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"Sicurezza sul lavoro: le responsabilità di datore di lavoro e CDA"
fonte www.puntosicuro.it / Responsabilità sociale
14/11/2013 -
Il Datore di Lavoro: posizione di garanzia antinfortunistica
La sentenza c.d. Thyssen della Corte d'Assise del Tribunale di
Torino del 14.11.2011 n. 31095/07 N.R. n. 2/2009 RGA, si sofferma in
modo esemplare sul concetto e sulla
individuazione della figura del datore di lavoro: occorre «
ricordare che, come insegna la Corte di Cassazione (n. 4981, 6.02.2004)
la
definizione di "datore di lavoro": " ... non è intesa nel senso
esclusivamente civilistico e giuslavoristico, e quindi limitata a chi è
titolare del rapporto di lavoro, ma
si estende a chi ha la responsabilità dell'impresa o dell'unità produttiva ed è titolare dei poteri decisionali e di spesa ...[in base al]
principio di effettività
[oggi
art. 2 comma 1 del D.Lgs. n. 81/2008].
Con questa modifica non si fa più riferimento ad un dato formale ... ma altresì a dati di natura sostanziale quali la responsabilità dell'impresa o dell'unità produttiva purché accompagnati - questo è il punto - dai poteri decisionali e di spesa. Insomma ciò che rileva, al fine di creare la qualità di datore di lavoro, e quindi la posizione di garanzia, sono il potere di decidere e quello di spendere. Chi li possiede è datore di lavoro e quindi titolare della posizione di garanzia ...
Ma il principio di effettività non ha mai significato che il soggetto gravato della posizione di garanzia - e che disponeva dei poteri di decidere e di spendere - potesse esonerarsene su base volontaria o contrattuale e lo stesso istituto della delega di funzioni è stato assoggettato ad una rigorosissima serie di vincoli che comunque non hanno mai condotto alla totale esclusione della responsabilità del delegante qualora questi non avesse esercitato appieno i residui poteri di controllo sull'opera del delegato.
Con questa modifica non si fa più riferimento ad un dato formale ... ma altresì a dati di natura sostanziale quali la responsabilità dell'impresa o dell'unità produttiva purché accompagnati - questo è il punto - dai poteri decisionali e di spesa. Insomma ciò che rileva, al fine di creare la qualità di datore di lavoro, e quindi la posizione di garanzia, sono il potere di decidere e quello di spendere. Chi li possiede è datore di lavoro e quindi titolare della posizione di garanzia ...
Ma il principio di effettività non ha mai significato che il soggetto gravato della posizione di garanzia - e che disponeva dei poteri di decidere e di spendere - potesse esonerarsene su base volontaria o contrattuale e lo stesso istituto della delega di funzioni è stato assoggettato ad una rigorosissima serie di vincoli che comunque non hanno mai condotto alla totale esclusione della responsabilità del delegante qualora questi non avesse esercitato appieno i residui poteri di controllo sull'opera del delegato.
Insomma il principio di effettività è un metodo,
anche conoscitivo, per riportare la responsabilità laddove si trovano i poteri
di decidere e di spendere e non un modo per esonerare da responsabilità chi,
per scelta propria, di questi poteri disponga ma non li eserciti".
Ancora, per quanto qui rileva,
nella stessa sentenza: "Nel caso
di una società di capitali originariamente il
datore di lavoro
(in
senso civilistico) va individuato nel consiglio di amministrazione o
nell'amministratore unico. Ove, con la nomina di uno o più amministratori
delegati, si verifichi il trasferimento di funzioni in capo ad essi, non per
questo va interamente escluso un
perdurante obbligo di controllo nella
gestione degli amministratori delegati'. All'individuazione nel Consiglio
di Amministrazione delle società di capitali [del]l'originario datore di lavoro
consegue la constatazione di come quest'ultimo si trovi in una "posizione
di garanzia" inderogabile, di natura pubblicistica: "proprio in
relazione alla natura dei beni tutelati (in particolare la vita e la salute
delle persone) ... dal principio di inderogabilità delle funzioni di garanzia
... consegue altresì che il problema della riserva dei poteri di controllo
neppure si pone posto che sono proprio i
poteri originari correlati alla
posizione di datore di lavoro che non possono essere unilateralmente o
convenzionalmente rinunziati
". Con la conseguenza che i
doveri "residui" di controllo dei membri del Consiglio di
Amministrazione derivano dalla inderogabilità della loro "posizione di
garanzia" e sono - solo - civilisticamente previsti anche dal 2°
comma dell'art. 2392 c.c., nella forma attenuata - ma non eliminata -
successiva alla riforma del diritto societario (D.Lgs n. 6/2003).
Concetto ribadito, più di recente, dalla stessa Corte
Suprema nella sentenza n. 38991/2010: "Questa Corte in plurime sentenze ha
già avuto modo di statuire che
nelle
imprese gestite da società di capitali gli obblighi inerenti alla prevenzione
degli infortuni ed igiene sul lavoro, posti dalla legge a carico del datore di
lavoro, gravano indistintamente su tutti i componenti del consiglio di
amministrazione (Cass.Pen. Sez. IV, 6820/07, Mantelli). Infatti, anche di
fronte alla presenza di una eventuale delega di gestione conferita ad uno o più
amministratori, specifica e comprensiva dei poteri di deliberazione e spesa,
tale situazione può ridurre la portata della posizione di garanzia attribuita
agli ulteriori membri del consiglio, ma non escluderla interamente, poiché
non
possono comunque essere trasferiti i
doveri di controllo sul generale
andamento della gestione e di intervento sostitutivo in caso di mancato
esercizio della delega».
Se la sicurezza non è “oggetto di specifica delega, gli obblighi
imposti ai datori di lavoro dalla normativa antinfortunistica [devono]
ritenersi
gravanti su tutti i componenti del Consiglio di amministrazione”
[Cass. Pen. sez. IV, 8.02.2008 , n. 6280]: “nelle
imprese gestite da società di capitali, gli obblighi inerenti alla prevenzione
degli infortuni posti dalla legge a carico del datore di lavoro, gravano
indistintamente su tutti i componenti del consiglio di amministrazione” [ Cass.
Pen., sez. IV, 8.02.2008 n. 6280].
In particolare “la decisione è in linea con la giurisprudenza
di questa Corte (v. tra le altre, sez. IV^, 11.07.2002, Macola ed altro)
secondo la quale nel caso di imprese gestite da società di capitali, gli obblighi concernenti l'igiene e la
sicurezza del lavoro gravano su tutti i componenti del Consiglio di
amministrazione. La sentenza sopra citata
sottolinea, altresì, che la delega di gestione, in proposito conferita ad uno o
più amministratori, se specifica e comprensiva di poteri di deliberazione e
spesa,
può solo ridurre la portata della
posizione di garanzia attribuita agli ulteriori componenti del Consiglio, ma
non escluderla interamente, poichè non possono comunque essere trasferiti i
doveri di controllo sul generale andamento della gestione e di intervento,
soprattutto nel caso di mancato esercizio della delega” [Cass. Pen. sez. IV, 8.02.2008, n. 6280].
Anche la sentenza
Sezione IV, 10.06.2010, Quaglierini ed altri (c.d. sentenza
Montefibre), affronta il medesimo tema in una vicenda
relativa a società che gestiva uno
stabilimento dedito alla produzione di fibre di nailon ove si faceva uso di
amianto per coibentare i tubi ed i macchinari.
Nella specie, della
morte di alcuni lavoratori (14), che nello stabilimento avevano inalato polveri
di amianto, contraendo malattie (4 asbestosi e 10
mesotelioma pleurico), che li aveva portati al decesso, erano stati chiamati a
rispondere tutti i membri del consiglio di amministrazione, anche in presenza
di una delega ad uno o più amministratori delle attribuzioni in materia di
sicurezza ed igiene sul lavoro: ciò sul rilievo che su tutti gravava il compito
di vigilare sulla complessiva politica di sicurezza dell’azienda, il cui
processo produttivo prevedeva l’utilizzo dell’amianto, con conseguente
esposizione dei lavoratori al rischio di inalazione delle relative polveri
[rischio strategico attinente scelte generali dell'impresa].
La S.C. (Suprema
Corte) ha affermato il principio che
la posizione di garanzia degli altri
componenti del consiglio di amministrazione
non viene meno con riferimento a ciò che attiene alle scelte aziendali
di livello più alto [strategiche] in ordine alla organizzazione delle
lavorazioni: da ciò derivando che, anche in ossequio al disposto
dell’articolo 2392 del codice civile, nonostante la delega,
permane la
responsabilità dei vertici aziendali e, quindi, di tutti i componenti del
consiglio di amministrazione, quanto agli eventi lesivi determinati da difetti
strutturali aziendali e del processo produttivo, aggiungendo, testualmente, che “in una fattispecie analoga a quella
oggetto di giudizio, relativa ad impresa il cui processo produttivo prevedeva
l'utilizzo dell'amianto e che aveva esposto costantemente i lavoratori al
rischio di inalazione delle relative polveri, si è ritenuto che, pur a fronte
dell'esistenza di amministratori muniti di delega per l'ordinaria
amministrazione e dunque per l'adozione di misure di protezione concernenti i
singoli lavoratori od aspetti particolari dell'attività produttiva,
gravasse
su tutti i componenti del consiglio di amministrazione il compito di vigilare
sulla complessiva politica della sicurezza dell'azienda, il cui radicale
mutamento -per l'onerosità e la portata degli interventi necessari - sarebbe
stato indispensabile per assicurare l'igiene del lavoro e la prevenzione delle
malattie professionali. In sostanza,
in presenza di strutture aziendali
complesse, la delega di funzioni esclude la riferibilità di eventi lesivi ai
deleganti se sono il frutto di occasionali disfunzioni; quando invece sono
determinate da difetti strutturali aziendali e del processo produttivo, permane
la responsabilità dei vertici aziendali e quindi di tutti i componenti del
consiglio di amministrazione. Diversamente opinando, si violerebbe il
principio del divieto di totale derogabilità della posizione di garanzia, il
quale prevede che pur sempre a carico del delegante permangano obblighi di
vigilanza ed intervento sostitutivo”.
La sentenza, Sezione
IV, 7.04.2010, Gubertoni: sottolinea che, nelle imprese gestite da società di
capitali, gli obblighi inerenti alla prevenzione degli infortuni posti dalla
legge a carico del datore di lavoro, gravano comunque indistintamente su tutti i componenti del consiglio di
amministrazione, se e in quanto difetti una delega specifica relativa alla
sicurezza del lavoro.
La S.C., alla
luce di tale principio e della considerazione che non risultava neanche
documentata una delega specifica, ha rigettato il ricorso proposto
dall’amministratore della società, al carico del quale era stato formalizzato l’addebito,
fondato sulla doglianza che semmai doveva ritenersi responsabile il Presidente
del Consiglio di amministrazione.
Ai sensi dell'
art. 2381 del Codice Civile “…, il CdA
può delegare proprie attribuzioni … ad uno o più dei suoi componenti. Il CdA …
valuta, sulla base della relazione degli organi delegati, il generale andamento
della gestione. …Gli amministratori sono tenuti ad agire in modo informato;
ciascun amministratore può chiedere agli organi delegati che in consiglio siano
fornite informazioni relative alla gestione della società”: la
delega di gestione o gestoria di
cui all'art. 2381 c.c.
non spoglia definitivamente il consiglio di
amministrazione delle proprie attribuzioni,
il quale infetti continua a costituire il perno della gestione sociale, nel senso che, così come gli
è imputabile il risultato della gestione, deve pur sempre essergliene conservata la responsabilità [dovere di
vigilanza sul generale andamento della gestione].
Il datore di lavoro originario è il consiglio di amministrazione o
l'amministratore unico
La Cassazione penale, nella c.d. sentenza
Galeazzi, ha precisato che
«
nel caso
di una società di capitali originariamente il datore di lavoro (in senso
civilistico) va individuato nel consiglio di amministrazione o
nell'amministratore unico.
Ove, con la nomina di uno o più
amministratori delegati, si verifichi il trasferimento di funzioni in capo ad
essi, non per questo va interamente escluso un
perdurante obbligo di controllo della gestione degli amministratori
delegati; ciò trova un importante argomento di conferma, sia pure sul piano
civilistico (con conseguenze che, peraltro, non possono che riflettersi su
quello penalistico comune essendo la matrice e la giustificazione degli
obblighi di garanzia), nel testo dell'art. 2392 c. 2 cod. civ. che ribadisce,
anche nel caso di attribuzioni proprie del comitato esecutivo o di uno o più
amministratori,
la solidale responsabilità degli amministratori (di tutti gli
amministratori)
se non hanno vigilato sul generale andamento della
gestione o se, essendo a conoscenza di atti pregiudizievoli, non hanno fatto
quanto potevano per impedirne il compimento o eliminarne o attenuarne le
conseguenze dannose.
O
bblighi attenuati ma ribaditi anche nel nuovo
testo dell'ari. 2392 cod. civ. introdotto dal D.Lgs. 17 gennaio 2003 n. 6 che
ha riformato il diritto societario con entrata in vigore il 1 gennaio 2004».
Principio
di ragionevolezza
La
stessa sentenza aggiunge che «
in
base ad un
criterio di ragionevolezza si preferisce escludere che questo
obbligo [di vigilanza sul generale andamento della gestione aziendale, sulle
scelte strategiche anche in materia di sicurezza sul lavoro] riguardi anche gli
aspetti minuti della gestione, senza porre però in dubbio
l'
esigibilità di un
dovere di vigilanza sul generale andamento della gestione. Si riferisce a tale
generale andamento non l'adozione di una singola misura di prevenzione per la
tutela della salute di uno o più lavoratori o il mancato intervento in un
singolo settore produttivo ma la complessiva gestione aziendale della sicurezza
.
Dunque con il trasferimento di funzioni (come anche nella delega di funzioni ) il contenuto della posizione di garanzia gravante sull'obbligato originario si modifica e si riduce agli indicati obblighi di controllo e intervento sostitutivo: ove l'amministratore non adempia a tali obblighi residuali e, in conseguenza di questa omissione, si verifichi l'evento dannoso si dovrà ravvisare la colpa nell'inosservanza di tali obblighi. In conclusione, in un sistema che si fonda su un assetto che esclude la delegabilità di determinate funzioni in tema di sicurezza, e che comunque prevede un residuo obbligo di controllo da parte di coloro cui originariamente è attribuita la qualità di datore di lavoro, non è ipotizzabile che residui un'area di irresponsabilità in base ad accordi, formali o meno che siano, o addirittura dedurre dall'inerzia un trasferimento di funzioni con efficacia giuridica escludente la responsabilità pervenendo al risultato di esonerare taluno dalla responsabilità penale in base ad un atto di autonomia privata» [Cass. Pen. Sez. IV, n. 4981 del 5.12.2003 - Ligresti e altri].
Dunque con il trasferimento di funzioni (come anche nella delega di funzioni ) il contenuto della posizione di garanzia gravante sull'obbligato originario si modifica e si riduce agli indicati obblighi di controllo e intervento sostitutivo: ove l'amministratore non adempia a tali obblighi residuali e, in conseguenza di questa omissione, si verifichi l'evento dannoso si dovrà ravvisare la colpa nell'inosservanza di tali obblighi. In conclusione, in un sistema che si fonda su un assetto che esclude la delegabilità di determinate funzioni in tema di sicurezza, e che comunque prevede un residuo obbligo di controllo da parte di coloro cui originariamente è attribuita la qualità di datore di lavoro, non è ipotizzabile che residui un'area di irresponsabilità in base ad accordi, formali o meno che siano, o addirittura dedurre dall'inerzia un trasferimento di funzioni con efficacia giuridica escludente la responsabilità pervenendo al risultato di esonerare taluno dalla responsabilità penale in base ad un atto di autonomia privata» [Cass. Pen. Sez. IV, n. 4981 del 5.12.2003 - Ligresti e altri].
Questo significa
che
quando si tratta di mancata adozione di una singola misura di prevenzione per
la tutela della salute di uno o più lavoratori o il mancato intervento in un
singolo settore produttivo non è in questione l'obbligo di vigilanza sul
generale andamento della gestione che è comunque a carico del consiglio di
amministrazione, ma bensì i poteri di cui dispone, seguendo il filo del
ragionamento giurisprudenziale, di cui è dotato l'amministratore delegato, che
da soli giustificano la sua posizione di garanzia di datore di lavoro.
Ciò in piena coerenza con la giurisprudenza, anche di
merito, che ha sempre riconosciuto la responsabilità dell’imprenditore, a
prescindere dall’eventuale delega, quando l’infortunio è da attribuire non
tanto all’attuazione di questa o di quella misura, ma più in generale ad
una
situazione di assoluta inadeguatezza degli impianti in relazione alle
esigenze di tutela della integrità fisica dei lavoratori [Pretura di Mantova
3.03.1994 ].
Questo indirizzo giurisprudenziale consolidato
ha visto un importante segno di continuità con l'importante sentenza della
Cassazione, sez. IV penale, n. 38991, 4.11.2010 (Montefibre) che ha ribadito
una volta di più che «
anche in presenza
di una delega di funzioni a uno o più
amministratori (con specifiche attribuzioni in materia di igiene del lavoro),
la posizione di garanzia degli altri componenti del consiglio di
amministrazione non viene meno, pur in presenza di una struttura
aziendale complessa e organizzata,
con
riferimento a ciò che attiene alle scelte aziendali di livello più alto in
ordine alla organizzazione delle lavorazioni che attingono direttamente la
sfera di responsabilità del datore di lavoro».
La sentenza riguarda una
mancata protezione dei lavoratori dal rischio amianto protrattasi
per alcuni decenni.
La particolare
gravità
dei fatti ha indotto la Corte di Cassazione ad allargare la responsabilità
anche in capo a coloro che
non hanno
controllato i soggetti direttamente obbligati dalla legge alla tutela della
salute e sicurezza dei lavoratori.
L’imputazione ha ad
oggetto l’omessa adozione, soprattutto durante i frequenti lavori di
manutenzione degli impianti, di decoibentazione e nuova coibentazione, delle
cautele necessarie per evitare che i lavoratori dello stabilimento,
appartenente ad un importante società che opera a livello internazionale,
fossero esposti in modo diretto e indiretto alla inalazione delle polveri
di amianto, non essendo stati dotati di dispositivi
personali di protezione, non essendo state attuate le norme di igiene, non
essendo stati edotti i lavoratori del rischio specifico a cui erano esposti,
non essendo stato disposto di effettuare in luoghi separati le lavorazioni
insalubri, non essendo state adottate le misure per prevenire o ridurre la
dispersione e diffusione nei luoghi di lavoro delle polveri e fibre di amianto.
Gli accertamenti nel
giudizio di merito hanno consentito di verificare come le suddette violazioni
delle disposizioni sull’igiene del lavoro fossero state gravi e come, inoltre,
a partire dal momento in cui la società coinvolta nel relativo procedimento è
venuta a conoscenza dei rischi correlati all’esposizione all’amianto, il
colposo comportamento dell’azienda si fosse protratto per circa 30 anni.
Alla società era,
infatti, ben noto il rischio dell’esposizione all’amianto sin dal 1973 ossia a partire da quando i manutentori dello
stabilimento erano stati sottoposti a controlli medici proprio per sospetta
asbestosi e, a seguito di tali controlli, erano stati trasferiti, senza però
che ciò avesse comportato alcuna riduzione al rischio di esposizione all’amianto, dai reparti in cui si trovavano
.
Nonostante tale conoscenza, l’istruttoria condotta in giudizio ha accertato che
la società, salvo che
per poche e limitate iniziative giudicate del tutto insufficienti,
non ha
provveduto ad adottare radicali modifiche volte ad eliminare o a ridurre in
modo significativo il rischio amianto né con riguardo agli impianti né con
riguardo alle attività di manutenzione tanto che è risultato che nello
stabilimento fosse presente amianto ancora nel 2002.
Tali comportamenti
colposi hanno comportato le morti, avvenute fra il 1999 e il 2004, di 11
dipendenti dello stabilimento che hanno lavorato fra la metà degli anni ’50 e
l’ultima metà degli anni ’90 con mansioni che comportavano forti esposizioni
all’amianto.
Di tali persone, 8
sono morte per mesotelioma pleurico, 3 per asbestosi. Dei reati di cui sopra sono stati chiamati a
rispondere 14 dirigenti della società: 2 direttori di stabilimento; 3
amministratori delegati, 9 consiglieri di amministrazione.
La Corte di Cassazione ha ritenuto corretto il giudizio di merito di
condanna di tali imputati con riguardo all’esistenza:
a) di gravi e
reiterate omissioni colpose di norme antinfortunistiche;
b) delle
patologie contestate;
c) di un nesso
di causa fra tali patologie e l’omissione colposa delle norme
antinfortunistiche;
d) di una responsabilità da parte di tutti gli imputati nel non
avere impedito, avendone il potere, l’insorgenza e/o l’aggravamento delle
patologie contestate.
Va
poi ricordato, con particolare riferimento alle
società di persone come le s.n.c., che in presenza di imprese con
pluralità di titolari, si è stabilito che “..l'obbligo grava
indiscriminatamente su tutti i titolari dell’impresa, salvo che preventivamente
le attività per la sicurezza del lavoro vengano delegate ad uno di essi..”
(Cass. IV. 6.4.79, Bortolato; sez. IV. 30.3.65, Ornago).
Fondamentale risulta, nella prospettiva
costituzionale della responsabilità penale individuale (art. 27 comma 1 della
Costituzione), la concreta individuazione del datore di lavoro, ovvero del
soggetto al quale può essere legittimamente imputata la responsabilità penale
per i fatti compiuti nell’esercizio dell’attività alla quale sono addetti
lavoratori come definiti dall’art. 2 comma 1 lett. a) del D.Lgs. n. 81/2008.
Rolando Dubini, avvocato in
Milano
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