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" La sicurezza che ci serve oggi: meno documenti e più sostanza"
fonte www.puntosicuro.it / Sicurezza
09/10/2013 - La questione della sicurezza e salute sul lavoro è un
valore etico primario e
quindi deve essere garantito, per effetto della Costituzione, a tutti
coloro che prestano la loro opera a fronte di un corrispettivo.
Nondimeno in una situazione di crisi congiunturale gravissima
nel settore industriale, fare discorsi teorici porta a poco risultato.
Eppure esistono delle chiavi di lettura che salvano la visione
etica/umana contemporaneamente a quella di sviluppo industriale.
È evidente che dobbiamo inventarci una
logica nuova,
addirittura un nuovo linguaggio, se vogliamo fare fronte adeguatamente a
questa sfida. Sfida, vorremmo essere chiari, difficilissima da vincere!
Le premesse oggettive non sono buone, nel senso ben noto e ormai
affermato apertamente sia dalle associazioni imprenditoriali che dalle
organizzazioni sindacali, che noi (loro) non siamo più gli unici
artefici del nostro destino. Che in questi anni si sia lavorato male,
anzi malissimo, è sotto gli occhi di tutti, ma se lavoreremo bene a
livello industriale senza una politica adeguata in ambito nazionale e
comunitario, ci resterà qualche opportunità di invertire la rotta? Io
credo di no.
Come è cambiato il quadro di riferimento
In un momento di ricchezza,
quella che allora veniva chiamata lotta di classe contrapponeva industria e
sindacato col fine (non sempre perseguito con il dovuto equilibrio) di una più
equa distribuzione della ricchezza. Le battaglie delle Unions, talvolta
eccessivamente violente, si basavano comunque su un principio sacrosanto; chi
produce, fisicamente col proprio lavoro, ha diritto di essere partecipe
dell’arricchimento che lui stesso produce. In una misura adeguata, certo, ma
nel rispetto della dignità e della libertà della persona.
Quei tempi sono passati anche
perché i risultati fondamentali sono stati raggiunti e legiferati, talvolta
addirittura con eccesso di zelo.
Quindi oggi quale è la
aspirazione del
lavoratore?
Avere un lavoro che gli consenta
di accedere ai propri diritti fondamentali, anche senza quegli eccessi che
negli anni passati la ricchezza generalizzata aveva permesso.
Dall’altra l’
industriale vuole salvare quel bene, l’azienda, in cui ha investito
la vita e il proprio denaro, accedendo anche lui a quei diritti fondamentali
che gli sarebbero negati se la sua azienda dovesse fallire.
In entrambi i casi facciamo salvi
i casi di disonesti e truffatori.
Questa convergenza evidente
rischia però che entrambi i soggetti mettano da parte un altro elemento fondamentale
di diritto: la salute e la sicurezza sul lavoro.
Gli industriali perché appare un
inutile aggravio in un momento di vera e gravissima crisi, i sindacati e i
singoli lavoratori perché le loro priorità attuali sono assolutamente diverse.
Attenzione, questo non porta a
una nuova immoralità, alla volontà di tornare indietro, ma all’arresto di un processo
virtuoso di miglioramento che data dall’immediato dopoguerra e si accelera con
decisione nell’ultimo decennio.
La sicurezza come fattore di sistema industriale
Allora vediamo un attimo come
possiamo
ridefinire la sicurezza oggi
in funzione degli interessi primari dei soggetti sopra citati. La sicurezza ha
tanto più valore quanto più una azienda e la compagine dei suoi lavoratori
riescono a preservare e fare crescere il patrimonio di competitività e
innovatività aziendale. Sacrificare queste caratteristiche per infortuni o malattie
professionali, e per la demoralizzazione diffusa che questi eventi, se
gravi, si portano dietro, sarebbe come dichiarare la prossima chiusura di
quella azienda. Non esiste denaro, poco peraltro, che giustifichi questo
percorso, sia che finisca nelle tasche dell’imprenditore, sia che invece
finisca in quelle dei lavoratori.
Perdere conoscenza, perdere
capacità, perdere slancio, questa è la fine delle aziende. E se tale perdita
deriva da questioni di sicurezza e salute, ebbene poco cambia.
Allora la visione della sicurezza
cambia, diventa
visione di competitività
e di futuro.
Non è più il rispetto di regole
europee spesso farraginose, e comunque scritte da chi in fabbrica ha
vissuto poco o nulla. Enunciare splendidi principi serve davvero a poco se la
società è matura, come la nostra, per andare ad applicare la sostanza.
La sicurezza che ci serve oggi
Le leggi sono sempre di più e
aiutano sempre meno; spesso confondono, altre volte portano la nostra
attenzione su fattori marginali facendoci perdere di vista la sostanza.
Dobbiamo dare un taglio netto e
tornare agli enunciati fondamentali: il lavoro NON
deve assolutamente portare a rovinare (cambiare radicalmente) la
vita di una persona, o addirittura a farla morire. Questo è il principio! Il
resto sono chiacchiere, carte spesso inutili, tempo spesso sprecato quando
potrebbe essere utilizzato, ancora su sicurezza e salute, per raggiungere
risultati ben più concreti.
La innovazione principale
introdotta dal D.Lgs. 626/94, dalle direttive di prodotto (direttiva macchine
98/37/CE) e dalle successive loro modificazioni è stata la
valutazione dei rischi. Un problema di sicurezza è importante tanto
più è elevato il rischio, il rischio concreto, quello che si potrebbe
manifestare in azienda.
Il resto sono solo conseguenze
legislative (p. es. i titoli del D.Lgs. 81/2008 a partire dal II in poi) che
talvolta sono anche poco coerenti col principio di valutazione dei
rischi.
Qualcuno obietterà: ma senza
quelle disposizioni legislative non si sarebbe fatto nulla del tutto. Vero, ma
quel tempo è passato e i nostri legislatori europei operano come se si
ragionasse ancora come negli anni ’50. Diamoci una svegliata, semplifichiamo e
puliamo.
Cosa vorremmo oggi
Il Datore
di Lavoro, per la sua posizione nella società di soggetto che trae il
massimo utile dal successo della stessa, è il
garante della sicurezza di tutti i suoi collaboratori. I
lavoratori, per parte loro, devono collaborare al loro meglio, e sarebbe ben
assurdo il contrario, a garantire la propria e la altrui salute e sicurezza.
Ma per fare questo, oltre ai due
principi elementari sopra espressi, serve poco; deciso chi deve fare e quali
sono gli obiettivi, si andrà poi a giudicare il suo operato. Oggi appesantiamo
gli adempimenti puntuali delle aziende e togliamo risorse agli enti di
controllo! Che senso ha?
La comunità aziendale tutta ha il
dovere di lavorare bene; tutti devono impegnarsi su salute e sicurezza secondo
il proprio ruolo. Poi si giudicherà dai risultati! Finiamola con la
carta inutile.
Uno spiraglio di luce
L’estensione della responsabilità
amministrativa ex D.Lgs.
231/2001 ai reati in materia di sicurezza e salute sul lavoro ha aperto una
speranza; una disposizione di
applicazione volontaria che dice però alla azienda, come ente, che se sbaglierà
cercando il proprio interesse o vantaggio, sarà punita.
A mio avviso bellissima
impostazione, ma con
due limiti:
pene troppo alte che scoraggiano i giudici dalla loro applicazione, e ancora
troppa carta da produrre per fare vedere che l’azienda si è impegnata. Basta:
meno registrazioni e più sostanza!
Altrimenti, se vogliamo fare tutto sulla carta, ma allora a cosa serve la
magistratura, a fare da notaio?
Però è una speranza, un nuovo
modo di vedere le cose, speriamo che invece che affossato come vorrebbe
qualcuno (e mi duole dirlo, anche fra gli industriali), tutto ciò venga
migliorato e ne vengano mitigati gli eccessi.
Ma non basta, ci vuole ancora
altro, un amico carissimo parla di
cambiamento
di mentalità! E lo intende esteso a tutti, dagli imprenditori ai
lavoratori. Io condivido a pieno ma dico anche che è davvero dura con i tempi
ristretti che abbiamo davanti per tirarci fuori dal pantano di questa crisi.
La prossima puntata
E quindi dovremo parlare
necessariamente di
formazione (VERA
formazione) e coinvolgimento
di tutto il personale per dare questa svolta a mio avviso indispensabile
per la crescita del valore delle nostre aziende.
Ne parleremo presto su queste
pagine.
Alessandro
Mazzeranghi
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