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"Il giudizio del medico competente non sfugge al controllo del giudice"

fonte www.puntosicuro.it / Normativa

24/10/2013 - Del giudizio espresso dal medico competente è  “sempre possibile verificare l’attendibilità per il tramite del sindacato giudiziario”.
Così la Cassazione Lavoro nella recente sentenza 10 ottobre 2013 n. 23068, che ha confermato la precedente decisione con cui era stata dichiarata l’illegittimità del licenziamento intimato ad un lavoratore (giudicato dal  medico competenteinidoneo alla mansione a fronte dell’esposizione al rischio specifico di  movimentazione manuale dei carichi) e ne era stata disposta la reintegra, rigettando l’impugnazione della sentenza proposta da parte della società per azioni datrice di lavoro.
 
La Suprema Corte sintetizza così il percorso logico argomentativo che ha portato la Corte d’Appello di Milano a confermare la sentenza del Tribunale di Lodi:  “la Corte [d’Appello] ha, in pratica, condiviso il convincimento del primo giudice [il Tribunale, n.d.r.] sulla  mancanza del carattere di decisività del parere espresso dal medico competente di cui alla procedura prevista dal decreto legislativo n. 626 del 1994 [ora D.Lgs. 81/08, n.d.r.],  parere rispetto al quale era sempre possibile verificare l’attendibilità per il tramite del sindacato giudiziario, per cui, una volta accertato, tramite consulenza medico-legale d’ufficio, che era da escludere l’inidoneità fisica del dipendente a svolgere le mansioni assegnategli, essendo possibile l’adozione di talune cautele da parte della datrice di lavoro atte ad evitare rischi per la salute del [lavoratore] non restava che confermare l’illegittimità del provvedimento di licenziamento.”

Analizzando i motivi di ricorso in Cassazione proposti dalla S.p.a., poi, la Suprema Corte dichiara infondato il primo motivo con cui la società ricorrente faceva presente che “il lavoratore non aveva impugnato, innanzi alla azienda sanitaria locale territorialmente competente, il parere di inidoneità al lavoro, formulato nei suoi confronti dal medico di fabbrica, entro il termine di trenta giorni previsto da tale disposizione di legge, per cui lo stesso parere era divenuto incontestabile e ciò precludeva al dipendente di proporre domanda giudiziaria intesa a contestare le risultanze dell’accertamento sanitario il cui esito era vincolante per la parte datoriale”.
 
E la Cassazione spiega chiaramente il perché dell’infondatezza di questa argomentazione.
 
La Corte cita infatti la sentenza n. 420 del 14/12/1998 della Corte costituzionale con cui quest’ultima “ha avuto modo di chiarire che, essendo pacifico in giurisprudenza che la dichiarazione di inidoneità fisica in esito alle procedure di cui all’art. 5 dello Statuto dei lavoratori non ha carattere di definitività, potendo il giudice della controversia pervenire a diverse conclusioni sulla base della consulenza tecnica d’ufficio disposta nel giudizio di merito, il datore di lavoro, nel momento in cui opta per l’immediato licenziamento del dipendente, anziché chiedere, secondo le normali regole contrattuali, la risoluzione giudiziaria del rapporto di lavoro per sopravvenuta impossibilità della prestazione, agisce a suo rischio, che rientra nel principio del “rischio d’impresa”, secondo una scelta del legislatore chiaramente rivolta a tutela del soggetto più debole.”
 
E ancora, fa riferimento alla sentenza Cass. Sez. Lav. n. 2953 del 4/4/1997 con cui la Suprema Corte in passato ha avuto modo di precisare che “nel caso di contrasto tra il contenuto del certificato del medico curante e gli accertamenti compiuti dal medico di controllo il giudice del merito deve procedere alla loro valutazione comparativa al fine di stabilire (con giudizio che è insindacabile in sede di legittimità se adeguatamente motivato) quale delle contrastanti motivazioni sia maggiormente attendibile, atteso che le norme che prevedono la possibilità di controllo della malattia, nell’affidare la relativa indagine ad organi pubblici per garantirne l’imparzialità, non hanno inteso attribuire agli atti di accertamento compiuti da tali organi una particolare ed insindacabile efficacia probatoria che escluda il generale potere di controllo del giudice. (in senso conf. v. Cass. Sez. lav. n. 6564 dell’11/5/2001)”.
 
Tornando alla fattispecie, la Cassazione dà ragione alla Corte d’Appello che “ha adeguatamente motivato il proprio convincimento in merito alla idoneità dell’appellato allo svolgimento delle mansioni lavorative facendo leva proprio sul parere tecnico del consulente d’ufficio e condividendone le conclusioni.”
 
Un parere, quello del consulente tecnico, che - ricorda la Suprema Corte - ha “tenuto conto non solo dello stato di salute del dipendente licenziato per asserita inidoneità lavorativa, ma anche dell’ispezione del luogo lavorativo e delle modalità in cui l’attività lavorativa praticata dal medesimo poteva essere fatta svolgere nel rispetto delle prescrizioni di legge poste a tutela della salute dei lavoratori.”
 
In particolare, il perito d’ufficio, infatti, aveva “osservato che dopo un primo giudizio positivo del medico competente dell’azienda circa l’idoneità del lavoratore era stata affermata poi l’inidoneità, dopodiché, a seguito dell’esame fisico del dipendente e dell’ispezione sui luoghi di lavoro, era stato formulato un nuovo giudizio di idoneità dello stesso lavoratore allo svolgimento delle mansioni cui era stato addetto, sulla base della considerazione che non vi erano patologie che ne imponessero la sospensione in via precauzionale, mentre si era ritenuto necessario un ausilio meccanico per il trasporto dei pesi o quello di un altro lavoratore per carichi superiori ai quindici chilogrammi, onde evitare il sovraccarico della colonna vertebrale.”
Secondo il consulente d’ufficio “non sussistevano, in realtà, le contraddizioni segnalate dalla società appellante circa la difficoltà al reperimento di altri posti di lavoro e tale giudizio è stato condiviso dalla Corte d’appello.”
 
A tal riguardo, peraltro, “la stessa Corte [d’Appello] ha evidenziato che in materia di movimentazione di carichi esistono già disposizioni a tutela dei lavoratori sottoposti ad attività che comportino rischi di patologie da sovraccarico biomeccanico, in particolare dorso-lombari, che impongono l’uso di mezzi appropriati e di attrezzature meccaniche, come ad esempio gli artt 167 e segg. del D.lgs 9/4/2008, n. 81 […], aggiungendo che nella fattispecie il sussidio umano era stato indicato dal medico aziendale solo come soluzione alternativa agli strumenti meccanici.”
 
 
 
 
 
 
Anna Guardavilla

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