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"Le procedure di salute e sicurezza nel Testo Unico e in giurisprudenza"
fonte www.puntosicuro.it / Normativa
22/05/2014 - La vita di un’azienda è condizionata e orientata da
vari livelli di “
regole”: accanto alle regole introdotte dal legislatore,
ovvero alle vere e proprie “norme giuridiche”, vi sono tutta una serie di
“regole” di cui si dota l’azienda stessa, in attuazione - in senso diretto o
indiretto, in quanto riconducibili ad obblighi specifici o generali di tutela -
delle norme giuridiche stesse, delle norme volontarie o degli standard.
Una volta introdotte, anche queste regole di cui si
dota l’organizzazione (disposizioni interne, procedure etc.) divengono
vincolanti per coloro che operano in azienda e, quindi, per l’azienda stessa.
Un buon sistema aziendale è un sistema nel quale vi
è la
consapevolezza che tutte le procedure che vengono introdotte dovranno
essere attuate e quindi dovranno diventare cosa viva e non restare solo delle
prescrizioni scritte sulla carta.
Le procedure introdotte dovranno essere infatti
veicolate attraverso la formazione (quale “processo
educativo attraverso il quale trasferire…conoscenze e
procedure utili alla acquisizione di competenze per lo svolgimento
in sicurezza dei rispettivi compiti in azienda e alla identificazione, alla
riduzione e alla gestione dei rischi” [1]), l’informazione (ad es.
sulle
“procedure che riguardano il
primo soccorso, la lotta antincendio,
l’evacuazione dei luoghi di lavoro” [2] etc..) e
l’addestramento (quale
“complesso delle attività dirette a fare apprendere ai lavoratori…[anche] le
procedure di lavoro”
[3]
).
Se si parte dall’impostazione dell’articolo 30 del testo unico sui modelli organizzativi, che, pur descrivendo un modello formalmente volontario, identifica indiscutibilmente quello che secondo il sistema giuridico è un “buon modello di gestione” (dal momento che, se idoneo, può addirittura porre al riparo l’azienda da una responsabilità di enorme rilievo quale quella amministrativa delle persone giuridiche), si ha immediatamente la percezione di quale debba essere l’approccio di un’azienda al “tema” delle procedure, allorché la norma esplicita che “il modello di organizzazione e di gestione idoneo […] deve essere adottato ed efficacemente attuato, assicurando un sistema aziendale per l’adempimento di tutti gli obblighi giuridici relativi:… f) alle attività di vigilanza con riferimento al rispetto delle procedure e delle istruzioni di lavoro in sicurezza da parte dei lavoratori” e, aspetto tutt’altro che banale, “h) alle periodiche verifiche dell’applicazione e dell’efficacia delle procedure adottate”.
Se si parte dall’impostazione dell’articolo 30 del testo unico sui modelli organizzativi, che, pur descrivendo un modello formalmente volontario, identifica indiscutibilmente quello che secondo il sistema giuridico è un “buon modello di gestione” (dal momento che, se idoneo, può addirittura porre al riparo l’azienda da una responsabilità di enorme rilievo quale quella amministrativa delle persone giuridiche), si ha immediatamente la percezione di quale debba essere l’approccio di un’azienda al “tema” delle procedure, allorché la norma esplicita che “il modello di organizzazione e di gestione idoneo […] deve essere adottato ed efficacemente attuato, assicurando un sistema aziendale per l’adempimento di tutti gli obblighi giuridici relativi:… f) alle attività di vigilanza con riferimento al rispetto delle procedure e delle istruzioni di lavoro in sicurezza da parte dei lavoratori” e, aspetto tutt’altro che banale, “h) alle periodiche verifiche dell’applicazione e dell’efficacia delle procedure adottate”.
Dunque la norma, oltre a richiedere che venga
effettuata la
vigilanza (effettiva) sulle procedure, nell’esplicitare l’ultimo
importantissimo requisito dell’elenco (lett. h) non fa riferimento solo alle
periodiche verifiche dell’
applicazione
delle procedure, che è già in sé un aspetto di fondamentale rilevanza, ma anche
- è bene sottolinearlo - alle
periodiche verifiche dell’
efficacia delle procedure adottate.
Un buon sistema di prevenzione è infatti un sistema
nel quale si procede periodicamente a revisionare le procedure sul piano della
loro applicazione (domandandosi, se una procedura non viene applicata: qual è
la causa? È una
procedura ben conosciuta e compresa da chi la deve applicare? Si vigila
adeguatamente sulla sua applicazione? È una
procedura da ritenersi valida rispetto allo scopo? Etc..) e della loro
efficacia (domandandosi, se una procedura non è efficace: può essere
migliorata? Deve essere modificata? È ancora
funzionale al raggiungimento dello scopo di tutela che ci si era prefissi con
quella procedura? È effettivamente
aderente alla realtà lavorativa nella quale deve essere applicata? Etc..).
La giurisprudenza ci descrive e ci consegna
interminabili elenchi di casi in cui, a seguito di un infortunio o di una
malattia professionale, si è poi accertato che le procedure aziendali
“ufficiali” non coincidevano con le prassi e con le modalità esecutive del
lavoro concretamente praticate in azienda.
Val la pena qui sottolineare che l’introduzione in
azienda di una procedura che resta solo parola scritta confinata all’interno
dei documenti aziendali ma che poi nella prassi non prende vita, non viene
trasferita ai lavoratori, non viene fatta osservare e tradotta in pratica, non
dà alcun beneficio all’azienda e a coloro che ricoprono posizioni di garanzia
neanche sul piano giuridico, potendo addirittura essere controproducente anche
da quel punto di vista.
Questo perché procedurizzare un’attività significa
“rappresentarsi” l’esistenza di un rischio e definire il modo corretto di
gestirlo; se poi a quel punto non se ne fanno seguire le azioni conseguenti
atte a garantire l’applicazione effettiva della procedura stessa che si è
predisposta per governare tale rischio (formazione, addestramento, vigilanza
etc..), in tale inerzia può essere ravvisato un livello di negligenza particolarmente
qualificato, dal momento che si è agito (o meglio, “non” si è agito) nonostante
la consapevolezza del rischio - e quindi dell’evento ad esso potenzialmente
conseguente - che quella procedura andava a scongiurare.
La
giurisprudenza fotografa poi uno scenario
applicativo in cui spesso la causa dell’infortunio è costituita dalla
mancata valutazione dei rischi inerenti una
specifica operazione e quindi la mancata individuazione di una procedura idonea;
non si dimentichi, peraltro, che a partire dal maggio del 2008 il Documento di
Valutazione dei Rischi deve contenere anche
“l’individuazione
delle
procedure
per l’attuazione delle misure da
realizzare nonché dei ruoli dell’organizzazione aziendale che vi debbono
provvedere, a cui devono essere assegnati unicamente soggetti in possesso di
adeguate competenze e poteri”. [4]
Un paio di
esempi tratti dall’ambito delle
operazioni di manutenzione.
Cass. Pen. Sez. IV, 15 aprile 2010 n.14499
ha
confermato la condanna di un datore di lavoro il quale
“per colpa, consistita nell'avere omesso di impartire le opportune
disposizioni affinché i lavori di manutenzione sulla macchina impastatrice di
calcestruzzo, alla quale era addetto il lavoratore infortunatosi, fossero
eseguiti a macchina ferma e messa in sicurezza, aveva causato al lavoratore
gravi lesioni alla gamba sinistra.”
La dinamica dell’infortunio era stata questa: il
lavoratore, dovendo sostituire alcuni pezzi all'interno del mescolatore, era
entrato dentro la vasca di mescolamento di una delle due macchine presenti in
officina ed aveva preso ad operare dall'interno tenendo le gambe sul fondo, a
contatto con la pala mescolatrice, previamente disattivata dal circuito
elettrico.
Di tale operazione aveva informato il collega,
addetto al funzionamento delle impastatrici. Quest’ultimo si era allontanato e,
dopo oltre due ore, mentre il lavoratore era ancora all'interno
dell'impastatrice, non visibile dall'esterno, era ritornato alla postazione di
comando del macchinario e a quel punto, pensando che il lavoratore avesse
terminato il suo intervento, aveva azionato il comando di avviamento
dell'impastatrice, subito interrotto dalle grida del lavoratore, la cui gamba
era stata afferrata dall'ingranaggio.
Al datore di lavoro era stato contestato di aver
fatto eseguire i lavori di manutenzione sulla
macchina impastatrice senza che questa fosse stata messa in sicurezza e di
non aver individuato una procedura da
seguire nel corso di interventi di manutenzione dei macchinari.
Secondo l’ispettore del lavoro, tale procedura
avrebbe dovuto prevedere
“l'indicazione
analitica delle disposizioni di sicurezza da adottare, quali:
a) la
previa segnalazione dell'uomo al lavoro,
b) la
messa in sicurezza della macchina con disattivazione certa del circuito
elettrico,
c)
l'informazione agli altri addetti della presenza dell'operaio nella vasca,
d)
il
coordinamento di un preposto
”
.
Secondo la Corte d’Appello era stata effettuata dal
datore di lavoro “
una impropria
valutazione dei rischi inerenti la specifica operazione di manutenzione” e
la causa dell’infortunio era da rinvenirsi
“nell'assenza
di coordinamento del personale dell'azienda durante l'esecuzione di tale
operazione; ciò per la mancata previsione, da parte del datore di lavoro, di
una specifica procedura di sicurezza circa gli interventi di manutenzione,
sicché gli operai procedevano sulla base della loro esperienza, senza il
necessario coordinamento e la dovuta informazione sui rischi.”
Secondo la Cassazione le disposizioni da prevedere
per gli interventi manutentivi erano
“comunque necessarie, malgrado la presenza
dei dispositivi di sicurezza, in considerazione dell'eventualità di un loro
mancato funzionamento. Proprio il verificarsi di una tale eventualità avrebbe
dovuto esser prevista nel documento di valutazione del rischio connesso
all'esecuzione di interventi di manutenzione, non potendo ritenersi appagante e
decisiva la presenza dei dispositivi apposti sulla macchina, che avrebbero
potuto disattivarsi per un guasto ovvero per un errato intervento umano.”
Sul tema della manutenzione si è poi pronunciata
anche
Cass. Pen. Sez. IV, 16 marzo 2011
n.10652, che ha affermato la responsabilità di un direttore del servizio
manutenzione meccanica acciaieria e servizi generali di una S.p.a. per
l’infortunio mortale occorso ad un lavoratore addetto alle operazioni di
pulizia e manutenzione di un banco oscillante dell’impianto di colata continua
del peso di circa 3.850 kg e delle dimensioni di m. 3 x cm. 90 x cm. 90. [5]
Il banco, che aveva la forma di un parallelepipedo,
era stato appoggiato sulle forche di un carrello elevatore manovrato dal
collega e trasportato all'interno di un'apposita area per essere sottoposto a
lavaggio, al quale doveva provvedere la vittima con una lancia a getto d'acqua
pressurizzata. Sollevato il banco, su richiesta dell'operatore, ad un'altezza
di circa un metro per consentire la pulizia della parte inferiore del
manufatto, questo era scivolato via dalle forche ed era piombato addosso al
lavoratore che ne era rimasto schiacciato. Tra i vari profili di colpa, è stata
addebitata al ricorrente la
“mancata
specifica valutazione dei rischi connessi con le operazioni di lavaggio” e
la
“mancanza di specifiche informazioni sulla più corretta procedura da seguire”.
Tali condotte sono state contestate all'imputato in
quanto
“costui non solo era il direttore
del servizio manutenzione meccanica e servizi generali, responsabile del
reparto colata continua, ma era in azienda il tecnico di riferimento,
costantemente presente. Posizione e presenza che avrebbero dovuto consentirgli
di accorgersi dell'assenza di puntuali disposizioni inerenti le procedure di
lavaggio e del ricorso a prassi pericolose; la situazione di pericolo, peraltro
[…] era stata segnalata all'imputato dai
rappresentanti dei lavoratori
”
.
Secondo la Cassazione, “
l'infortunio è stato determinato dal mancato rispetto, nelle operazioni
di lavaggio, di elementari
regole di prudenza e
diligenza
”
.
Tali elementari regole di prudenza e diligenza
“avrebbero imposto:
a) di
eseguire dette operazioni, riguardanti un manufatto tanto ingombrante e
pesante, in condizioni di assoluta sicurezza, e, dunque, non tenendolo sospeso
pericolosamente per aria, bensì appoggiato su elementi fissi, poco alti da
terra
b) di
impedire, al di là dei teorici divieti richiamati dal ricorrente, ignorati da
una prassi sconsiderata, che l'addetto al lavaggio si ponesse pericolosamente
vicino al carrello che sosteneva il banco, essendo tale vicinanza, oltre che
formalmente vietata, chiaramente pericolosa per la prevedibile possibilità di
un ribaltamento del carico, portato su e giù per consentire il lavaggio di ogni
parte di esso, e per l'assenza di vie di fuga.”
E dunque
“proprio
all'imputato, in ragione della qualifica ricoperta, spettava anche di vigilare
adeguatamente affinché fossero realmente rispettate le procedure di sicurezza e
le relative direttive, senza che possano costituire un alibi le dimensioni
dell'azienda o il numero dei lavoratori impiegati posto che, attraverso una
corretta organizzazione ed opportune disposizioni, l'imputato ben avrebbe
potuto essere costantemente informato sui temi della sicurezza e del rispetto,
da parte degli stessi lavoratori, delle relative norme.”
Anna Guardavilla
[1] Art. 2 c. 1 lett. aa) D.Lgs.81/08. Si
veda anche art. 37 c. 1 lett. b): “Il datore di lavoro assicura che ciascun
lavoratore riceva una formazione sufficiente ed adeguata con particolare
riferimento a:… b) rischi riferiti alle mansioni e ai possibili danni e alle
conseguenti misure e
procedure di
prevenzione e protezione caratteristici del settore o comparto di appartenenza
dell’azienda.
[2] Art. 36 c. 1 lett. b) D.Lgs.81/08.
[3] Art. 2 c. 1 lett. cc) D.Lgs.81/08.
[4] Art.
28 c. 2 lett, d).
[5] Dell'incidente
sono stati chiamati a rispondere, separatamente, anche il direttore generale
tecnico della società e il collega della vittima.
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