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"Pompe di calore geotermico, si tolgano gli ostacoli dagli investimenti"

fonte www.lavoripubblici.it / Responsabilità sociale

09/01/2014 - Dati concreti dimostrano la forte crescita degli impianti di produzione di energia da tutte le fonti pulite: dal 2000 ad oggi ben 47,4 TWh da fonti rinnovabili (solare fotovoltaico, solare termico, idroelettrico, geotermia ad alta e bassa entalpia, impianti a biomasse e biogas) si sono aggiunti al contributo dei vecchi impianti idroelettrici.

Nel futuro dell'Italia questa crescita ha un particolare valore economico e strategico, perché la crescita della produzione rinnovabile ha permesso di sostituire quella da impianti termoelettrici, di certo più inquinanti e che emettono gas serra, che è calata di 61TWh tra il 2007 e il 2012, permettendo di diminuire le importazioni di petrolio e di gas e di ridurre le emissioni di CO2, con vantaggi per il clima e per l'ambiente.

In un periodo di crisi, almeno su questo fronte arrivano buone notizie, con un bilancio energetico italiano che dipende sempre meno dall'estero e diventa più pulito e moderno, avvicinando la produzione alla domanda di energia di famiglie e di imprese. E che come diretta conseguenza ha riguardato anche gli occupati nel settore delle rinnovabili: a inizio 2012, prima dei decreti Passera, le ricerche stimavano complessivamente 120 mila occupati.

Una crescita dell'uso razionale dell'energia e del riciclo, grazie alla disponibilità di elevate capacità tecnologiche e professionali di alto livello, significa che il Paese è in grado di darsi una prospettiva di sviluppo e di affiancare le rinnovabili ai settori industriali di più antiche e consolidate tradizioni.

Ma l'Italia deve sapere programmare questo sviluppo, individuando gli interventi indispensabili per costruire uno scenario energetico ancor meglio strutturato, puntando sull'autoproduzione di energia elettrica e termica da fonti rinnovabili, sul risparmio nei consumi, su una gestione innovativa, su tutte quelle azioni cioè che consentono di ridurre la spesa energetica e di creare nuovo lavoro. In altre parole occorrono misure innovative in chiave ambientale, che, senza aumentare la pressione fiscale né il debito pubblico, siano in grado di attivare uno sviluppo durevole, una ripresa degli investimenti e dell'occupazione.

Nel "Pacchetto di misure per un green new deal per l'Italia", presentato agli Stati Generali della Green Economy 2013 (Ecomondo - Rimini) sono contenuti diversi punti di programma: misure di fiscalità ecologica, investimenti per la difesa del suolo, per la realizzazione di infrastrutture verdi e per la salvaguardia delle acque, misure per l'efficienza ed il risparmio energetico, per il riciclo ed il recupero dei rifiuti, per la rigenerazione urbana e per l'agricoltura di qualità.

Una serie di proposte, che, oltre a dare una reale prospettiva di futuro all'Italia, attribuiscono proprio alle fonti rinnovabili un ruolo di primo piano, in virtù del loro basso impatto ambientale e del loro elevato rendimento.

Oggi sono più di 600 mila in Italia gli impianti da fonti rinnovabili, progressivamente diffusi nei comuni grandi e piccoli. Nel Rapporto Comuni Rinnovabili 2013, realizzato da Legambiente con il contributo di GSE e Sorgenia, si rileva che gli impianti termici ed elettrici sono ormai diffusi nel 98% dei Comuni italiani e costituiscono un articolato sistema di generazione sempre più distribuita; nel 2012 esso ha garantito il 28,2% dei consumi elettrici e il 13% di quelli complessivi del nostro Paese.

Il sostegno degli italiani alle rinnovabili è molto alto, l'89% di essi lo ritiene un segno di evoluzione del nostro Paese, laddove esse consentono di abbandonare progressivamente le fonti fossili.

Tra queste senza dubbio il geotermico, che fa parte a pieno titolo delle rinnovabili e che in Italia ha tradizioni molto antiche, se solo si pensa che il 20 agosto 1913 venne inaugurata, lungo la strada che dalla piana di Grosseto conduce a Volterra, la prima centrale al mondo che sfruttava il calore della Terra. Fu un giovane commerciante francese, Francois de Lardarel, ha intuirne le capacità industriali. La prima centrale era un gruppo a turbine da 250 chilowatt, che nel 1944 con vari ampliamenti raggiunse i 127 megawatt di potenza. Ancora oggi la geotermia è un'eccellenza tutta italiana, con un know how che non deve essere disperso.

La geotermia a bassa entalpia a pompa di calore, ad esempio, è la tecnologia a più alta efficienza tra le rinnovabili e che in Europa rappresenta il presente, ma anche il futuro del rinnovabile termico, soprattutto nel comparto residenziale. Sarebbe inspiegabile che non lo fosse anche in Italia.

E' per questo che quando il 31 maggio scorso il Consiglio dei Ministri escluse dalle misure di detraibilità fiscale del 65% le pompe di calore e gli impianti geotermici, come Consiglio Nazionale dei Geologi protestammo fermamente contro una esclusione ritenuta non solo non coerente con le premesse e gli obiettivi 2020, ma era anche discriminatoria rispetto alle altre rinnovabili. L'esclusione, poi rientrata con il successivo provvedimento del Consiglio dei Ministri, avrebbe rappresentato una ferita mortale al comparto, che già soffre di altre patologie, quali la poca informazione, i costi dell'investimento iniziale e gli evidenti vuoti di regolamenti autorizzativi in molte Regioni.

Occorre dunque fare di più, adottando una politica lungimirante, che aumenti l'efficienza dell'energia pulita e gli occupati nel settore geotermico.

Da più parti si afferma con certezza che le pompe di calore geotermico svolgeranno un ruolo chiave per il conseguimento dei target del Pacchetto Clima per il 2020, con proiezioni che danno il potenziale delle pompe di calore persino superiore agli obiettivi del Piano di Azione Nazionale (PAN) per le energie rinnovabili. Se gli obiettivi nazionali 2020 dovessero essere raggiunti si stima che le pompe di calore saranno responsabili del 30% dello sforzo aggiuntivo per il consumo di rinnovabili termiche e del 14% della riduzione di consumo di energia.

Tuttavia il mercato delle pompe di calore, nonostante la crescita, è tuttavia ancora ostacolato da strumenti di sostegno evidentemente non adeguati. Se è vero che l'investimento per le nuove tecnologie è quasi sempre più costoso di quello necessario per le tecnologie tradizionali, quello per le pompe di calore geotermico è ancora più alto, per cui occorrono strumenti che aiutino a sostenere questo maggiore costo e che consentano di ridurre il numero di anni necessario al suo recupero.

Si aggiunga che da diverse stime condotte da diverse associazioni di consumatori, il reale ristoro dei costi per l'installazione delle pompe geotermiche non supera il 10%, nonostante la remunerabilità del 40% dichiarata nelle relazioni di accompagnamento al decreto sul Conto Termico. Questo non solo rende la tecnologia poco attraente dal punto di vista economico, ma non consente l'auspicata accelerazione degli interventi di efficienza energetica degli edifici.

A questo si aggiunge ancora che con gli attuali regimi tariffari applicabili alle pompe di calore la riduzione dei consumi non equivale ad una proporzionale riduzione dei costi. Occorre quindi intervenire anche in questa direzione.

Ma non solo. Occorre poi semplificare le regole per l'approvazione dei progetti da fonti rinnovabili, perché l'incertezza delle procedure è una fortissima barriera alla diffusione degli impianti ed è noto che in molte Regioni è persino vietata la realizzazione di nuovi progetti, mentre in altre non sono sufficienti garanzie di trasparenza e tutela. Per il geotermico poi la variegata situazione dei diversi regolamenti autorizzativi delle Regioni non fa che complicare le cose.

Serve insomma una politica energetica non solo forte e decisa, ma che si rivolga finalmente con decisione alle pompe di calore geotermico, perché esse rappresentano per l'Italia una grande occasione per il rilancio dell'economia, per la riduzione dei consumi energetici, per la riduzione delle emissioni dei gas ad effetto serra, per la compatibilità ambientale e, non ultimi, per il lavoro e l'occupazione di una filiera interamente italiana.

A cura di Gian Vito Graziano - Presidente del Consiglio Nazionale dei Geologi

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