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"Conoscere il cervello per comprendere i processi decisionali"
fonte www.puntosicuro.it / Rischio incendio
17/03/2014 -
Ospitiamo un articolo tratto da PdE, rivista di psicologia applicata all’emergenza, alla sicurezza e all’ambiente, che analizza i processi decisionali ai quali sono chiamati gli addetti alla sicurezza e all’emergenza.
Si illustrano, con vari esempi, i più comuni errori che il nostro
cervello commette quando è chiamato a decidere. In relazione a questi
errori è necessario attivare percorsi formativi che mettano le persone
nelle condizioni di prendere le migliori decisioni possibili in specie
nelle situazioni di stress.
In ogni istante della nostra
giornata il cervello è chiamato a prendere una serie di decisioni, alcune
semplici altre complesse, alcune di basso impatto altre in grado di determinare
il percorso successivo della vita.
Il cervello utilizza due sistemi
per decidere: il primo è automatico e inconsapevole, il secondo è più
consapevole e controllato; è quello che solitamente si associa al concetto di
decisione (Kahneman, 2011).
Ebbene noi utilizziamo il sistema
consapevole e controllato molte meno volte di quanto non crediamo, preferendo
affidarci al più semplice e rassicurante sistema automatico. Probabilmente si
tratta di un’affermazione che può sconcertare molte persone convinte di essere
sempre padrone e consapevoli delle proprie decisioni.
Al fine di chiarire quanto detto
esaminiamo alcune delle convinzioni che maggiormente ci abbagliano quando
pensiamo alle decisioni e vedremo che ripercussioni hanno in tema di sicurezza
e di emergenza.
La decisione sarà migliore se ho molte scelte
Si tratta di un’affermazione con
poco fondamento perché il cervello, quando deve decidere, ama non sforzarsi
troppo.
Vediamo un esempio legato alla
vita quotidiana. Se entriamo in una pizzeria e nel menù troviamo una decina di
pizza dalla guarnizione tradizionale la rosa della scelta è ristretta e facilmente
ci orientiamo su quella preferita. Se, invece, ci troviamo di fronte un menù
con decine di pizze, le cose cambiano: il primo pensiero è che siamo finalmente
fortunati ad avere così ampia scelta, ma il nostro cervello non la pensa allo
stesso modo, perché di fronte a tante opzioni scatta il meccanismo del “
rammarico”.
Se ci troviamo di fronte a poche
e conosciute pizze facciamo la nostra scelta senza tanti problemi: in fondo
sappiamo bene cosa scegliamo e a che cosa rinunciamo. Ma quando tante scelte
sollecitano la nostra attenzione, quando veramente possiamo prendere una
decisione diversa dal solito iniziamo a preoccuparci di prendere quella
sbagliata, di doverci rammaricare di aver lasciato “la strada vecchia per la
nuova”, e alla fine scegliamo la solita e rassicurante pizza di sempre.
Il nostro cervello cerca di
evitare la sofferenza quanto insegue il piacere, perciò quando si trova di
fronte a troppi elementi sui quali decidere cerca di capire cosa farà più
piacere. Siamo di fronte a quello che viene chiamato il “
paradosso della scelta”.
Non è vero: io penso bene prima di decidere
L’affidarsi al pensiero
automatico non avviene per caso, ma ha a che fare con la nostra evoluzione,
quando abbiamo dovuto allenarci a decidere istantaneamente il comportamento di fronte ai
pericoli; questo ha salvato i nostri progenitori innumerevoli volte, tanto
che abbiamo insito un meccanismo che ci spinge spesso a reagire a un potenziale
pericolo prima ancora di valutarlo compiutamente.
Per renderci conto di come
funziona il cervello automatico vediamo un semplice esempio, molto noto
nell’ambito della ricerca psicologica. “La madre di Maria ha quattro figlie. La
prima si chiama Aprile, la seconda Maggio, la terza Giugno e la quarta .....”.
Con tutta probabilità il vostro cervello vi ha suggerito subito una risposta:
“Luglio”, sbagliando obiettivo. Se ci pensate la risposta era contenuta nella
domanda che diceva “la madre di Maria” suggerendo la risposta esatta, ma il
cervello ha seguito automaticamente un’altra strada connessa alla sequenza dei
mesi dell’anno.
Il cervello utilizza
continuamente scorciatoie mentali di questo tipo. A volte in modo del tutto
efficace: pensiamo al fatto di come riusciamo a sapere dall’ultima cifra se
quel numero è pari o dispari, indipendentemente dalla lunghezza della cifra.
Si tratta di scorciatoie che
velocizzano la scelta e rassicurano sulla sua bontà sottraendoci al rischio di
rammarico di cui abbiamo già parlato.
Quando decido cerco di utilizzare al meglio i dati a disposizione
Questo è certamente vero, ma non
tutti i dati hanno la stessa rilevanza.
Spesso il cervello, per fare le
sue scelte, si basa sui paragoni e questo meccanismo è ben noto a chi
predispone i prezzi dei prodotti che acquistiamo e ai venditori in genere: la “
dominanza asimmetrica” o “
effetto esca”.
Se ci troviamo scegliere tra due
prodotti con caratteristiche diverse tra loro la scelta è abbastanza facile, ma
non è detto che avere tre opzioni migliori la nostra capacità di scelta.
Vediamone un esempio: ci
propongono due bicchieri della nostra bibita preferita, un formato piccolo da
due euri e un formato grande da 6 euri. Per quanto la bibita ci piaccia sarà
più probabile che decidiamo di scegliere il formato piccolo perché ci sembra
che la spesa di 6 euri sia esagerata. Ma se l’abile venditore inserisce tra le
possibili scelte un formato medio posto al prezzo di 5,50 euri, le cose
cambiano: molti di noi comprerebbero quella grande perché il centro della
decisione si focalizza sul risparmio proporzionale tra il formato medio e
quello grande piuttosto che sull’esborso totale come era avvenuto di fronte
alle due scelte precedenti.
Tutto ciò perché il cervello, che
è sempre un po’ in difficoltà quando deve scegliere tra due alternative, si
sente rassicurato se gli viene offerta un’opzione intermedia perché la può
utilizzare come elemento di paragone: In altri termini la presenza di
un’alternativa intermedia ci viene in aiuto perché da essa pensiamo di ricavare
dati aggiuntivi utili per compiere la scelta più giusta.
Ma questo lo sa anche il buon
venditore che non ci propone il formato intermedio della bibita per vendercelo,
ma per costruire un effetto esca che ci spinga ad acquistare il formato grande
della stessa.
Ma io sto sempre molto attento
Mi auguro che sia vero, ma quante
volte percorrendo in macchina una strada nota all’arrivo non ricordiamo molti
dei particolari del viaggio, addirittura ci sorprendiamo di essere già
arrivati, come se non avessimo percorso parte della strada. Ebbe ci troviamo di
fronte alla “
cecità da disattenzione”
e sono moltissime le cose che questo fenomeno ci fa perdere. D’altra parte non
possiamo certo imputare al cervello di non aver fatto il suo lavoro: con il
contributo di tutti gli altri sensi ci ha portati sani e salvi a casa.
Ma le cose non vanno sempre così
bene. Una
ricerca condotta all’Western
Washington University sul come questo effetto possa influire sui
comportamenti di chi è assorto in una conversazione telefonica ci deve mettere
in guardia dall’ uso del cellulare
in auto, indipendentemente dal fatto di avere o meno il viva voce.
L'esperimento, condotto in
un’affollata piazza centrale di Washington (Hymann e altri, 2010), si svolgeva
in due fasi.
Nella prima venivano registrati i
movimenti (stop nella marcia, rallentamenti, numero dei cambi di direzione,
serpeggiamenti, episodi in cui qualcuno
ha inciampato, collisioni o quasi-collisioni con altre persone) di passanti
che erano al cellulare, oppure stavano sentendo musica in cuffia, stavano
parlando con un’altra persona oppure si muovevano da soli.
In una seconda fase uno
sperimentatore vestito da clown viaggiava su di un monociclo incontro alle
persone.
Dai risultati dell’esperimento si
è rilevato che il maggior numero di collisioni, serpeggiamenti, stop e altre
stranezze nella marcia, sono state messe in atto dai passanti che parlavano al
cellulare. Di questi solo il 25% ha notato il clown, rispetto al 51% di chi
camminava da solo, al 61% di quelli che ascoltavano musica con le cuffie, al
71% di quelli che stavano parlando con qualcuno.
Ogni scelta viene poi soppesata, per cui gli errori si correggono
Anche qui le cose sono un po’
diverse nel senso che, quando compiamo una scelta, il nostro cervello ci viene
in soccorso nel giustificare il fatto che abbiamo fatto la scelta giusta.
Un esempio di questa tendenza è
dimostrata da un
esperimento condotta
dall’equipe della Lund University guidata dal professor Johansson (2005).
L’esperimento consisteva nel
mostrare a un uomo le fotografie di due donne, tra loro diverse, e di chiedere
quale preferiva. Immediatamente dopo, con un abile trucco da prestigiatore, al
soggetto veniva mostrata la foto della donna scartata chiedendogli di spiegare
perché l’avesse scelta. Ebbene il 74% dei soggetti non si accorgeva della
sostituzione e si dilungava nel descrivere i motivi della scelta compiuta.
Questo fenomeno si chiama "
cecità alla scelta". Il nostro
cervello quando scegliamo qualche cosa ci viene in soccorso inventandosi
qualche cosa: non si preoccupa della realtà bensì di giustificare le proprie
decisioni.
Alla fine di questa lettura tutti
noi possiamo legittimamente essere preoccupati dei nostri
processi decisionali, del fatto che rischiamo continuamente di prendere
decisioni sbagliate sotto la guida di quella sorta di sistema automatico
che pervade il funzionamento del nostro cervello.
Per tranquillizzarci un po’
pensiamo che non sempre prendere decisioni sbagliate è negativo: Alexander
Fleming, un certo giorno del 1928, tralasciò di pulire accuratamente il suo
laboratorio e quanto tornò notò una capsula di Petri particolare: era macchiata
di muffa come tante altre nel suo laboratorio, ma attorno a essa le colonie
batteriche si erano dissolte. Tutti gli siamo grati per quella sua negligenza
che ha permesso di scoprire la penicillina.
Alla fine essere preparati alle
scelte sbagliate è l’anticamera per prendere quelle giuste.
Antonio Zuliani
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