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"Sulla responsabilità prevenzionale e per reati colposi di evento del RSPP"
fonte www.puntosicuro.it / Responsabilità sociale
09/09/2013 -
Commento a cura di G. Porreca.
La Corte di Cassazione in questa sentenza fa il punto su di un
argomento già oggetto di precedenti espressioni della stessa Corte è
cioè sulla individuazione delle responsabilità del responsabile del servizio di prevenzione e protezione di
una azienda nel caso che nella stessa si verifichino degli infortuni
sul lavoro o si riscontrino delle malattie professionali occorse a
lavoratori dell’azienda stessa. Occorre distinguere nettamente,
ribadisce la suprema Corte, il piano delle responsabilità prevenzionali,
derivanti dalla violazione di norme di puro pericolo, da quello delle
responsabilità per reati colposi di evento che si possono riscontrare
nel caso di infortuni sul lavoro o tecnopatie accadute ai lavoratori
potendo essere chiamato in tal caso il RSPP a rispondere in concorso con
il datore di lavoro se non addirittura in via esclusiva per colpa
professionale allorquando si accerti che ha agito con imperizia,
negligenza, imprudenza o inosservanza di leggi e discipline oppure abbia
dato un suggerimento sbagliato o abbia trascurato di segnalare una
situazione di rischio, inducendo, così, il datore di lavoro ad omettere
l'adozione di una doverosa misura prevenzionale.
Il caso, l’iter giudiziario e il ricorso per cassazione
Il dirigente preposto al servizio
manutenzione ed il responsabile del servizio di prevenzione e protezione di una
azienda sanitaria sono stati accusati e condannati dal Tribunale per il reato
di lesioni colpose a seguito di un infortunio occorso ad un paziente ricoverato
presso un ospedale dell’azienda sanitaria medesima nonché per contravvenzioni ad
alcune norme antinfortunistiche. Era accaduto che un paziente, sottoposto ad
una terapia mediante apparecchio elettromedicale, a causa di una sovratensione
verificatasi nell'impianto elettrico, aveva ricevuto una forte scossa elettrica
a seguito della quale era caduto dal letto, perdendo i sensi e riportando anche
una lesione lacero-contusa al capo, con ricovero in ospedale. Agli stessi era
stato addebitato la colpa di avere omesso di installare o di fare installare e
di mantenere in modo adeguato l'impianto elettrico del locale adibito a
terapia, di avere omesso di garantire l'adeguato isolamento tra i conduttori
dell'impianto elettrico, di avere omesso di predisporre la messa a terra delle
parti metalliche, di avere omesso gli opportuni accorgimenti per proteggere
l'impianto da sovraccarichi e di avere omesso di predisporre in modo visibile
la tabella recante le istruzioni da seguire per i soccorsi da prestare a
persone eventualmente folgorate, addebiti di colpa ritenuti tutti causalmente
collegati con l'incidente accaduto.
La Corte di Appello ha dichiarato non
doversi procedere per intervenuta prescrizione in ordine al delitto di lesioni
colpose ed ha prosciolto, con formula piena, nonostante la prescrizione, il
RSPP dalle contravvenzioni alle norme antinfortunistiche allo stesso contestate
motivando la decisione con il rilievo che l’imputato, quale RSPP non era
titolare diretto della posizione di garanzia e non poteva rispondere dell'addebito
relativo all'omissione di informazioni agli addetti ai servizi di prevenzione e
protezione, trattandosi di un obbligo questo gravante sul datore di lavoro o su
soggetti dal medesimo preposti.
Entrambi gli imputati hanno proposto
ricorso per cassazione. Il RSPP a sua difesa ha sostenuto di avere segnalato e
comunicato al datore di lavoro la situazione pericolosa dell'impianto
elettrico, tanto che lo stesso si era attivato ed aveva dato avvio a una serie
di iniziative (tra cui l'adozione del sistema differenziale perfettamente
rispondente alle norme tecniche e di sicurezza), iniziative tutte rivolte a
gestire il fattore di rischio, ivi compreso quello connesso alle variazioni di
tensione. I fattori di rischio indicati nei capi di imputazione, ha sostenuto
altresì il RSPP, non avevano avuto alcuna incidenza causale con l'incidente ed i
possibili sovraccarichi in conseguenza di eventuali dispersioni non avrebbero
potuto, in ogni caso, avere sensibili conseguenze in ragione della particolare
tipologia dell'apparecchio al quale era legato il paziente, poiché, al suo
interno lo stesso aveva delle limitazioni che bloccavano l'erogazione quando il
valore di tensione tendeva a salire. Comunque, ha sostenuto ancora il RSPP, anche
in ipotesi di dispersione, sarebbe intervenuto il differenziale bloccando
l'erogazione della corrente. Come secondo motivo il RSPP ha precisato che
l'incidente accaduto non era riconducibile alla normativa antinfortunistica in
quanto la parte offesa era un paziente e
non era compresa tra i soggetti di tutela equiparati al lavoratore.
Il dirigente dell’azienda e direttore
del servizio manutenzioni, da parte sua, ha lamentato che gli
obblighi di sicurezza di cui ai capi di imputazione erano estranei al ruolo
dallo stesso svolto in azienda ed ascrivibili invece al solo direttore del
servizio tecnico della stessa e messo in evidenza altresì che comunque le
violazioni alle norme antinfortunistiche contestate non erano incidenti, in
termini di nesso causale, con l'evento, come affermato, del resto dagli stessi
giudici di appello. L’incidente inoltre, secondo lo stesso, non era da
ricondurre alle condizioni della cabina e dell'impianto, bensì esclusivamente
al funzionamento della macchina cui era collegato il paziente, nonché al
comportamento del personale sanitario addetto alla macchina. Ha sottolineato ancora
in particolare che, secondo quanto emerso dalla relazione peritale contenuta
nella sentenza impugnata, la natura delle correnti in gioco non era stata tale
da coinvolgere l'efficienza dell'impianto, tanto che non era intervenuto il
differenziale. Lo stesso ha infine avanzato il ragionevole dubbio che
l'incidente fosse riconducibile al cattivo funzionamento delle macchine
fisioterapiche.
Le decisioni della Corte di Cassazione
La Corte di Cassazione
ha ritenuto i ricorsi presentati dagli imputati infondati ed ha confermato le
condanne dei ricorrenti.
Con
riferimento alla posizione del RSPP la suprema Corte ha affermato, in conformità agli esiti
delle relazioni tecniche in atti, che la responsabilità dell'imputato fosse da
ricollegare in una negligente sottovalutazione dei rischi, dovuti alla presenza
nei locali di un impianto elettrico non a norma, che provocava situazioni
repentine di sovratensione, con conseguente malfunzionamento degli apparecchi
medicali ed un aumento rapido della corrente erogata dagli elettrodi, idonee a
generare nel paziente una sensazione dolorosa e delle contrazioni più forti
tali da giustificare la caduta del paziente e le relative lesioni, incidente da
ricollegare quindi all’imperizia dimostrata dallo stesso ad affrontare la
situazione di pericolo. Secondo i giudici della Sez. IV il RSPP era tenuto non
solo a segnalare l'effettività del rischio ma anche a proporre concreti ed
idonei sistemi di prevenzione e protezione per evitare gli eventi, come quello
verificatosi mettendo in evidenza che sarebbe stato sufficiente, per evitare
l’accaduto, così come evidenziato nella relazione di uno dei consulenti tecnici
riportata nella sentenza impugnata, attuare il collegamento delle
apparecchiature potenzialmente pericolose a dei gruppi di continuità e
stabilizzatori di tensione, in modo tale da non consentire variazioni rapide
delle tensioni in linea.
La sentenza, ha precisato la Sez. IV,
non ha posto in discussione il principio che il responsabile del servizio di
prevenzione e protezione non è titolare di alcuna posizione di garanzia
rispetto all'osservanza della normativa antinfortunistica e che lo stesso
opera, piuttosto, quale "consulente" del datore di lavoro il quale è
e rimane direttamente tenuto ad assumere le necessarie iniziative idonee a
neutralizzare le situazioni di rischio. ”
In
effetti”, ha proseguito la Sez. IV, “
la
‘designazione’ del RSPP, che il datore di lavoro era tenuto a fare a norma del
D. Lgs. n. 626 del 1994, art. 8 individuandolo ai sensi dell'art. 8 bis del
citato decreto tra persone i cui requisiti siano ‘adeguati alla natura dei
rischi presenti sul luogo di lavoro e relativi alle attività lavorative’, v.
ora D. Lgs. n. 81 del 2008, artt. 31 e 32 non equivale a ‘delega di funzioni’
utile ai fini dell'esenzione del datore di lavoro da responsabilità per la
violazione della normativa antinfortunistica, perché gli consentirebbe di
‘trasferire’ ad altri - il delegato - la posizione di garanzia che questi
ordinariamente assume nei confronti dei lavoratori. Posizione di garanzia che,
come è noto, compete al datore dì lavoro in quanto ex lege onerato dell'obbligo
di prevenire la verificazione di eventi dannosi connessi all'espletamento
dell'attività lavorativa”.
“Dalla ricostruzione dei compiti del RSPP”, ha ribadito ancora la Corte
suprema, “
discende, coerentemente, che il
medesimo è privo di capacità immediatamente operative sulla struttura
aziendale, spettandogli solo di prestare ‘ausilio’ al datore di lavoro nella
individuazione e segnalazione dei fattori di rischio delle lavorazioni e nella
elaborazione delle procedure di sicurezza nonché di Informazione e formazione
dei lavoratori (cfr. art. 33 del Decreto cit.)” per cui “
il datore di lavoro, quindi, è e rimane il
titolare della posizione di garanzia nella subiecta materia, poiché l'obbligo
di effettuare la valutazione dei rischi e di elaborare il documento contenente
le misure di prevenzione e protezione, appunto in collaborazione con il RSPP,
fa pur sempre capo a lui, tanto che la normativa di settore, mentre non prevede
alcuna sanzione penale a carico del RSPP, punisce direttamente il datore di
lavoro già per il solo fatto di avere omessa la valutazione dei rischi e non
adottato il relativo documento.
“
Quanto
detto”, ha però precisato la Sez. IV, “
non
esclude che, indiscussa la responsabilità del datore di lavoro che rimane
persistentemente titolare della ‘posizione di garanzia’, possa profilarsi lo
spazio per una (concorrente)
responsabilità del RSPP
. Anche il RSPP, che pure è privo dei poteri decisionali e di spesa e
quindi non può direttamente intervenire per rimuovere le situazioni di rischio,
può essere ritenuto (cor)responsabile del verificarsi di un infortunio, ogni qualvolta
questo sia oggettivamente riconducibile ad una situazione pericolosa che egli
avrebbe avuto l'obbligo di conoscere e segnalare, dovendosi presumere che alla
segnalazione avrebbe fatto seguito l'adozione, da parte del datore di lavoro,
delle necessarie iniziative idonee a neutralizzare detta situazione”. Il RSPP, quindi, secondo la suprema
Corte, non può essere chiamato a rispondere per il solo fatto di non avere
svolto adeguatamente le proprie funzioni di verifica delle condizioni di
sicurezza, proprio perché non è prevista una espressa sanzione nel sistema
normativo nei suoi confronti ma “
il
fatto, però, che la normativa di settore escluda la sanzionabilità penale o
amministrativa di eventuali comportamenti inosservanti dei componenti del
servizio di prevenzione e protezione, non significa che questi componenti
possano e debbano ritenersi in ogni caso totalmente esonerati da qualsiasi
responsabilità penale e civile derivante da attività svolte nell'ambito
dell'incarico ricevuto”.
A tal punto la Corte di Cassazione ha messo
bene in evidenza che “
infatti, occorre
distinguere nettamente il piano delle responsabilità prevenzionali, derivanti
dalla violazione di norme di puro pericolo, da quello delle responsabilità per
reati colposi di evento, quando, cioè, si siano verificati infortuni sul lavoro
o tecnopatie” per cui “
ne consegue
che il responsabile del servizio di prevenzione e protezione qualora, agendo
con imperizia, negligenza, imprudenza o inosservanza di leggi e discipline,
abbia dato un suggerimento sbagliato o abbia trascurato di segnalare una
situazione di rischio, inducendo, così, il datore di lavoro ad omettere
l'adozione di una doverosa misura prevenzionale, risponderà insieme a questi
dell'evento dannoso derivatone, essendo a lui ascrivibile un titolo di colpa
professionale che può assumere anche un carattere addirittura esclusivo”. “
L'omissione colposa al potere-dovere di
segnalazione in capo al RSPP”, ha quindi proseguito la Sez. IV, “
impedendo l'attivazione da parte dei
soggetti muniti delle necessarie possibilità di intervento, finirebbe con il
costituire (con)causa dell'evento dannoso verificatosi in ragione della mancata
rimozione della condizione di rischio: con la conseguenza, quindi, che, qualora
il RSPP, agendo con imperizia, negligenza, imprudenza o inosservanza di leggi e
discipline, abbia dato un suggerimento sbagliato o abbia trascurato di
segnalare una situazione di rischio, inducendo, così, il datore di lavoro ad
omettere l'adozione di una doverosa misura prevenzionale, ben potrebbe rectius,
dovrebbe essere chiamato a rispondere insieme a questi in virtù del combinato
disposto dell'art. 113 c.p., e art. 41 c.p., comma 1 dell'evento dannoso
derivatone”
La Corte di Cassazione ha quindi
condiviso le conclusioni alle quali sono pervenuti i giudici di merito essendo
stato accertato che l'incidente si era verificato per evidenti carenze
dell'apparato elettrico, il cui rischio non era stato idoneamente messo in luce dal RSPP e non per un difetto
dell’apparecchiatura elettromedicale. Per quanto riguarda poi la presunta
inapplicabilità della normativa antinfortunistica alla parte offesa in quanto
non compresa tra i soggetti dalla stessa tutelati, la suprema Corte ha inoltre
ribadito che “
le norme antinfortunistiche
non sono dettate soltanto per la tutela dei lavoratori nell'esercizio della
loro attività, ma sono dettate anche a tutela dei terzi che si trovino
nell'ambiente di lavoro, indipendentemente dall'esistenza di un rapporto di
dipendenza con il titolare dell'impresa. Ne consegue che ove in tali luoghi vi
siano macchine non munite dei presidi antinfortunistici e si verifichino a
danno del terzo i reati di lesioni o di omicidio colposi, perché possa
ravvisarsi l'ipotesi del fatto commesso con violazione delle norme dirette a
prevenire gli infortuni sul lavoro, di cui all'art. 589 c.p., comma 2, e art.
590 c.p., comma 3, nonché la perseguibilità d'ufficio delle lesioni gravi e
gravissime, ex art. 590 c.p., u.c., è necessario e sufficiente che sussista tra
siffatta violazione e l'evento dannoso un legame causale, il quale ricorre se
il fatto sia ricollegabile all'inosservanza delle predette norme secondo i
principi di cui agli artt. 40 e 41 c.p., e cioè sempre che la presenza di
soggetto passivo estraneo all'attività ed all'ambiente di lavoro, nel luogo e
nel momento dell'infortunio non rivesta carattere di anormalità, atipicità ed
eccezionalità tali da fare ritenere interrotto il nesso eziologico tra l'evento
e la condotta inosservante, e la norma violata miri a prevenire l'incidente verificatosi,
tutte condizioni sussistenti nel caso in esame”.
In riscontro al ricorso presentato dal
dirigente la Sez. IV ha inteso infine precisare che lo stesso rivestiva
pacificamente questa carica in azienda quale preposto al settore manutenzioni e
che quindi, per chiaro dettato legislativo e per i principi consolidati della
Corte di Cassazione, era destinatario specifico delle norme antinfortunistiche
ai quali le disposizioni di legge, il D.P.R. n. 547/1955 allora ed ora il D.
Lgs. n. 81/2008, assegnano degli obblighi “diretti” (iure proprio) con la
previsione di precise sanzioni per gli inadempienti, prescindendo da una
eventuale " delega
di funzioni" conferita
dal datore di lavoro.
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