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"Addetti all’emergenza: come favorire i processi decisionali"
fonte www.puntosicuro.it / Formazione ed informazione
03/10/2013 -
Spesso l’addetto all’emergenza è chiamato a prendere decisioni in
momenti difficili e senza avere tutti i dati a sua disposizione. Questa
fatto lo può mettere in ansia e ciò può contribuire a commettere errori.
Nell’articolo si affronta il problema delle decisioni in queste
situazione esaminando i supporti formativi ed alcune strategie che
possono essere utili in queste circostanze.
Addetti all’emergenza: come favorire i processi decisionali
Di Antonio Zuliani.
Al manifestarsi di una situazione
critica e ancor più nell’evolversi di un’emergenza il personale chiamato ad
intervenire si trova nella condizione di dover prendere una serie di decisioni
a volte fondamentali per l'esito finale. Prendiamo lo spunto dalle riflessioni
sull’emergenza per svolgere delle considerazioni che sono valide più
estesamente in momenti critici in cui si affrontano scelte difficili.
Decidere non è facile
Decidere non è per nulla facile,
tanto più quando si sente il peso di tale responsabilità.
Procedura e linee guida sono
utili supporti, ma non ci si può affidare solamente ad esse perché non possono
contemplare tutte le caratteristiche di quello che accade.
Uno degli aspetti che rende
particolarmente difficile la presa di una decisione è la paura del fallimento
con il conseguente “rammarico” accompagnato dall’idea che si sarebbe potuta
prendere una decisione migliore.
Come ricordavano Zuliani e
Bellotto (2013) una delle caratteristiche più interessanti di questo rammarico
è il suo legame con la normalità; nel senso che si produce più rammarico quando
si prende una decisione diversa da quella abituale, dal default ordinario, e
quando il risultato che abbiamo di fronte è prodotto da un'azione piuttosto che
da un’inazione (Kehneman). Ecco perché decidere è sempre molto faticoso tanto più
quando, come nelle situazioni di emergenza,
c’è poco tempo per farlo e le informazioni sulle quali basarsi sono spesso
ambigue, incomplete e inusuali.
Il processo decisionale
In ogni caso per giungere a una
qualsiasi decisione è necessario il concorso di tre componenti fondamentali:
- Il cervello, che è la “macchina
per pensare”. Si tratta di una macchina che non si compera da nessun
concessionario, ma nasce, si sviluppa e acquista via via delle caratteristiche
peculiari. Come ogni macchina chiede una continua manutenzione per mantenerne
l'efficienza;
- Dei dati da elaborare. Il
cervello raccoglie in ogni istante una grande massa di informazioni provenienti
dal mondo esterno e da quello interno. Il fatto che giungano tutti questi
stimoli contemporaneamente spinge il cervello, inevitabilmente, a fissare la
sua attenzione solamente su alcuni punti: ciò provoca il fenomeno della cecità
attenzionale, un processo in base al quale la concentrazione su di uno
specifico elemento della scena provoca la sparizione di tutti gli altri. È come
se si creasse una sorta di ancoraggio che determina il significato di tutti gli
altri aspetti. Come dice Bacon “quando hai adottato un’opinione (perché è
l’opinione generalmente accettata o perché gli è gradita) l’intelletto
umano porta ogni altro elemento a supportarla e a concordare con essa”.
- L’energia sufficiente per far
funzionare il tutto. Prendere decisioni richiede energia e quindi occorre
prestare molta attenzione ad avere una sufficiente riserva di energia.
Il ruolo della formazione
La formazione può avere un ruolo
decisivo nel favorire il miglioramenti dei processi decisionali nella misura in
cui permette alla persona di mettersi a confronto con alcune delle
problematiche sopra citate e di acquisire delle risorse organizzative e
metodologiche fondamentali.
Tra gli aspetti che la formazione
può migliorare vi è la capacità di lavorare in gruppo. Il gruppo è il luogo in
cui le persone si scambiano informazioni sui temi del lavoro o della presenza
di un problema da risolvere. Lo fanno sulla base di ruoli e competenze sui
quali occorre possedere chiarezza.
Il lavoro di gruppo cui facciamo
riferimento in questa sede si inquadra nel profilo del team work perché le
persone chiamate a farne parte vi giungono sulla base di ruoli e competenze
lavorative e non per una scelta emotiva o personale.
Lavorare in un team work permette
anche di imparare ad affrontare i conflitti che inevitabilmente si sviluppano
all’interno e ciò sarà utile per prepararsi ad affrontare
le emergenze, dove le tensioni tra le persone sono inevitabili.
Il lavoro di gruppo permette di
sviluppare un’altra caratteristica utile che è quella di riconoscere
l’efficacia della leadership. La figura del leader, ricordiamolo, non coincide
automaticamente con quella del capo o della persona gerarchicamente ai vertici
di un’organizzazione, bensì è colui che riesce a sintetizzare i bisogni e le
esigenze del gruppo. In questa direzione il leader diventa un facilitatore
nella presa di decisione perché coinvolge tutti in questo processo.
Una terza competenza che il
lavoro di gruppo permette di sviluppare è quella della comunicazione intesa sia
come capacità di ascolto (se non si ascolta non si possono valorizzare i
feedback che provengono dagli altri in ordine alla soluzione dei problemi) sia
come modalità comunicativa. Comunicare non significa solamente trasferire
un’informazione ad un’altra persona, ma assicurarsi che la stessa sia messa
nelle condizione di comprenderla.
Ecco allora poste le basi per
mettere la persona nelle condizioni migliori per l’ultima competenza sulla
quale la formazione può incidere: l’attenzione agli errori cognitivi insiti in
ogni processo decisionale. Se commettere errori è normale, solo un costante
confronto con gli altri può ridurre l’incidenza e l’ansia che si possono
generare. E’ nell’esperienza comune la constatazione che più si teme di
sbagliare e più si sbaglia.
Lavorare collettivamente sugli
errori permette di poter assumere una maggior consapevolezza della loro
presenza senza il bisogno di negarne l’evidenza.
Alcune strategie
Di seguito presentiamo alcune
strategie, sulla stregua di quanto scrive Konnikova (2013), che possono essere
utilizzate al fine di migliorare la capacità decisionale di fronte ad un
problema. Si tratta di indicazioni di massima che vanno sempre adattate alle
caratteristiche personali di chi le vuole mettere in pratica.
Assicurarsi sufficiente energia.
Come detto il cervello ha bisogno
di energia e molti studi sottolineano come gli zuccheri siano elementi
fondamentali nei processi decisionali. Anche un leggero calo dei livelli di
zucchero nel sangue inibisce l’autocontrollo, perché i lobi frontali esigono
moltissima energia per funzionare. Ciò significa che in questa situazione si
diviene più facilmente irascibili perché il cervello è meno capace di
controllare le emozioni negative suscitate dalla situazione (Lehrer, 2009).
Per aiutarsi, come suggeriscono
Gaillot e altri (2007) basta una semplice bibita zuccherata che possa
reintegrare la concentrazione di glucosio nel sangue. Dewal e altri (2008)
hanno evidenziato come l’assunzione di liquidi zuccherati aumenti la stessa
disponibilità ad aiutare gli altri proprio nelle persone che, per il loro
incarico, hanno dovuto svolgere compiti che richiedono una grande dose di
autocontrollo, come nel caso di addetti
alla sicurezza e all'emergenza.
Un cambio di attività
Cambiare attività, ovvero passare
a qualche cosa di apparentemente non correlato al problema che si sta
affrontando per decomprimere il pensiero. È chiaro che deve trattarsi di
un'attività verso la quale si nutre un certo interesse, ma che al contempo non
risulti troppo complicata o richiede uno sforzo eccessivo: possiamo parlare di
musica arte letteratura senza dimenticare che il passeggiare rappresenta un
grande stimolo creativo, oltre a far bene all’organismo.
Assumere una distanza fisica
Gli studi di psicologia
ambientale ci mostrano come i luoghi abbiano una grande capacità di influenzare
il pensiero, perché i luoghi ci collegano ai ricordi, alle attività che vi si
svolgono.
Da questo punto di vista un
cambiamento della prospettiva rispetto al luogo può sollecitare un cambiamento
anche nella prospettiva mentale che aiuta il processo decisionale.
Raccogliere i dati con temperanza
Spesso di fronte a una situazione
si ritiene che più dati si raccolgono più facile sarà prendere la decisione
giusta. Secondo gli studiosi i dati veramente utilizzabili contemporaneamente
vanno da 4 ad 8. Certamente l'esperienza piò aiutarci ad accrescere tali
capacità, ma non di molto.
Valutare le ipotesi concorrenti
Ogni qual volta si provi a vedere
il problema da una diversa prospettiva si può scoprire che le convinzioni si
basano su fondamenta fragili per cui appare utile verificare le soluzioni
adottate assumendo punti di vista diversi.
Separare le osservazioni dalle
deduzioni.
Si tratta di un'attenzione molto
importante altrimenti rischiamo che le nostre decisioni si fondano sulle
convinzioni anziché sui fatti.
Descrivere la situazione
Un utile esercizio per attenuare
gli errori consiste nel descrivere la situazione ad una persona che non la
conosce (in mancanza di meglio tale descrizione può essere fatta per iscritto).
Lo stesso atto di parlare obbliga la persona a rallentare e a raccogliere gli
errori che possono insinuarsi all’interno dell’idea precostituita che si è
fatto della situazione. Si potrebbe quasi dire che le orecchie notano le cose
che gli occhi non hanno visto.
Erroneamente si ritiene che
questo racconto sai una perdita di tempo, che invece risulterebbe alla fine
molto più significativo se si prendessero decisioni sbagliate.
Tenere conto di tutti i sensi
Tutti i sensi ci influenzano
nella percezione, anche se spesso non ce ne rendiamo perfettamente conto.
Allora si dovrebbe lavorare per avere un'osservazione inclusiva che utilizzi i
segnali che arrivano da tutti i sensi.
Pensiamo sotto questo aspetto a
quanto venga trascurato l’olfatto, visto come una sorta di senso invisibile,
che invece ci invia costantemente segnali che registriamo anche se in modo
inconsapevole. Numerosi studi sottolineano come l'olfatto influenza il
funzionamento dell’amigdala e quindi tutto il processo delle emozioni.
Anche il tatto ha una sua
rilevanza: pensiamo alla sensazione di caldo, freddo, di liscio o ruvido, che
ci spinge a ritenere una situazione più o meno gradevole.
Valorizzare l'immaginazione e la creatività
L’immaginazione e la creatività
sono aspetti molto importanti perché permettono di prendere tutti gli aspetti
raccolti dall’osservazione dell’evento e di ricombinarli in modo del tutto
nuovo. Poter usare questa strategia permette di combinare gli elementi in
possesso avendo libertà di usarli nelle più svariate maniere, attenuando la
terribile forza della semplificazione e delle euristiche (vedi Zuliani e
Bellotto, 2013).
Utilizzando l’immaginazione si fa
una sorta di passo indietro rispetto a quanto stiamo osservando e si vede il
tutto da altri punti di vista. Proprio l’immaginazione e la creatività
favoriscono la possibilità di assumere una distanza psicologica dall’evento di
riuscire a vederlo in modo più obiettivo.
Ricordarsi che improbabile non significa impossibile
Quest’osservazione può sembrare
fin troppo ovvia, ma il nostro cervello non sembra pensarla allo stesso modo.
Il cervello, quando incontra un fatto nuovo, cerca di inquadrarlo all’interno
di ciò che gli suggerisce l’esperienza passata e lo fa utilizzando la logica
del possibile, ovvero utilizzando dei punti di ancoraggio che lo inducono a
leggere ciò che sta accadendo rispetto a schemi precostituiti che hanno
funzionato benissimo in passato.
L’improbabile arriva ad avere
poco spazio nel nostro ragionamento perché entra in conflitto con le esperienze
passate consolidate.
Ancora una volta rischiamo di
utilizzare dei pregiudizi e delle aspettative di coerenza che possono indurci
ad una lettura errata della situazione.
Diffidare dell’eccessiva sicurezza
L’eccessiva sicurezza rappresenta
un grave pericolo perché alle sue spalle c’è una sorta di autocompiacimento che
può sfociare nella presunzione di saper sempre compiere le scelte più
opportune.
Se è ben vero che la fiducia in
se stessi è una molla fondamentale che ci spinge ad utilizzare la nostra
capacità e ad andare oltre i nostri limiti, c'è il rischio che essa ci spinga
solo a stimare le nostre abilità e a sottostimare quello che accade attorno a
noi, perché riteniamo di poterlo sempre controllare.
Quindi l'eccessiva sicurezza può
generare cecità e spingerci a errori madornali. Vi sono dei segnali importanti
per comprendere quando questa sicurezza diventi pericolosa: tendiamo ad essere
troppo poco sicuri sui problemi facili e troppo sicuri su quelli difficili;
aumenta la familiarità rispetto alle cose che affrontiamo per cui ci sembra di
conoscerle già appieno e di non aver bisogno di mettersi in ascolto.
Antonio Zuliani
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