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"Le responsabilità di progettisti, fornitori e installatori "
fonte www.puntosicuro.it / Sicurezza
17/12/2014 - Nei mesi scorsi
abbiamo affrontato il tema della normativa vigente e degli obblighi specifici
di vari soggetti esterni alle aziende, con riferimento ad esempio a
progettisti, installatori, fabbricanti, fornitori,
venditori e noleggiatori. E lo abbiamo fatto presentando il contenuto di un
breve saggio (
Working Paper)
pubblicato da
Olympus nel mese di maggio
2014 dal titolo “ Gli
obblighi dei progettisti, fornitori e installatori” e a cura di Danilo
Volpe (avvocato del Foro di Trani).
Il saggio tuttavia non si
sofferma solo sugli obblighi in materia di salute e sicurezza sul lavoro che
gravano su tali soggetti esterni al rapporto di lavoro - come indicati dagli
articoli 22, 23 e 24 del D.Lgs. 81/2008 – ma si sofferma anche sulle
conseguenze della loro inosservanza in materia di
responsabilità penale e civile. E per farlo analizza il tema della
ripartizione della responsabilità tra
tali “soggetti debitori di sicurezza c.d. “esterni” all’azienda e il principale
debitore di sicurezza sui luoghi di lavoro, ovvero il datore
di lavoro”.
In che modo l’inosservanza degli obblighi posti in capo al progettista,
al costruttore o all’installatore influisce sulle responsabilità del datore di
lavoro?
Per rispondere a questa domanda
l’autore ricorda che il passato l’orientamento giurisprudenziale “tendeva a
distinguere tra la responsabilità del datore e quella dei soggetti esterni, in
funzione di un mero dato temporale, rappresentato dal momento in cui le
macchine erano state messe a disposizione del datore di lavoro: la
responsabilità del costruttore/venditore cessava nel momento in cui costoro
perdevano la disponibilità della macchina e questa veniva consegnata al datore
di lavoro”.
Tuttavia questo orientamento è
stato poi superato verso la metà degli anni ’80 quando la giurisprudenza (ne
sono esempio le sentenze della Cassazione del 7
settembre 2011 n. 33285 e del 10 giugno 2011, n. 23430) “ha iniziato a
riconoscere una
responsabilità
concorrente tra datore di lavoro e debitori esterni di sicurezza
riconoscendo, in capo a questi ultimi, un’autonoma ‘posizione di garanzia’, ai
sensi dell’art. 40, comma 2 c.p.” (
non
impedire un evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire equivale a
cagionarlo).
In questo senso la sicurezza del
lavoro si può configurare come una ‘catena di soggetti responsabili’, dove
diventa “irragionevole escludere la responsabilità di chi ha costruito la macchina
non conforme, solo perché il costruttore non ne ha più la disponibilità
materiale e diretta”. Ed è proprio aderendo a questo assunto che le Sezioni
Unite Penali della Corte di cassazione “hanno ritenuto corresponsabili, in caso
di infortunio sul lavoro, sia il datore di lavoro che il costruttore di una
macchina non conforme, sostenendo che l’utilizzo di tale macchina da parte del
datore di lavoro non fa cessare il rapporto di causalità tra l’infortunio e la
condotta di chi l’ha costruita, venduta o ceduta, non potendo essere annoverato
fra quelle cause sopravvenute che, ai sensi dell’art. 4, comma 2 c.p.,
interrompono il predetto nesso eziologico” (Cass., SS.UU., 30 gennaio 1991, n.
1003).
Dunque il datore di lavoro, “in
qualità di principale destinatario delle prescrizioni contro gli infortuni,
prima fra tutte l’art. 2087 c.c., ha l’ obbligo
di verificare, prima di consentirne l’utilizzo, che le apparecchiature
fornite ai propri dipendenti siano adeguate e conformi ai precetti di
sicurezza, con conseguente sua responsabilità in caso di lesioni causate dai
quei vizi di progettazione e/o fabbricazione rilevabili
ictu oculi con l’uso della diligenza professionale specifica insita
nel sistema prevenzionale previsto dalla legge” (ad esempio con l’ausilio del servizio
di prevenzione e protezione) .
Tale responsabilità non è scalfita
dalla sola apposizione del
marchio CE
sulla macchina non conforme: “dalla mera presenza di tale marchio il datore di
lavoro, infatti, non può far discendere la conformità assoluta della macchina
alle norme antinfortunistiche, perché trattasi sempre di un marchio
autocertificato, come tale suscettibile di errori, omissioni o addirittura
attestazioni non veritiere”. Da questo punto di vista l’unico elemento che può
utilizzare il datore di lavoro per escludere la propria responsabilità è “il
carattere occulto del vizio della macchina:
se cioè il datore di lavoro riesce a dimostrare che il vizio-causa
dell’infortunio, era a lui sconosciuto e non conoscibile con la diligenza
prevenzionale impostavi dalla legge, egli sarà esente da responsabilità”.
Tuttavia anche per i debitori
esterni di sicurezza la giurisprudenza ha finito per individuare un’ipotesi di
esclusione della loro responsabilità penale: “il costruttore, infatti, risponde
per gli eventi dannosi causalmente ricollegabili alla costruzione di una macchina
priva dei prescritti dispositivi
di sicurezza, a meno che l’utilizzatore non abbia compiuto sulla stessa
trasformazioni di natura tale da integrare una causa sopravvenuta di per sé
sufficiente a determinare il medesimo evento lesivo” (Cass., 16 ottobre 2002,
n. 40942 e Cass.,
4 maggio 2010, n. 16941).
Riguardo alla
responsabilità civile, il saggio
segnala che i soggetti esterni all’azienda, sempre in caso di infortunio sul
lavoro derivante dall’inosservanza degli obblighi posti a loro carico, “saranno
anche responsabili civilmente nei confronti dell’infortunato o dei suoi aventi
causa, nonché nei confronti dell’INAIL. In tema di responsabilità civile, essi
sono considerati e definiti terzi, perché estranei sia al rapporto di lavoro
che lega datore di lavoro e lavoratore infortunato, sia al rapporto
assicurativo tra datore di lavoro e INAIL. La qualifica di terzo, tuttavia, non
riguarda esclusivamente progettisti, fabbricanti, fornitori ed installatori ma
va riconosciuta a qualsiasi soggetto responsabile dell’infortunio o della
malattia professionale che, in mancanza, dei presupposti di cui al T.U. sugli
infortuni (d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124), non rivesta la posizione di
assicurante e non risulti così tenuto al versamento dei premi nei confronti
dell’ente previdenziale”.
Tuttavia su tale definizione è
intervenuta una pronuncia delle Sezioni Unite della Suprema Corte (Cass., 16
aprile 1997, n. 3288) che, “considerando globalmente i soggetti dell’impresa
quali strumenti del datore per attuare l’obbligo di sicurezza, ha ritenuto ‘
terzo responsabile’, non più il
soggetto estraneo al rapporto assicurativo, bensì la persona estranea al
rischio aziendale e quindi all’impresa stessa”. E alla luce di questa pronuncia
“la qualifica di terzo sarebbe riconoscibile in capo ai soggetti estranei
all’azienda e destinatari dei precetti di cui agli artt. 22, 23 e 24 del d.lgs.
n. 81/2008”.
La definizione di terzi assume dunque
rilevanza “al fine di accertare la natura della responsabilità civile del
terzo”.
Concludiamo rimandando alla
lettura integrale del working paper che si sofferma ampiamente sul confronto
tra la responsabilità civile del datore di lavoro e la responsabilità del terzo.
Si sottolinea che la differente
natura delle due responsabilità “comporta ovviamente rilevanti conseguenze sul
piano della disciplina sostanziale e processuale” e vengono presentate
dall’autore i casi in cui il terzo responsabile è civilmente obbligato anche
nei confronti dell’Istituto assicuratore o i casi in cui “il terzo non è il
solo responsabile, ma la sua responsabilità concorre con quella del datore di
lavoro – assicurante”.
Olympus - Osservatorio per il
monitoraggio permanente della legislazione e giurisprudenza sulla sicurezza del
lavoro, “ Gli obblighi dei progettisti, fornitori e installatori”, a
cura di Danilo Volpe - Avvocato del Foro di Trani, Working Paper di Olympus
35/2014 (formato PDF, 253 kB).
Tiziano Menduto
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