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"Storie di infortunio: saltare da un treno a tutta velocità"

fonte www.puntosicuro.it / Sicurezza Macchine ed Attrezzature

03/02/2015 -
Il Centro regionale di Documentazione per la Promozione della Salute della Regione Piemonte ( Dors) raccoglie  storie d'infortunio rielaborate dagli operatori dei Servizi PreSAL delle ASL piemontesi a partire dalle inchieste di infortunio, con la convinzione che conoscere come e perché è accaduto sia una condizione indispensabile per proporre soluzioni efficaci per la prevenzione. In questa storia, dal titolo “La storia di Gregor nato a Sarajevo e morto sul lavoro tra i binari della linea del Frejus.” (a cura di Maria Gabriella Pregnolato, Dario Castagneri, Paolo Picco, ASL TO3), il malfunzionamento dell’impianto frenante impedisce l’arresto del convoglio che prende velocità lungo la discesa. Il lavoratore si getta dalla motrice in corsa e muore nell’impatto col terreno.

La storia di Gregor nato a Sarajevo e morto sul lavoro tra i binari della linea del Frejus
a cura di Maria Gabriella Pregnolato, Dario Castagneri, Paolo Picco, ASL TO3
 
Cosa si stava facendo
Il lavoratore doveva trasferire un convoglio ferroviario manovrando una motrice con annessi carri ferroviari (treno materiali).
 
Descrizione infortunio
Il malfunzionamento dell’impianto frenante impedisce l’arresto del convoglio che prende velocità lungo la discesa. Il lavoratore si getta dalla motrice in corsa e muore nell’impatto col terreno.
 
Come prevenire
La prevenzione passa attraverso dei percorsi logici, tra cui la corretta applicazione delle procedure operative pianificate e concordate e per mezzo di una corretta manutenzione di mezzi attrezzature ed impianti effettuata da personale qualificato ed idoneamente formato ed addestrato. Occorre quindi che venga creato un ambiente di lavoro che consenta di aumentare la soglia di attenzione nell’applicazione delle procedure pianificate per la gestione degli spostamenti dei treni materiali.
 
La storia
Gregor un ragazzo, alto bello generoso, così lo hanno sempre ricordato amici, colleghi e famigliari. Un ragazzo nato a Sarajevo e vissuto in una città difficile che con la disgregazione della vecchia Jugoslavia è diventata il simbolo della sofferenza e dell’indifferenza. Una città dove l’essere umano non valeva pressoché nulla, dove per sopravvivere occorreva mettersi in fila per un tozzo di pane. Una città dove i cecchini non esitavano a sparare sulla folla inerme, su vecchi, donne, bambini.
E’ in questo clima che Gregor è stato plasmato. Un ragazzino che prima della guerra giocava con gli amici in strada come fanno tutti, in tutte le parti del mondo. Un ragazzino che con la guerra si è ritrovato catapultato in una cosa più grande di lui.
Tutta quella sofferenza, quella indifferenza, e che tristezza se alla sera non aveva pressoché nulla per mangiare. Ma siamo in Europa, diceva, e qualcuno arriverà. Quando si metteva in fila con gli altri a volte sentiva il sibilo dei proiettili di quel maledetto cecchino, e non pensava a nulla ma continuava a stare lì in piedi, in fila. Altro che terrore, quello oramai non esisteva più era solo maledetta sopravvivenza. E così, giorno dopo giorno, si ritrovava lì con tutti gli altri; stessa fila posto diverso.
La gente plasmata dalla guerra in giovane età è diversa e lo sanno tutti. E’ la dura legge della sopravvivenza. Temprata dai ricordi di quei momenti che oramai sono solo un lontano passato, come un pensiero che sembra svanire dalla testa. Ma nel profondo sa che era vero, tutto vero e quel carattere forse duro, forte e deciso forse è il risultato di quei momenti.
Nel 2000 Gregor e famiglia arrivano in Italia, la fantomatica Italia. Vista sui canali della televisione per anni quasi fosse la terra promessa. Ma come sempre quando si emigra, occorre rimboccarsi le maniche, la lingua diversa, i differenti modi di fare. Insomma occorre ricominciare una nuova vita e finalmente lasciarsi alle spalle quei brutti ricordi.
Nuova nazione, nuova vita questo è lo spirito giusto per ricominciare. Amici nuovi, forse una ragazza che condivida dei momenti finalmente sereni.
Gregor inizia a lavorare come traduttore, ma si sa, è uno che si è sempre saputo arrangiare. Non si tira mai indietro, non dice mai di no. E’ un ragazzo di quella maledetta guerra oramai senza nome. Così con la famiglia pian piano si ricostruisce una vita, e chi da ragazzo non ha avuto sogni nel cassetto. Una macchina, un po’ di soldi, un buon lavoro, una ragazza.
In seguito trova lavoro nelle ferrovie, armamento ferroviario, ripristino di binari scambi.
Finalmente costruire qualcosa, essere utile a tutti. Gira l’Italia e l’Europa ed impara il suo lavoro.
Nel 2005 inizia a lavorare con la sua ditta nel cantiere di ammodernamento del tunnel del Frejus, un’opera importante. E come sempre per chi è abituato ad adeguarsi, lui trova sempre il modo di farsi voler bene. E’ sempre pronto disponibile e sereno. Che lavoro, guidare delle motrici diesel sui binari, un lavoro non difficile, ma dove occorre essere sempre vigile ed attento. Lui lo sa bene. Sa cosa fare; sa che occorre usare prudenza la vita non è uno scherzo, lui questo lo sa.
Il tempo ed il lavoro scorrono, i colleghi, quelli con cui condividi tanti momenti, quasi facessero parte della tua famiglia, sono oramai un tutt’uno. Tutti sanno cosa fare, c’è chi attacca il convoglio, chi verifica il lavoro, chi fa manutenzione ai mezzi. Insomma tutti lavorano: il capostazione gira lo scambio, il treno si sposta lentamente dentro il Frejus sferragliando sui binari. E così questo, giorno dopo giorno, diviene una consuetudine.
Come quando tutti i giorni si metteva in fila con gli altri, là nella sua Sarajevo.
A Gregor piace guidare le motrici, il senso di libertà del lavoro all’aria aperta, in montagna, in mezzo a quegli amici che considera la sua famiglia. Di loro lui si può fidare.
In una bella giornata di primavera, ventosa come sempre in Val di Susa, Gregor è salito sulla motrice diesel, per spostare un convoglio di alcuni carri nella stazione di Bardonecchia. Un lavoro semplice, come aveva fatto tante altre volte. Marco da basso collega i tubi dell’impianto frenante del convoglio, il capostazione gira lo scambio dal suo quadro comando in stazione, il treno con i materiali si mette lentamente in movimento per essere pronto per il mattino dopo ad entrare nel Frejus.
Gregor si sposta lentamente con il lungo convoglio, sul piano della stazione, sorpassa il ponte come aveva fatto tante altre volte, ma il treno stranamente non risponde ai suoi comandi, slitta lentamente sui binari poi sembra fermarsi, ma riprende inarrestabile la sua corsa in discesa. Gregor sa cosa fare era già capitato altre volte, ma i freni continuano a non funzionare ed il treno continua la sua folle corsa sempre più velocemente in direzione Torino.
Gregor ha sangue freddo, sa che è in pericolo, chiama un collega, un amico, ma il telefono in montagna non prende il segnale e la comunicazione và e viene. E’ solo, solo con quel mezzo meccanico che sempre più velocemente lo porta verso il basso. Il rumore è assordante, i freni stridono, il calore dei ceppi dei freni che cercano di bloccare le grandi ruote di acciaio del treno, sale su fin dentro la cabina di guida, il fumo quasi gli acceca la vista. Lui ha paura ma ha imparato a dominarla nella sua Sarajevo, nella sua testa scorre la vita, tutta quanta in un baleno, e lui preso oramai dal panico non sa più cosa fare. Forse per la prima volta nella sua vita le idee non arrivano, la paura è troppa e lui ragazzo di Sarajevo forte, deciso e riflessivo, si getta dalla motrice in folle corsa, quasi sperando di atterrare su di un morbido cuscino, ma si schianta al suolo, solo, sui binari della linea internazionale nei pressi di Chiomonte.
 
 
A un ragazzo, un uomo, un lavoratore che si fidava ciecamente di coloro che lavoravano con lui. Persone che per fretta, forse per distrazione o semplicemente perché dopo tanto tempo tutti quanti si adagiano ed abbassano la soglia di attenzione, forse non hanno fatto appieno il loro dovere. Che la sua morte non passi inosservata ma ci faccia riflettere sul vero valore della vita. Di quelle vite che a Sarajevo noi indifferentemente abbiamo dimenticato.

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