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"Sugli elementi necessari per stabilire l’esistenza di mobbing"

fonte www.puntosicuro.it / Responsabilità sociale

10/06/2013 -
Cassazione Civile Sezione Lavoro - Sentenza n. 7985 del 2 aprile 2013 -  Pres. Lamorgese – Est. Napoletano – P.M. Romano - Ric. omissis.  
 
Commento a cura di G. Porreca.
 
Sono stati indicati dalla Corte di Cassazione in questa breve sentenza degli elementi la cui presenza è indispensabile affinché si individui l’esistenza di un comportamento mobbizzante da parte del datore di lavoro. Alla domanda da parte di un lavoratore di riconoscere la presenza di tale comportamento mobbizzante legato in particolare ad uno svuotamento delle mansioni allo stesso affidate la Corte suprema ha risposto facendo presente che il  mobbing presuppone l’esistenza di una serie di atti vessatori collegati al fine dell’emarginazione di un soggetto passivo e che quindi non è sufficiente per stabilire la sua presenza la prospettazione di un mero svuotamento di mansioni in quanto occorre invece una preordinazione all’emarginazione stessa.

Il caso e l’iter giudiziario
La Corte di Appello, confermando la sentenza di primo grado, ha rigettata la domanda di un lavoratore proposta nei confronti del Comune di cui era dipendente, avente ad oggetto la declaratoria dell'illegittimità della revoca dell'incarico di responsabile di sezione con conseguente sua reintegrazione nel posto precedentemente occupato e condanna di controparte al risarcimento dei danni.
 
La stessa Corte di Appello aveva innanzitutto ritenuto inammissibile, perché nuova, la domanda diretta ad ottenere l'ordine di cessazione delle attività vessatorie e mobbizzanti in quanto essa non trovava riscontro nel ricorso introduttivo del giudizio. Relativamente poi alla assunta dequalificazione professionale, conseguente alla allegata privazione di qualsiasi incarico a seguito della revoca della funzione di responsabile di sezione, la stessa Corte aveva rilevato che il ricorrente avrebbe dovuto dimostrare che gli incarichi erano rimasti "sulla carta" e non avevano avuto esecuzione e che egli era rimasto inoperoso. Secondo la Corte territoriale il ricorrente, al contrario, non aveva assolto a tale onere in quanto la prova articolata non verteva su fatti specifici e rilevanti a quel fine, ma anzi comportava l'espressione da parte dei testimoni di inammissibili valutazioni circa il contenuto meramente formale degli incarichi. Né la Corte del merito ha ritenuto che gli incarichi assegnati al ricorrente non fossero corrispondenti alla professionalità propria della categoria d'inquadramento.
 
Avverso la sentenza della Corte di Appello il lavoratore ha ricorso in cassazione contro il quale il Comune ha presentato un controricorso.
 
Le decisioni della Corte di Cassazione
La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso del lavoratore ponendo in evidenza in particolare che “ il ricorrente non tiene conto che secondo la Corte del merito il mobbing presuppone l'esistenza, e, quindi, l'allegazione di una serie di atti vessatori teologicamente collegati al fine dell'emarginazione del soggetto passivo”. “E proprio con riferimento a tale ricostruzione del mobbing”, ha proseguito la suprema Corte , “ ritiene che manca nel ricorso di primo grado, qualsiasi allegazione di tal genere e che, pertanto, la relativa domanda - rectius causa petendi - è nuova”.” In altri termini”, ha concluso la Corte di Cassazione , “per la Corte del merito non è sufficiente la prospettazione di un mero ‘svuotamento delle mansioni’, occorrendo, ai fini della deduzione del mobbing, anche l'allegazione di una preordinazione finalizzata all'emarginazione del dipendente”.
 
 
 

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