News
"Sugli elementi necessari per stabilire l’esistenza di mobbing"
fonte www.puntosicuro.it / Responsabilità sociale
10/06/2013 -
Commento a cura di G. Porreca.
Sono stati indicati dalla Corte di Cassazione in questa breve
sentenza degli elementi la cui presenza è indispensabile affinché si
individui l’esistenza di un comportamento mobbizzante da parte del
datore di lavoro. Alla domanda da parte di un lavoratore di riconoscere
la presenza di tale comportamento mobbizzante legato in particolare ad
uno svuotamento delle mansioni allo stesso affidate la Corte suprema ha
risposto facendo presente che il mobbing presuppone
l’esistenza di una serie di atti vessatori collegati al fine
dell’emarginazione di un soggetto passivo e che quindi non è sufficiente
per stabilire la sua presenza la prospettazione di un mero svuotamento
di mansioni in quanto occorre invece una preordinazione
all’emarginazione stessa.
Il caso e l’iter giudiziario
La Corte di Appello, confermando la sentenza di primo
grado, ha rigettata la domanda di un lavoratore proposta nei confronti del
Comune di cui era dipendente, avente ad oggetto la declaratoria
dell'illegittimità della revoca dell'incarico di responsabile di sezione con
conseguente sua reintegrazione nel posto precedentemente occupato e condanna di
controparte al risarcimento dei danni.
La stessa Corte di Appello aveva innanzitutto ritenuto
inammissibile, perché nuova, la domanda diretta ad ottenere l'ordine di
cessazione delle attività vessatorie e mobbizzanti in quanto essa non trovava riscontro nel ricorso
introduttivo del giudizio. Relativamente poi alla assunta dequalificazione
professionale, conseguente alla allegata privazione di qualsiasi incarico a
seguito della revoca della funzione di responsabile di sezione, la stessa Corte
aveva rilevato che il ricorrente avrebbe dovuto dimostrare che gli incarichi
erano rimasti "sulla carta" e non avevano avuto esecuzione e che egli
era rimasto inoperoso. Secondo la Corte territoriale il ricorrente, al contrario,
non aveva assolto a tale onere in quanto la prova articolata non verteva su
fatti specifici e rilevanti a quel fine, ma anzi comportava l'espressione da
parte dei testimoni di inammissibili valutazioni circa il contenuto meramente
formale degli incarichi. Né la Corte del merito ha ritenuto che gli incarichi
assegnati al ricorrente non fossero corrispondenti alla professionalità propria
della categoria d'inquadramento.
Avverso la sentenza della Corte di Appello il lavoratore
ha ricorso in cassazione contro il quale il Comune ha presentato un
controricorso.
Le decisioni della
Corte di Cassazione
La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso del
lavoratore ponendo in evidenza in particolare che “
il ricorrente non tiene conto che secondo la Corte del merito il
mobbing
presuppone l'esistenza, e, quindi,
l'allegazione di una serie di atti vessatori teologicamente collegati al fine
dell'emarginazione del soggetto passivo”. “E proprio con riferimento a tale
ricostruzione del mobbing”, ha proseguito
la suprema Corte
, “ ritiene che manca nel
ricorso di primo grado, qualsiasi allegazione di tal genere e che, pertanto, la
relativa domanda - rectius causa petendi - è nuova”.” In altri termini”, ha
concluso la Corte di Cassazione
, “per la
Corte del merito non è sufficiente la prospettazione di un mero ‘svuotamento
delle mansioni’, occorrendo, ai fini della deduzione del mobbing, anche
l'allegazione di una preordinazione finalizzata all'emarginazione del
dipendente”.
Segnala questa news ad un amico
Questa news è stata letta 1232 volte.
Pubblicità