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"Lorenzo Fantini: il Decreto del Fare e le nuove semplificazioni"

fonte www.puntosicuro.it / Normativa

17/04/2014 - Il 5 febbraio 2014 a Roma si è tenuto, replicato il 17 febbraio a Milano, il convegno “ Salute e Sicurezza nel Decreto del Fare. Novità e prossimi sviluppi” organizzato dall’Associazione Italiana Formatori ed Operatori della Sicurezza sul Lavoro ( AiFOS) e la  Confcommercio con la collaborazione di Unione Confcommercio Milano, Lodi, Monza e Brianza.
 
Il convegno ha affrontato le  modifiche e integrazioni del D. Lgs. 81/2008 operate dal Decreto Legge n. 69 del 21 giugno 2013, il cosiddetto “ Decreto del Fare” - convertito, con modifiche, dal Parlamento con  Legge n. 98 del 9 agosto 2013.
 
L’incontro non si è tuttavia soffermato solo sull’approfondimento delle modifiche già operative ma ha affrontato anche quelle che lo diventeranno e che - come una sorta di “ Fare 2” - presenteranno novità attese (come il decreto di individuazione dei settori a basso rischio di infortuni e malattie professionali) e possibili novità meno attese (come alcuni cambiamenti in relazione alla collaborazione con gli organismi paritetici).

Per dare qualche informazione su queste novità presentiamo alcuni stralci dell’ intervento di Lorenzo Fantini, giuslavorista, esperto di sicurezza sul lavoro, già Dirigente divisione Salute e sicurezza del Ministero del lavoro e delle politiche sociali.
Fantini interviene in questo caso sulle politiche di semplificazione, sulle modifiche del Testo Unico di salute e sicurezza sul lavoro - con riferimento specifico alla sicurezza nei settori a basso rischio e alle posizioni della Commissione Europea – e sulle prossime novità nella normativa sulla sicurezza.
 
Riguardo alle semplificazioni  in materia di sicurezza, Fantini ricorda che “la sicurezza va fatta da un punto di vista sostanziale e non da un punto di vista formale, da un punto di vista documentale”. Anzi, c’è la sensazione “che il documento sia qualcosa che non dico tradisce la sicurezza, ma non sempre garantisce i livelli di sicurezza”.
E se “questo tipo di consapevolezza l’Unione Europea non ce l’aveva quando furono fatte le direttive, la 89/391 e tutte le altre direttive, le prime tredici che abbiamo recepito con la 626”, nel tempo, “la stessa Unione Europea ha maturato questa convinzione”.
 
Il relatore si sofferma su un documento ufficiale approvato dalla Commissione consultiva permanente per la salute e sicurezza sul lavoro: la Strategia nazionale per la salute e sicurezza sul lavoro.
 
Cosa si può trovare nel documento?
Il documento “è il risultato di due anni di discussioni” e vuole essere la traccia da mandare all’Unione Europea, una volta approvato dal Governo (“perché deve essere approvato dal Governo, perché sia la Strategia per la salute e sicurezza dei prossimi anni”).
Il documento riporta ciò che è stato fatto e ciò che non è stato fatto, perché il Testo Unico “ha tanti provvedimenti di attuazione”. È un documento onesto intellettualmente che specifica ciò che “dovrebbe essere fatto nei prossimi anni, e che tipo di indirizzo dare a questo tipo di interventi”.
Ad un certo punto del documento - continua Fantini nella relazione - si trova un “ richiamo preciso, specifico e analitico alla semplificazione, in materia di salute e sicurezza sul lavoro, con una specificazione naturalmente doverosa”: le semplificazioni in materia di salute e sicurezza sul lavoro “si fanno nel rispetto delle direttive comunitarie e dei livelli di tutela che sono presenti negli ambienti di lavoro. Leggasi: non possiamo toccare una riga, né vogliamo toccare una riga, come Paese, di quelli che sono i livelli di tutela garantiti dalle direttive comunitarie”.
Ciò che secondo Fantini si può e si deve semplificare - e il documento su questo è chiaro – “sono quelle forme di documentazioni, notifiche, comunicazioni, che rendono più difficile la vita dell’operatore, più difficile la vita dell’impresa, più difficile la vita dello stesso operatore della sicurezza”. E certe volte “c’è una richiesta degli organi di vigilanza non sempre attenta agli aspetti sostanziali e non formali. “È più facile fare la vigilanza sugli aspetti formali che sugli aspetti sostanziali, sapendo che c’è un modello precostituito di documento, e quindi io poi so che voglio andare a cercare quel documento, non le misure di prevenzione che quel documento rappresenta”.
Il passaggio che c’è nella strategia è importante: “si dice che bisogna coniugare la sicurezza sul lavoro con la competitività delle imprese, bisogna permettere che le imprese sopravvivano, e al contempo garantiscano soddisfacenti condizioni di salute e sicurezza sul lavoro. E questo con particolare riferimento alle piccole e medie imprese. La quadratura del cerchio? Un’operazione impossibile? La cosa è possibile”.
A questo proposito c’è un atto europeo poco richiamato ed è lo Small Business Act, “una comunicazione della Commissione europea del 2008, che poi è stata seguita dal 2011 da un’analoga raccomandazione agli Stati dell’Unione Europea. È una raccomandazione di semplificare la normazione, non solo di sicurezza, ma in generale relativa ai rapporti di lavoro, avendo riguardo soprattutto per le piccole e medie imprese. Non si tratta di una direttiva, ma di una raccomandazione agli Stati. L’Italia, peraltro in parte, questa raccomandazione l’ha recepita con lo Statuto delle imprese, nel 2011, legge anch’essa poco conosciuta”.
 
La semplificazione si può fare? In realtà una “normativa così complessa - 306 articoli, 52 allegati - si presta largamente ad una semplificazione di tipo amministrativo e burocratico, senza minimamente toccare i principi delle direttive comunitarie. Certo non è un’operazione semplice, ed è un’operazione che va fatta mettendo insieme le parti sociali, perché questo è giusto dirlo. Qui non si vuole fare un’eversione del sistema, ma un’operazione che metta
insieme le parti sociali. E anche questo la Strategia nazionale lo dice”.
 
Veniamo al Decreto del Fare.
Il Decreto del Fare, continua la relazione, “nasce proprio con questa logica. Poi viene peggiorato in Parlamento, perché il testo che è andato in Parlamento era un testo molto più snello e comprensibile di quello che è venuto fuori, e diventa Decreto del Fare e Decreto del Faremo, cioè qualcosa lo abbiamo fatto, molto poco, nel Decreto legge”.
In realtà questo tipo di situazione è contraria al diritto, “perché un Decreto legge deve essere tutto operativo, non può essere programmatico, non può rinviare a dei provvedimenti di attuazione. Il Decreto legge dovrebbe essere necessario ed urgente; se ci sono dei provvedimenti di attuazione non può essere necessario ed urgente”.
Però, continua Fantini, “qualcosa di buono nel Decreto del Fare c’è. E c’è soprattutto qualcosa di buono nel Decreto del Faremo. Per esempio la necessità che è stata, diciamo così, riconosciuta nel Decreto del Fare con molta fatica di individuare un settore a basso rischio infortuni e malattie professionali”.
 
Infatti “quella parte del Decreto del Fare che prevede l’individuazione di un settore a basso rischio infortuni e malattie professionali è importante. È importante perché poi ad esso sono legate due semplificazioni”. Ad esempio alla possibilità di “redigere il documento di valutazione del rischio secondo dei modelli semplificati”.
 
In realtà “l’individuazione del settore a basso rischio infortuni e malattie professionali non serve a diminuire la tutela dei lavoratori, non serve a diminuire o a prevedere un minore risarcimento per i lavoratori di quel settore, non è questo il punto. Quel dato serve ad individuare in quali aree è possibile una redazione di un documento. Perché il documento di valutazione del rischio è un documento – ricordiamocelo sempre – non è la valutazione dei rischi”. Un documento che può essere “scritto più agevolmente rispetto a quello che oggi normalmente si fa”.
La distinzione tra il documento e la valutazione è “la distinzione tra la sostanza e la forma. Ricordiamoci sempre che ciò che salva la vita delle persone è una corretta valutazione dei rischi, che poi viene ad essere trasposta in un documento. Se questo documento ha 200 pagine o 20 pagine, a mio avviso non è questo l’elemento che fa la sicurezza. L’elemento che fa la sicurezza è la corretta descrizione dell’attività di impresa, la corretta individuazione delle misure, dei pericoli e dei rischi, la individuazione di misure di prevenzione e protezione atte ad eliminare o ridurre i rischi”.
 
Riguardo al lavoro sull’individuazione dei settori a basso rischio infortuni e malattie professionali “l’Inail sta lavorando molto bene”, ma “ho delle perplessità sul criterio che è stato utilizzato per individuare i settori a basso rischio infortuni e malattie professionali. Non posso andare nel dettaglio, ma ci sono dei fattori di correzione previsti nel Decreto, che portano un campo di applicazione della normativa a mio avviso ingiustificatamente ristretto”.
Lorenzo Fantini segnala un punto della bozza relativa al decreto di individuazione dei settori a basso rischio che non lo convince: “non si può ritenere che, solo perché si ha un certo numero di lavoratori, l’azienda sia sicuramente in un settore ad alto rischio. Cioè se si applica semplicemente il criterio numerico per l’antincendio, del numero dei lavoratori”.
 
Lorenzo Fantini riporta poi, come sua abitudine, alcune novità normative.
 
Innanzitutto sottolinea che “ la maggior parte, anzi, quasi tutti i Decreti previsti dal Decreto del Fare sono in fase finale”.
In più c’è un documento importante che riguarda “l’ Accordo su RSPP ed SPP, cioè la formazione dello RSPP e dei Servizi di prevenzione e protezione esterno, in cui ci saranno anche una serie di chiarimenti sulla formazione”.
 
Infine ci potrebbero essere altre novità sulla sicurezza nel futuro “ pacchetto del Fare 2, o semplificazioni bis”.
 
Una riguarda la collaborazione con gli organismi paritetici.
La norma che prevede che la formazione deve avvenire in collaborazione con gli organismi paritetici “va riportata alla sua naturale natura: la collaborazione per la formazione può essere realizzata in collaborazione con gli organismi paritetici”.
In questo modo così “togliamo il terreno da sotto i piedi a chi è nato organismo paritetico l’altro ieri, non avendo la competenza tecnica per svolgere attività in materia di salute e sicurezza sul lavoro”.
Quindi “vado all’organismo paritetico non perché me lo dice il 37 comma 12 del Testo Unico, ma perché io sono convinto che mi possa aiutare a fare una buona attività di formazione, che è esattamente la logica in cui – secondo me – va collocato il sistema”.
 
Un’altra novità significativa da un punto di vista strettamente tecnico è “la possibilità che per la valutazione del rischio rumore si utilizzino delle banche dati standardizzate, purché validate scientificamente”. Questo “avrebbe un impatto anche in termini economici significativi”. Non avrà un impatto negativo in termini di salute e sicurezza sul lavoro, “perché non stiamo parlando della banca dati tratta da internet”.
 
In particolare, continua Fantini che raramente si sottrae ai temi più delicati, “queste due proposte sul rumore e sugli organismi paritetici c’erano già nel Decreto del Fare, ma ce le hanno fatte togliere. Francamente io quella sugli organismi paritetici l’avrei favorita, ecco, più che altro per evitare situazioni di frode che io vedo”.
E concludiamo con la sua sottolineatura sulla scarsa qualità della formazione erogata da alcuni organismi paritetici: “Io so benissimo chi sono quelli finti, che lavorano male, che fanno lavorare male le aziende, che fanno sì che il sistema della formazione giri a vuoto. Perché poi c’è un ribasso anche sui costi della formazione che non è accettabile, perché va contro l’effettività dell’attività formativa che i Giudici ci chiedono”.
 
 
 
 
 
RTM
 

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