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"Il ruolo del datore di lavoro nei modelli di organizzazione e gestione"
fonte www.puntosicuro.it / Sicurezza
15/03/2013 - In questi ultimi decenni l’approccio del Legislatore alla prevenzione degli
incidenti è profondamente cambiato sotto la spinta di una moderna
strategia di prevenzione di derivazione
europea. Strategia che ha portato a nuove direttive europee e a nuovi
decreti nazionali con un nuovo modo di operare la
prevenzione e di giudicare le
responsabilità.
In
questo senso l’ Ordine degli ingegneri della Provincia di Bergamo, partendo
dal presupposto che l’ingegnere può svolgere le funzioni e i ruoli di tutti i
soggetti coinvolti nelle attività di prevenzione degli infortuni, ha ritenuto opportuno organizzare
un convegno per fare il punto sulla situazione. Il convegno “
La prevenzione Infortuni nei luoghi di
lavoro secondo la moderna strategia di derivazione Europea” si è tenuto il
16 novembre 2012 a Bergamo e i materiali/atti del convegno sono stati
pubblicati sul sito dell’Ordine.
PuntoSicuro
si sofferma oggi sull’intervento del Dottor Walter Saresella, Consigliere
presso la Corte di Appello di Milano, dal titolo “
Il
Testo Unico ed il modello di organizzazione e gestione previsto dalla legge 231/2001”.
Nel
documento agli atti il Dott. Saresella racconta la
genesi dei modelli organizzativi riportando uno degli aspetti di
criticità del sistema introdotto con il D.Lgs. 626/94: la “codificazione
pratica dei ruoli e degli assetti decisionali in relazione alla gestione della
normativa in tema di sicurezza ed igiene sui luoghi di lavoro”.
In
particolare il dibattito ha ruotato intorno al
ruolo del datore di lavoro, definito dal D.Lgs. 626/94 come “il
soggetto titolare del rapporto di lavoro con il lavoratore o, comunque, il
soggetto che, secondo il tipo e l’organizzazione dell’impresa, aveva la
responsabilità dell’impresa stessa ovvero dell’ unità
produttiva… in quanto dotato di poteri decisionali o di spesa”.
Con
questa definizione si sono aperti una serie di “
varchi interpretativi che consentivano, e consentono, di
individuare come datore di lavoro un
soggetto che non stava necessariamente al vertice amministrativo della società:
era sufficiente l’individuazione di un soggetto dotato di poteri decisionali e
di spesa sufficienti a reggere il ruolo’”. Il datore non doveva più essere
necessariamente “l’organo di vertice dell’amministrazione della azienda, ma
poteva essere anche un ‘datore di lavoro diffuso’ e, cioè, collocato nei punti
strategici vitali dell’organizzazione aziendale complessa senza però essere
presente nell’organo amministrativo del vertice sociale”.
Era
tuttavia evidente che il vero potere stava altrove e cioè nei vertici societari
(“è in questa sede che si individuano e si attuano le strategie aziendali”).
Con
tale “abbassamento del ruolo del ‘ datore
di lavoro’ e la rivalutazione giurisprudenziale della responsabilizzazione
degli organi di vertice dell’azienda (persone fisiche)”, è stato possibile razionalizzare
il sistema sanzionatorio “verificando anche ipotesi di
forme di responsabilità che coinvolgano anche la società in sé.
Ci
si è posti quindi il problema di verificare la possibilità di ritenere ipotesi
di responsabilità della società, connessa a comportamenti costituenti reato”.
Problema
che “era già stato risolto nel nostro ordinamento quando, con
D.Leg. 8 giugno 2001 n. 231, si era
posta la disciplina della responsabilità
amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni
anche prive di personalità giuridica in relazione ad una serie di reati dolosi
(corruzione, concussione, falso in bilancio) a seguito dei quali emerge un
utile specifico in capo alla società (ad esempio creazione di fondi neri)”.
Il
documento, a cui vi rimandiamo per una lettura integrale, riporta diverse parti
del decreto 231/2001, ad esempio in relazione alla responsabilità dell’ente
per i reati commessi nel suo interesse o a
suo vantaggio.
Successivamente
con
legge 3 agosto 2007 n. 123 il
Legislatore fissa un
nuovo punto fermo
inserendo nel decreto 231/2001 l’art. 25-septies relativo a “omicidio colposo e
lesioni colpose gravi o gravissime, commessi con violazione delle norme
antinfortunistiche e sulla tutela dell'igiene e della salute sul lavoro”.
Ma
se l'ente è responsabile per i reati commessi nel suo interesse o a suo
vantaggio (art 5 legge 231/2001), “
quale
interesse ha la persona giuridica nella realizzazione di un delitto di lesioni
o di omicidio colposi quali sono gli infortuni sul lavoro e le malattie
professionali”?
L’interesse
non è quello immediatamente connesso al reato, ma sono “i fatti connessi al fatto
reato, che lo precedono e ne consentono od agevolano la commissione; si pensi
ad esempio alla
mancanza di destinazione
di risorse al ciclo produttivo eludendo così gli obblighi di legge legati
alla sicurezza in senso soggettivo (formazione ed informazione), organizzativo
(mancata costituzione dei servizi) ed oggettivo (fattibilità tecnologica):
specialmente in relazione a questo terzo aspetto è di tutta evidenza come la
mancata destinazione di adeguate risorse al ciclo produttivo, al fine di
effettuare le corrette manutenzioni ordinarie e straordinarie, di adeguare le
attrezzature ai precetti normativi ed in generale di garantire quanto di meglio
la tecnologia consente di fare nei limiti della fattibilità tecnologica
concretamente attuabile (cfr tra le altre già Cass. 27.9.1994 n. 10164 e
C.Cost. 312/96), può integrare gli estremi di (un malinteso) interesse della
società ad indulgere al reato, ponendone le premesse con una consapevolezza ‘a
cavallo’ fra l’ipotesi di colpa cosciente e del dolo eventuale”.
In
questa prospettiva il Legislatore con l’introduzione del Decreto legislativo 81/2008 (TU)
contribuisce “a razionalizzare il rapporto esistente fra normativa
antinfortunistica e di igiene e la legge 231/2001”.
Tale
norma dispone che vi sono
modelli di organizzazione
e di gestione idonei ad avere
efficacia
esimente della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle
società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica, modelli che
devono essere adottati ed efficacemente attuati,
assicurando un sistema aziendale per l'adempimento di tutti gli
obblighi giuridici relativi a:
-
rispetto degli standard tecnico-strutturali di legge relativi a attrezzature,
impianti, luoghi di lavoro, agenti chimici, fisici e biologici;
-
attività di valutazione dei rischi e di predisposizione delle misure di
prevenzione e protezione conseguenti;
-
attività di natura organizzativa, quali emergenze, primo soccorso, gestione
degli appalti, riunioni periodiche di sicurezza, consultazioni dei
rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza; - attività di sorveglianza
sanitaria;
-
attività di informazione e formazione dei lavoratori;
-
attività di vigilanza con riferimento al rispetto delle procedure e delle
istruzioni di lavoro in sicurezza da parte dei lavoratori;
-
acquisizione di documentazioni e certificazioni obbligatorie di legge;
-
periodiche verifiche dell'applicazione e dell'efficacia delle procedure
adottate.
Inoltre
il modello
organizzativo e gestionale
deve
prevedere idonei sistemi di registrazione dell'avvenuta effettuazione delle
attività indicate al comma 1. E deve prevedere
un'articolazione di funzioni che assicuri le competenze tecniche ed i
poteri necessari per la verifica, valutazione, gestione e controllo del
rischio, nonché un sistema disciplinare idoneo a sanzionare il mancato rispetto
delle misure indicate nel modello. E deve essere previsto
un idoneo sistema di controllo
sull'attuazione del medesimo modello e sul mantenimento nel tempo delle
condizioni di idoneità delle misure adottate.
Il
Legislatore prevede inoltre “la presunzione di conformità al modello sopra
decritto delle linee guida UNI –Inail, del modello British Standard OHSAS
10001:2007 ovvero dei modelli indicati dalla Commissione Consultiva Permanente
in tema di sicurezza ed igiene”.
Dunque
il presupposto per la creazione di un modello di organizzazione e gestione “adeguato
ai fini della tutela della società ai sensi della legge 231/2001 è il
rispetto pieno ed esauriente del modello
organizzativo in tema di sicurezza sul lavoro”. In questo senso quando il
Legislatore pretende l’effettuazione della
valutazione
dei rischi (art 30 lett b), si deve considerare anche la necessità di
predisporre una adeguata organizzazione aziendale sotto il profilo della
distribuzione dei poteri mediante un coerente sistema di deleghe”. Il TU
prevede che il documento di valutazione dei rischi “debba contenere
l’individuazione delle procedure per
l’attuazione delle misure da realizzare nonché dei ruoli dell’organizzazione
aziendale che vi debbano provvedere” a cui debbano essere assegnati
unicamente soggetti in possesso di adeguate competenze e poteri”.
Il
modello previsto dall’articolo 30 TU “per essere funzionale e non essere un
mero fatto burocratico, deve garantire che
il
compito di vigilare sul funzionamento e l’osservanza dei modelli di curare il
loro aggiornamento sia stato affidato a un organismo dell’ente dotato di
autonomi poteri di iniziativa e di controllo.
Insomma,
conclude l’intervento, il Legislatore pretende, “per avere una efficacia
esimente della responsabilità della società connessa a fatti costituenti reato,
la vigenza di un modello
di organizzazione e di gestione adeguato, autonomo e sempre attivo a fronte
di ipotizzabili ‘cali di attenzione’ della organizzazione aziendale”.
“ Il Testo Unico ed il modello di organizzazione e gestione
previsto dalla legge 231/2001”, a cura del Dottor Walter Saresella,
Consigliere presso la Corte di Appello di Milano, materiale relativo all’intervento
al convegno “La prevenzione Infortuni nei luoghi di lavoro secondo la moderna
strategia di derivazione Europea” (formato PDF,
51 kB).
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