News
"Gli incontri formativi brevi e la mancata verifica della comprensione"
fonte www.puntosicuro.it / Formazione ed informazione
17/10/2013 - Con la sentenza del 1° ottobre 2013 n. 40605,
la Quarta Sezione Penale della Cassazione si è pronunciata sul tema della
formazione e in particolare sull’adeguatezza dei percorsi formativi in materia
di salute e sicurezza che hanno visto come destinatario un lavoratore
straniero.
Il ricorrente è il datore di lavoro di una
cooperativa condannato dal Tribunale di Torino per il reato contravvenzionale
“di cui all'art. 22 del D.Lvo n. 626/1994
[“formazione dei lavoratori”; ora art. 37 D.Lgs. 81/08, n.d.r.] perché, quale
legale rappresentante della società cooperativa G., ometteva di assicurare
informazioni sulla sicurezza, osservando in particolare, per quanto interessa
in questa sede, che la formazione fornita al lavoratore C. G. (impartite
mediante
due incontri di quindici minuti ciascuno) non fosse adeguata.
”
Con uno dei due suoi motivi di ricorso, il
ricorrente (datore di lavoro) “rileva che gli incontri formativi svolti
apparivano sufficienti in relazione al tipo di infortunio poi verificatosi,
relativo alla violazione di elementari norme di prudenza (lancio di materiale
all'interno di una fossa da parte di un lavoratore); osserva che in ogni caso
non risultava se la formazione insufficiente aveva riguardato anche il
lavoratore responsabile del lancio di materiali; rimprovera inoltre al giudice
di merito l'errore nell'interpretazione delle modalità
della formazione che deve avvenire in determinate circostanze previste
dalle norme (assunzione, cambio di mansioni, utilizzo di nuove attrezzature
ecc.).”
Ma secondo la Suprema Corte
“questo motivo è inammissibile per manifesta
infondatezza” in quanto
“il giudice
del merito, richiamati i principi giurisprudenziali riguardanti i precisi
doveri che incombono sul datore di lavoro in tema di formazione sulla sicurezza
dei propri dipendenti, ha considerato che
due soli incontri di quindici
minuti ciascuno sono insufficienti
tenuto conto altresì degli argomenti
trattati, sulla scorta di quanto riferito dai lavoratore stesso C. G.”
La Cassazione ricorda poi che il Tribunale,
con un corretto percorso argomentativo,
“ha rilevato inoltre che
sarebbe stato onere del D. P. [datore di lavoro,
n.d.r.] accertare se le “procedure scritte” di movimentazione consegnate ai
lavoratori fossero state
comprese e recepite dagli stessi e in
particolare da quelli stranieri, come il C. G., e a tale questione ha dato
risposta negativa”; pertanto il ricorso è da dichiararsi inammissibile.
Viene qui implicitamente richiamato il
principio
di effettività della formazione e dell’informazione da decenni ribadito
dalla Corte di Cassazione, secondo cui quella prevista dagli attuali articoli
36 e 37 D.Lgs. 81/08 (in precedenza artt. 21 e 22 del D.Lgs. 626/94) non può
essere configurata come una “obbligazione di mezzi”, la quale - qualora in
questo caso sussistesse - obbligherebbe il datore di lavoro semplicemente allo
svolgimento di una certa attività (l’“erogazione” della formazione e
dell’informazione, indipendentemente dalla verifica
dell’assimilazione da parte del lavoratore), bensì va inquadrata come
un’obbligazione
di risultato, laddove quest’ultimo è rappresentato dalla effettiva
assimilazione dei concetti e dei contenuti ad opera dei destinatari
dell’informazione e della formazione.
Il datore di lavoro deve pertanto farsi
garante della piena ed effettiva comprensione ed assimilazione dei concetti e
contenuti trasmessi in occasione dei percorsi informativi e formativi erogati,
pena il mancato adempimento degli obblighi - penalmente sanzionati - di cui
agli attuali articoli 36 e 37 D.Lgs. 81/08 (e prima artt. 21 e 22 D.Lgs.
626/94).
Se ciò che viene richiesto al datore di
lavoro è dunque il raggiungimento di un obiettivo concreto, legato
all’apprendimento da parte del lavoratore
e quindi ad un risultato verificabile nella pratica, lo strumento per il
raggiungimento di tale risultato e quindi l’adempimento dell’obbligazione
sottostante non può che essere inquadrato in termini fattuali, sostanzialistici
e di reale raggiungimento dello scopo, e non certo in termini burocratici,
formalistici ed astratti.
In questo senso, anche in passato, la Suprema
Corte ha avuto modo di osservare che la normativa prevenzionale pone la
“necessità che l’istruzione sui rischi sia
stata realmente recepita dai lavoratori” (Cass. Pen. 20 gennaio 2006) ed
impone al datore di lavoro l’
“adozione di
misure concrete in grado di assicurare l’effettiva conoscenza delle normative” antinfortunistiche
e di igiene del lavoro (Cass. Pen. 27 ottobre 2005).
E ancora, ha sottolineato la
Cassazione,
“gli obblighi che gravano sul
datore di lavoro, e ciò vale anche in tema informazione e formazione, non sono
limitati ad un rispetto meramente formale, come può essere quello derivante
dalla predisposizione di opuscoli e lettere informative e dalla apposizione di
cartelli, ma esigono che vi sia una positiva azione del datore di lavoro volta
ad assicurarsi che le regole in questione vengano assimilate dai lavoratori e
vengano rispettate nella ordinaria prassi di lavoro.” (Cass. Pen., Sez. IV,
22 aprile 2004 n. 18638)
Poiché, come ci ricorda un’altra
sentenza della Corte (Cass. Pen. 3 febbraio 2005 n. 13251),
“in tema di sicurezza antinfortunistica, il
compito del datore di lavoro è articolato, comprendendo, tra l’altro, non solo
l’istruzione dei lavoratori sui rischi connessi a determinati lavori, la necessità
di adottare le previste misure di sicurezza, la predisposizione di queste, ma
anche il controllo continuo, congruo ed effettivo, nel sorvegliare e quindi
accertare che quelle misure vengano, in concreto, osservate, non pretermesse
per contraria prassi disapplicativa, e, in tale contesto, che vengano
concretamente utilizzati gli strumenti adeguati, in termini di sicurezza, al
lavoro da svolgere, controllando anche le modalità concrete del processo di
lavorazione.
Il datore di lavoro, quindi, non esaurisce il proprio compito
nell’approntare i mezzi occorrenti all’attuazione delle misure di sicurezza e
nel disporre che vengano usati, ma su di lui incombe anche l’obbligo di
accertarsi che quelle misure vengano osservate e che quegli strumenti vengano
utilizzati.”
Nella sentenza in commento - del 1° ottobre
2013 - peraltro, il principio di effettività della formazione e
dell’informazione viene applicato ad un lavoratore
straniero, quindi ad una persona rispetto alla quale ancora più rilevante
risulta la verifica della effettiva comprensione di un contenuto formativo,
nella fattispecie delle
“procedure
scritte di movimentazione consegnate ai lavoratori”.
Si veda su questo punto, in relazione alla
normativa attualmente vigente, l’art. 37 del D.Lgs. 81/08 che al primo comma
prevede che
“il datore di
lavoro
assicura che ciascun lavoratore
riceva una formazione sufficiente ed adeguata in materia di salute e
sicurezza,
anche rispetto alle
conoscenze linguistiche….” e al comma 13 precisa che
“il contenuto della formazione deve essere
facilmente comprensibile per i lavoratori e deve consentire loro di acquisire
le conoscenze e competenze necessarie in materia di salute e sicurezza sul
lavoro.
Ove la formazione riguardi
lavoratori immigrati, essa avviene previa verifica della comprensione e
conoscenza della lingua veicolare utilizzata nel percorso formativo.”
Segnala questa news ad un amico
Questa news è stata letta 934 volte.
Pubblicità