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"Imparare dagli errori: quando la causa degli infortuni è un malore"
fonte www.puntosicuro.it / Sicurezza sul lavoro
07/03/2013 - Negli ambienti lavorativi vi sono fattori e agenti che possono
favorire le malattie cardiocircolatorie, una delle principali cause di
mortalità.
Con questa puntata di “Imparare dagli errori” facciamo una breve panoramica su alcuni casi di infortuni a
malori dei lavoratori, con particolare attenzione agli
arresti cardiaci.
Gli esempi di incidenti che presentiamo sono tratti dalle schede di INFOR.MO., strumento per l'analisi qualitativa dei casi di infortunio collegato al sistema di sorveglianza degli infortuni mortali e gravi.
I casi
Un
primo caso è relativo ad una
caduta da un ponteggio.
Un socio titolare e fondatore della sua ditta, sale su un ponteggio
ad altezza di circa 2,3 metri dal suolo per poter osservare e
controllare il lavoro delle sue maestranze.
Data “la sua particolare pignoleria”, l’operazione di salire e
scendere dal ponteggio viene fatta ripetutamente dal titolare. E questo
malgrado il fatto che gli era stato indicato in precedenza dal medico
competente “di non fare sforzi particolari dato il suo stato precario di
salute (iperglicemia e problemi cardiocircolatori)”.
Durante l’ultimo controllo il lavoratore cade al suolo dal
ponteggio (privo di qualsiasi parapetto). I lavoratori lo ritrovano,
ormai morto, alla base del ponteggio stesso.
La diagnosi ufficiale è di arresto cardiaco per infarto “senza
specificare con assoluta certezza se proprio l'urto al suolo sia stato
la causa determinante della gravità letale dell'infarto”.
È evidente che siamo di fronte a due
fattori determinanti dell’incidente:
- la presenza di un ponteggio senza parapetto;
- l’eseguire sforzi lavorativi nonostante le prescrizioni mediche.
Il
secondo
caso è relativo alla
guida
di un trattore agricolo.
Un
lavoratore agricolo mentre procede alla guida di un trattore, “trainante un
rimorchio con botte per la distribuzione di antiparassitari, lungo una strada
consorziale, per un probabile malore” si sposta dalla sede stradale
rovesciandosi nel sottostante campo.
Il
conducente rimane schiacciato dal mezzo agricolo, privo di cabina
antiribaltamento e di cinture di sicurezza e muore in seguito a politrauma.
Tre
sono i fattori che hanno determinato e/o reso più grave l’infortunio:
-
il malore fisico;
-
l’assenza di cabina antiribaltamento;
-
l’assenza di cinture di sicurezza.
Il
terzo caso è relativo ad un infarto
successivo ad
attività di taglio di
alberi.
Un
agricoltore si reca con un conoscente nel bosco di sua proprietà per il taglio
di alberi.
Il
lavoro di taglio inizia alle 7 del mattino e viene interrotto verso le 12 per
la pausa pranzo. Forse “a causa del sovraffaticamento fisico per il lavoro
svolto”, mentre si reca alla macchina per tornare a casa l’agricoltore
improvvisamente si accascia al suolo e muore per infarto (trombosi coronarica
acuta); “in sede di anamnesi non sono stati accertati, ma nemmeno esclusi,
preesistenti difetti cardiaci del lavoratore”.
La prevenzione
Alcuni
articoli di PuntoSicuro hanno sottolineato come diversi fattori (come orari di
lavoro eccessivi, esposizioni a agenti fisici e chimici, problemi di stress
lavoro correlato, ...) possano creare problemi al sistema cardiocircolatorio
dei lavoratori.
Riprendiamo,
a questo proposito, alcune indicazioni tratte da un documento prodotto da Suva (istituto svizzero per l'assicurazione e
la prevenzione degli infortuni): il factsheet “ Lavoro e cuore”.
Nel
documento, realizzato da Marcel Jost, si affronta ad esempio l’
adattamento della circolazione agli sforzi
fisici durante il lavoro.
Il
documento sottolinea che gli
sforzi
fisici possono provocare un aumentato consumo di energia e un
incremento del fabbisogno di ossigeno. E per aumentare l'assunzione di ossigeno
nei polmoni aumenta il volume respiratorio al minuto e “il fabbisogno aumentato
del trasporto di ossigeno nel sangue è reso possibile grazie all'incremento
della funzione di pompa del cuore”. In particolare le persone sane
“possono produrre uno sforzo fisico durante un turno di lavoro pari a meno del
40% dell'assunzione massima di ossigeno” e come regola della “fisiologia del
lavoro vale quanto segue: su un intero giorno lavorativo, lo sforzo fisico non
deve superare il 30% dell'assunzione massima di ossigeno”.
In
questo senso nel
valutare
lo sforzo fisico sulla postazione di lavoro si deve tenere
conto di diversi
fattori:
“pesantezza del lavoro, tipo di sforzo (isometrico verso dinamico/isotonico);
durata dello sforzo; durata, livello e ritmo delle punte massime dello sforzo;
prevalenza di attività con le braccia o con le gambe; altri fattori quali
esposizione al calore o carico psicomentale”. La frequenza cardiaca dipende
dunque anche da altri “fattori ambientali presenti sul posto di lavoro (come
calore e freddo), dall'età, sesso e allenamento nonché dallo stato di salute. A
ciò si aggiungono fattori quali carico psicomentale e l'assunzione di sostanze
che generano dipendenza o di medicamenti”.
Infatti
il carico psicomentale “provoca dei
cambiamenti nel sistema circolatorio (per esempio aumento della pressione
sanguigna a causa soprattutto della produzione di ormoni dello stress) nonché
l’attivazione del sistema coagulatorio con un aumento della concentrazione
ematica di piastrine. Lo stress può modificare le caratteristiche elettriche
delle cellule cardiache e rendere il cuore più vulnerabile a pericolose
aritmie”.
Se
ciò spiega perché il rischio di infarto del
miocardio
e di aritmie innescati da rabbia e agitazione “possa essere maggiore nelle
persone che lavorano”, la “reazione individuale a simili eventi rimane comunque
molto diversa”.
Il
documento si sofferma poi sul
rapporto
tra malattie cardiovascolari e lavoro a turni, lunghezza
dell’orario di lavoro, esposizione a agenti chimici e agenti fisici, ...
Ricordando
che in Italia circa 60.000 persone muoiono ogni anno per
arresto cardiaco e che la
maggior parte dei decessi avviene durante le ore di lavoro, PuntoSicuro ha
pubblicato vari documenti relativi alla rianimazione
cardiopolmonare
e ai defibrillatori
automatici.
La
rianimazione cardiopolmonare
(RCP) è una tecnica di soccorso che può essere determinante nel riattivare le
funzioni vitali del nostro organismo. Se applicata con tempestività può
mantenere l’ossigenazione del cervello e del muscolo cardiaco e riattivare, per
quanto possibile, la circolazione del sangue.
Riguardo
ai
defibrillatori ricordiamo che a
Piacenza dal 1999 è attivo il "Progetto Vita".
Tale
progetto ha previsto la diffusione capillare in città di defibrillatori
automatici esterni
(Dae), apparecchi che sono in grado di riconoscere la fibrillazione
ventricolare e di interromperla con uno shock elettrico. Come rilevato
dall’Inail “su un totale di 354 arresti cardiaci registrati in 22 mesi, in
circa il 40% dei casi sono intervenuti i volontari e il tasso di sopravvivenza
dei pazienti trattati inizialmente grazie al Progetto Vita, pari al 10,5%, è
stato nettamente superiore rispetto al 3,3% registrato tra i pazienti raggiunti
soltanto dai soccorsi avanzati”.
Ricordiamo
a questo proposito che la
legge numero
191 del 2009 e il
decreto
ministeriale del 18 marzo 2011 raccomandano la presenza di Dae in tutti i
luoghi di grande affluenza come alberghi, ristoranti, centri commerciali,
cinema, piscine e stabilimenti balneari.
Per
concludere ricordiamo che il Decreto legislativo 81/2008 prevede che datore di
lavoro e dirigenti affidino i compiti ai lavoratori tenendo conto delle
capacità e delle condizioni degli stessi in rapporto alla loro salute e alla
sicurezza.
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