News
"Danno biologico: aggravamento o nuova malattia professionale?"
fonte www.puntosicuro.it / Salute
13/06/2014 -
Commento a cura di A.Ossicini e A.Miccio.
La valutazione del danno in ambito Inail, a seguito
dell'entrata in vigore del D.M. 12.7.2000 fa riferimento esclusivamente al
danno biologico
di cui all'art.13 del D.Lgs n.38/2000, con l'eccezione prevista da comma 11
dello stesso articolo che statuisce "
Per quanto non previsto dalle
presenti disposizioni, si applica la normativa del testo unico , in quanto
compatibile".
Da una lettura dei suoi diversi comma, ben dodici, si
evincono le modalità di valutazione del grado di menomazione a seguito di evento
negativo sull'integrità psico-fisica, sia di natura infortunistica che legato
ad una malattia professionale.
Infatti nel suddetto articolo si ricavano le diverse
metodologie, fermo restando che proprio nel D.M. citato, si ritrovano, prima
delle tabelle, delle puntuali indicazioni sulla criteriologia; lo stesso
articolo di fatto sostituisce, ed integra, gli articoli che vanno dall'art.78
all'art.83 del D.P.R. n.1124/1965
L 'articolo 13 al comma 2, afferma che i
"..danni
conseguenti ad infortuni sul lavoro e malattia professionali verificatesi e
denunciate a decorrere dalla data di entrata in vigore del decreto ministeriale
(9 agosto 2000) " ed il comma 2, punto a) impone che
"..le
menomazioni conseguenti alle lesioni dell'integrità psicofisica....sono
valutate un base a specifica 'tabella delle menomazioni comprensive degli
aspetti dinamico relazionali ..." e subito dopo al comma 5 e 6 vengono
esplicitate le diverse possibilità.
Il comma 5 recita che nel caso
"...l'assicurato, già
colpito da uno o più eventi rientranti nella disciplina delle presenti
disposizioni, subisca un nuovo evento lesivo si procede alla valutazione
complessiva dei postumi ed alla liquidazione quindi di un'unica entità o
dell'indennizzo in capitale corrispondente al grado complessivo della
menomazione dell'energia psicofisica..", mentre il comma 6 dello
stesso articolo, che si divide in due parti, fa riferimento a due situazioni
differenti in relazione alla congiunzione di postumi tra due eventi sotto diversi
regimi, o con menomazioni precedenti extralavoro.
Nella prima rientra sia il caso di presenza menomazioni
preesistenti extralavoro, sia il caso in cui un precedente evento sotto il
vecchio regime, abbia visto riconosciuto un danno sotto la soglia della rendita
(11% in attitudine al lavoro); nella seconda parte, invece, quello in cui
l'evento in vecchio regime abbia dato origine ad una rendita - per intenderci
quello posto all'attenzione della Corte Costituzionale.
Infatti la prima parte del sesto comma recita che
"..il
grado di menomazione dell'integrità psicofisica causata da un infortunio sul
lavoro o
malattia professionale
quanto risulta gravato da
menomazioni preesistenti concorrenti derivanti da fatti estranei al lavoro da
infortuni o malattie professionali verificatisi o denunciati prima della data
di entrata in vigore del decreto ministeriale....e non indennizzati in rendita
deve essere rapportato non all'integrità psicofisica completa ma quella ridotta
per effetto delle preesistenti menomazioni ,il rapporto espresso da una
frazione in cui il denominatore indica grado di integrità psicofisica
preesistente ed il numeratore la differenza tra questa ed il grado di integrità
psicofisica residuato dopo l'infortunio la malattia professionale..." , di fatto sostituisce l'art. 79
del T.U
., nella seconda parte invece
"Quando per le conseguenze
degli infortuni o delle malattie professionali verificatisi o denunciate prima
della data di entrata in vigore del decreto ministeriale di cui al comma 3
l'assicurato percepisca una rendita o sia stato liquidato in capitale ai sensi
del testo unico, il grado di menomazione conseguente al nuovo infortunio o alla
nuova malattia professionale viene valutato senza tenere conto delle
preesistenze...".
Questa criteriologia si applica a tutti i casi successivi
all'entrata in vigore del D.M. 12.7.2000; a ciò si deve aggiungere come detto,
e da non dimenticare, il comma 11 che recita "
Per quanto non previsto
dalle presenti disposizioni, si applica la normativa del testo unico, in quanto
compatibile".
Se dalla lettura comparata tra i due articolati alcune norme
del precedente T.U. non sono compatibili con quanto previsto dall'art.13, di
fatto sono inapplicabili, o meglio se previsto dalla nuova normativa non
bisogna applicare la precedente, ma di questo sembra che non tutti se ne siano
accorti, in primis la Corte Costituzionale nella sentenza n.46/209109 e la
stessa Corte di Cassazione che ha ripetuto, più volte, il riferimento
all'art.80, articolo che non aveva più ragione di esistere
In più pubblicazioni, a seguito di raffronto tra gli
articoli del D.P.R. n.1124/1965, 78,79,80 e 83, ed i diversi comma dell'art.13
del D. Lgs 38/2000 1 2 si è sostenuto che di fatto erano stati
soppressi gli articoli dal 78,79 ed 80, per i nuovi eventi, mentre rimaneva vigente
l'art.83 in quanto esplicitamente richiamato dal comma 7 dell'art 13 che si
esprimeva nel senso che "
..la misura della rendita può essere riveduta,
nei modi e nei termini di cui agli articoli 83 (137e 146) del testo
unico."
Essendo entrati, dall'agosto del 2000, in un diverso regime
indennitario, l'articolo 80 è stato soppresso o per usare una terminologia
giuridica tratta proprio dalla norma, non può più essere usato in quanto
"incompatibile", in considerazione che le tre possibilità descritte
nei tre commi dell'art.80 fanno tutte riferimento ad una trattazione
indennitaria di cui al Capo V, (Prestazioni), art. 66, lettera b) del vecchio
D.P.R. n.1124/1965 - attitudine al lavoro - non più assolutamente verificabile.
Per comprendere che l'art.80 non è più cogente è sufficiente
riportare le prime righe di detto articolo che recita
"Nel caso in cui
il titolare di una rendita, corrisposta a norma del presente titolo, sia
colpito da un nuovo infortunio indennizzabile...si procede ad alla costituzione
di un'unica rendita in base al grado di riduzione complessiva dell'attitudine
al lavoro causata da..." , considerato che ora il danno deve essere
valutato in danno biologico, l'evenienza di cui sopra
(attitudine al lavoro) non potrà mai accadere.
Singolare, invece che la Corte Costituzionale a distanza di
ben dieci anni dall'entrata in vigore del D.lgs n.38/2000 - con sentenza
n.46/2010 - abbia dato una "suggestiva" interpretazione dell'art.80
per garantire la tutela integrale del lavoratore, asserendo che con l'applicazione
dell'art.80
"..non è ravvisabile violazione dei principi
costituzionali...", presupposto errato in quanto l'art.80, posto alla
base della decisione, nulla aveva a che fare con il caso posto all'attenzione
della Corte.
Gli scriventi hanno commentato a caldo detta sentenza con
una pubblicazione sul sito del Medico Competente 3
- marzo del 2010 - senza aspettare il ritorno in sede di merito e facendo
presente da subito che l'art.80 nulla c'entrava, ma il riferimento corretto per
la trattazione non poteva che essere l'art.13.
Nel contributo sopra citato si scriveva chiaramente
"Si
sottolinea inoltre il fatto che la Corte non si sia resa conto che, essendo la
domanda del 4.12.2003, non si era più nel regime di T.U. n.1124/1965 ma si
ricadeva nell'art.13 comma 6 del D.Lgs. 38/2000...." e poi si
proseguiva
"..ciò comporterà che non dovendosi procedere ad una
complessiva valutazione del danno ai sensi dell'art.80, si dovrà pervenire alla
costituzione di un'altra rendita in base al dispositivo di cui all'art.13,
comma 6 ...senza tenere conto delle preesistenze.." e si aggiungeva
anche una problematica
"prevenzionale" rimasta tuttora inascoltata
in quanto si affermava
4
"
Se è vero che : "E' soggetto a responsabilità risarcitoria per
violazione dell'art. 2087 c.c. il datore di lavoro che, consapevole dello stato
di malattia del lavoratore con la sua residua capacità lavorativa continua ad
adibirlo a mansioni, che sebbene corrispondenti alla sua qualifica, siano
suscettibili - per la loro natura e per lo specifico impegno (fisico e mentale)
- di aggravamento a seguito dell'attività svolta..."la responsabilità
non potrà che ricadere sul Medico Competente per aver consentito il
proseguimento di una lavorazione a rischio non evitando "
un
peggioramento delle condizioni di salute del lavoratore a causa dell'attività
lavorativa" come statuisce, invece, la normativa prevenzionale.
Che la "questione" sollevata non fosse ben chiara
si riscontra nella trattazione del caso, nei successivi giudizi una volta
rimesso alla discussione nella sede naturale, tanto che da parte di chi scrive
si avvertiva di prender atto che "
L'input che ne deriva è quindi quello
di considerare l'originaria domanda di revisione scaduta, come una nuova
domanda, e questo lo vedremo allorché su istanza di parte verrà riesaminato il
caso alla luce di queste indicazioni.." ma con particolare attenzione
che"...
essendo la domanda del 4.12.2003, non si era più nel regime di
T.U. n.1124/1965 ma si ricadeva nell'art.13 comma 6 del D.Lgs. 38/2000", e,
al termine del successivo percorso giudiziario, si esprimevano ulteriori
perplessità, su di una non corretta applicazione, esplicitati in una successiva
pubblicazione che compariva sul sito "Prevention & Research" 5
In quest'ultima pubblicazione, infatti, si concludeva
affermando:
"La lettura degli atti, con le conclusioni cui si è
pervenuti nel caso specifico - aggravamento di una ipoacusia trascorso il
quindicennio, che era stato portato all'attenzione della Corte Costituzionale -
evidenzia che la trattazione appare costellata di fraintendimenti -di metodo e
di merito - da parte dei diversi attori nelle fasi del giudizio; alla fine si è
giunti ad una valutazione ed interpretazione del nuovo principio dettato dalla
sentenza ,solo parzialmente, coerente con l'enunciato principio di diritto, non
rispecchiando - nella concreta applicazione - il significato reale del comma 6
dell'art.13 del D.Lgs 38/2000".
Si argomentava così perché solo dopo altri due giudizi -
Tribunale e Corte d'appello - la vicenda aveva termine, ma con un grossolano
errore metodologico. La Corte di Appello, infatti, aveva alla fine applicato
l'art.13, comma 6, seconda parte, ma dandone una interpretazione non corretta,
cioè non adeguandosi compiutamente alla diversa realtà in cui ci si doveva
muovere.
Rimandiamo per una migliore comprensione al lavoro integrale
già pubblicato da cui però si riporta questo passaggio :
"Dalla lettura
degli atti si rilevano una serie di mistakes metodologici, normativi ed
applicativi che, via via, si sono palesati nella trattazione del caso tanto che
un buon scrittore di spy story non avrebbe potuto immaginare un percorso così
intricato che alla fine, non ha portato ad una soluzione aderente al nuovo
enunciato principio" e da cui si evince chiaramente che , ne' le
parti, ne' il CTU, ne' i Giudici hanno ben compreso la portata del comma 6
dell'art.13.
Qui ci limitiamo a ricordare che, in conclusione, i Giudici
di appello, per applicare detto articolo si sono limitati, seguendo l'errato
convincimento del CTU, a sottrarre alla valutazione in danno biologico, pari al
32%, il 20%, della vecchia rendita che però era valutazione con riferimento
alla perdita dell' "attitudine al lavoro" in siffatta maniera errando
nel metodo, un quanto il tutto doveva essere riportato in danno biologico.
Ma ulteriori perplessità derivano dalla lettura di un
notiziario Inca 6
dell'inizio 2011, pubblicato a seguito di specifico seminario dedicato alla
trattazione della sentenza 46/2010 in cui gli effetti di tale pronunciamento
furono oggetto di riflessione. A commento della sentenza dapprima si afferma:
"
A tali fini, non sembra peraltro applicabile, quantomeno in
riferimento alla fattispecie che ha originato l'ordinanza di rimessione alla
Corte, l'istituto dell'unificazione della rendita di cui all'art. 80 T.U.,
esteso alle malattie professionali ex art. 131, trattandosi di eventi (la
«prima» e la «nuova» malattia) che cadono sotto due diversi regimi: vale a
dire, da un lato, sotto il regime di cui al T.U. n 1124/1965 e, dall'altro,
sotto quello di cui al d.lgs. 23 febbraio 2000, n. 38." - considerazione
da noi fatta subito dopo l'emissione della sentenza - ma, erroneamente, successiva,
mente si aggiunge che "
Per quanto attiene al metodo di valutazione del
«nuovo» danno, è da ritenere che, in linea con la regola generale prevista per
tali ipotesi, la causa della precedente rendita vada considerata come una
preesistenza extralavorativa, con conseguente applicazione della formula
Gabrielli", confondendo la prima parte del comma 6, relativa ad
unificazione con infortuni o malattie professionali verificatisi o denunciati
prima data di entrata in vigore del decreto ministeriale non indennizzati in
rendita, con la seconda parte dello stesso comma secondo cui allorché, invece,
l'assicurato percepisce una rendita - come nel caso in questione - (o sia stato
liquidato in capitale ai sensi del testo unico) il grado di menomazione
conseguente al nuovo infortunio o alla nuova malattia professionale viene valutato senza tenere
conto delle preesistenze.
Sempre in un notiziario INCA del giugno 2011, a commento
delle tre sentenze della Cassazione n. 5548, n.5549 e n. 5550 del 9 marzo 2011,
si rimanda per gli opportuni approfondimenti alle risultanze del seminario -
Notiziario Inca n 1-2/2011 - si legge che
"...dal dispositivo delle
sentenze di Cassazione, come del resto già dal pronunciamento della Corte
Costituzionale, non si evince come, nel concreto, viene valutato il danno in
queste ipotesi...", cosa che invece a chi scrive era apparso da subito
logico all'indomani della sentenza del 2010.
Alla fine del 2011 inoltre, su una rivista 7
, si ritrova "..
ancora una volta, è stata la magistratura a dover
sottolineare l'importanza primaria della tutela della salute delle lavoratrici
e dei lavoratori, anche se questo significa derogare dal rigoroso rispetto dei
termini della prescrizione fissati dalla normativa vigente, facendone emergere
i limiti ..." commento che non sembra cogliere il fatto che, invece,
la Corte Costituzionale non ha ammesso alcuna deroga ai termini prescrizionali
di cui all'art.137.
Infine, sempre in rete, si trovano commenti inappropriati
relativamente alla decorrenza della prosecuzione all'esposizione a rischio,
dandone una interpretazione del tutto errata, su cui in verità la Corte
Costituzionale era stata, invece, ben precisa.
In uno fra i tanti, sul sito "Medicina e Società" 8
si legge che "
La Corte Costituzionale, con sentenza 46/2010, e la Corte
di Cassazione, con 3 sentenze "fotocopia" del marzo 2011, hanno
stabilito che il termine oltre il quale non è più possibile richiedere
ulteriori aggravamenti è stabilito in 15 anni dalla costituzione della rendita
non è sempre vero, ma devono ricorrere precise condizioni. Infatti, se
l'esposizione
alla sostanza o alla lavorazione morbigena perdura oltre il 15° anno,
l'eventuale aggravamento della patologia tecnopatica si può configurare come
una richiesta per una "nuova" malattia professionale..." .
Qui vi sono dure errori concettuali, il primo è quello per
cui si sosterebbe che la revisione
"a precise condizioni",
potrebbe andare oltre il quindicennio, cosa che non corrisponde assolutamente
al vero in quanto la Corte Costituzionale, come già spiegato in precedenza, ha
chiaramente affermato che non si applica l'art.137, e comunque non si deroga ai
quindici anni, anche se, in tutta onestà, come sostenuto da chi scrive, appare
trattarsi di una revisione mascherata pur di non dichiarare che il termine
revisionale decorre dalla cessazione dell'esposizione al rischio.
Il secondo errore riguarda la possibilità di inoltrare
"nuova
domanda" quando l'esposizione alla sostanza o alla lavorazione morbigena
perdura oltre il 15° anno"; in verità, e giustamente, la Corte
Costituzionale fa, esclusivamente riferimento alla prosecuzione
dell'esposizione al rischio "
successivamente alla costituzione della
rendita...", che è tutt'altro principio.
Proprio per questo, nel precedente contributo, avevamo
chiosato dicendo che non ci pareva corretto il limite, legato alla costituzione
della rendita, dei quindici anni per la revisione, di cui all'art.137, invece
che dalla cessazione dell'esposizione al rischio.
Siamo tornati ancora una volta su questa sentenza in
considerazione che non solo si sono presentati altri casi simili, con
riferimento alla seconda parte del comma 6 dell'articolo 13, ma perché, proprio
di recente si è presentato un caso che non può che afferire, invece, che alla
prima parte del comma 6 , in considerazione che chi ha fatto "nuova
domanda" ha un punteggio sotto il minimo indennizzabile relativo ad evento
trattato nel vecchio regime di tutela. Una volta chiarito infatti che esiste
una correlazione tra l'aggravamento del danno con il proseguimento delle
esposizione, non si può che dar corso all'applicazione di detto comma, ed anche
in questo caso l'art. 80 nulla rileva.
In conclusione la Corte Costituzionale, e successivamente la
Corte di Cassazione con più sentenze riprendendo il riferimento errato, ha
dato, per risolvere un vuoto di tutela, una interpretazione dell'art.80, che
non aveva motivo in quanto detto articolo non è più vigente.
Ogni considerazione si doveva basare, invece, su una
corretta interpretazione non solo del comma 6 dell'art.13, ma anche del comma
5.
Ciononostante sembra che ormai la strada da percorre sia
stata ben individuata, anche alla luce della circolare Inail n. 5/2014. che ha
ben precisato, sia mediante le istruzioni operative, sia con le spiegazioni-
allegato n.1 - della stessa circolare dal titolo:
"Flusso di
trattazione delle domande di aggravamento della
malattia professionale
con variazione in peius delle
condizioni fisiche del titolare di rendita riconducibile alla protrazione della
esposizione a rischio oltre la decorrenza della rendita", come si debba procedere nel
rispetto del novellato principio scaturito dalla pronuncia della Corte
Costituzionale.
E coloro che lamentano che l'Inail ha impiegato quasi
quattro anni a dare indicazioni non possiamo che far presente che, da una
parte, il caso oggetto della sentenza della Corte Costituzionale ha trovato
conclusione, peraltro come detto non aderente alla norma, dopo nuovi passaggi
sia in tribunale che in Corte di Appello, solo nel luglio 2012 e che,
dall'altra, le indicazioni su come proseguire, pur contenute già in
nuce nel
dispositivo della sentenza, non sono state, come visto, di facile comprensione
anche per gli stessi addetti ai lavori, visto che la stessa Corte di Cassazione
ne ha dato un'interpretazione non aderente del tutto alla normativa.
In definitiva allorché si presenta una "nuova
malattia" nel senso specificato dalla Corte Costituzionale, cioè
esposizione allo stesso rischio dopo la costituzione di rendita, rimandiamo ai
precedenti lavori, o alla circolare 5/2014 su detto concetto, si possono
presentare, ora in danno biologico,
tre situazioni già normate dallo stesso articolo 13:
- "nuova malattia" in presenza di "analoga" malattia non indennizzata in rendita (1-10%) della vecchia gestione" si applica la prima parte del comma 6 dell'art.13;
- "nuova malattia" in presenza di "analoga" malattia indennizzata in rendita (>10%) della vecchia gestione", si applica il comma 6 dell'art.13 ultima parte
- Quando in futuro, non prima della scadenza revisionale di un evento in vecchia gestione (quindi dopo il 2015, senza considerare i tempi prescrizionali) in caso di "nuova malattia" che aggrava una "analoga malattia" - stessa gestione danno biologico, si applica semplicemente le previsioni del comma 5 dell'art.13! Come si vede l'art. 80 non rileva.
Le nuove indicazioni scaturite dalla Circ. 5/2014 dell'Inail
sono, a nostro avviso, ad una attenta lettura, del tutto esaustive, in
riferimento al caso concreto, e le altre situazioni di fatto già normate.
1 Criteriologia della valutazione
del danno. Confronto tra T.U. n. 1124/1965 e D.LGS. n. 38/2000:dall'attitudine
al lavoro al danno biologico - A. Ossicini -Rivista Infortuni e Malattia
professionali 1-2-2001
2 La Consulenza in Materia di attività di lavoro
(Inail) A. Ossicini in La consulenza tecnica e la perizia in medicina legale
Metodologia operativa - a cura di G. Umani-Ronchi
3 " Aggravamento"
o "Nuova Malattia" di una stessa patologia: una interpretazione
suggestiva della Corte Costituzionale per superare i limiti posti dall'art.137
T.U. n.1124/65,
revisione delle M.P. A. Ossicini, A. Miccio www.medicocompetente.it
4 Cass. sez. lav. 3 luglio 1997, n. 5961
5 " Aggravamento"
o "Nuova malattia" epilogo di un caso dopo la sentenza 46/2010 della
Corte Costituzionale:. quando la soluzione di un problema, cambia la natura del
problema"
A. Ossicini, A. Miccio ww.preventionandresearch.com on line 19 Sep. 2013,
P&R Public. Anno 3, n.3
6 Notiziario Inca Anno Xxix - N. 1-2 Gennaio-Febbraio 2011 Il
contenzioso come strumento di tutela
Linee guida di intervento legale e
medico-legale dell'Inca-Cgil
7 Diritto e giustizia Esperienze 19/2011
http://www.inca.it/Portals/0/Editoria/Esperienze/2011/INCAesperienze3_5/swf/slide0001.swf
8 www.medisoc.it/corte-costituzionale-sentenza-
462010/
Medicina e società - 3 luglio 2011 S. NIcolosi
Segnala questa news ad un amico
Questa news è stata letta 1323 volte.
Pubblicità