con continuità da questa Corte è quello che, ove i lavori si svolgano nello stesso cantiere predisposto dall’appaltante in esso inserendosi anche l’attività dell’appaltatore per l’esecuzione di un’opera parziale e specialistica (ivi compresa, ovviamente, anche quella di cui ci si occupa: manutenzione), e non venendo meno l’ingerenza dell’appaltante e la diretta riconducibilità (quanto meno) anche a lui dell’organizzazione del comune cantiere, in quanto investito dei poteri direttivi generali inerenti alla propria qualità, sussiste la responsabilità di entrambi tali soggetti in relazione agli obblighi antinfortunistici, alla loro osservanza ed alla dovuta sorveglianza al riguardo.”
 
In conclusione, un’esclusione della responsabilità dell’appaltante è configurabile solo qualora all’appaltatore sia affidato lo svolgimento di lavori, ancorché determinati e circoscritti, che svolga in piena ed assoluta autonomia organizzativa e dirigenziale rispetto all’appaltante, e non nel caso in cui la stessa interdipendenza dei lavori svolti dai due soggetti escluda ogni estromissione dell’appaltante dall’organizzazione del cantiere. Nella ricorrenza delle anzidette condizioni, trattandosi di norme di diritto pubblico che non possono essere derogate da determinazioni pattizie, non potrebbero avere rilevanza operativa, per escludere la responsabilità dell’appaltante, neppure eventuali clausole di trasferimento del rischio e della responsabilità intercorse tra questi e l’appaltatore.”
 
 
 

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