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"Quando si configura il comportamento abnorme del lavoratore?"
fonte www.puntosicuro.it / Sentenze
12/03/2015 -
L’azione di responsabilità esperita dal lavoratore
infortunato nei confronti del datore di lavoro per il risarcimento del danno
differenziale è fondata sull’ articolo
2087 del codice civile.
La giurisprudenza della Suprema Corte ha chiarito i
limiti
e l’ambito in cui opera la responsabilità del datore di lavoro (ex multis
cass. civ. 9817 -2008):
La
responsabilità
del datore di lavoro ex art. 2087
codice civile è di carattere contrattuale, perché il contenuto del contratto
individuale di lavoro risulta integrato per legge (ai sensi dell'art. 1374
c.c.) dalla disposizione che impone l'obbligo di sicurezza e lo inserisce nel
sinallagma contrattuale. Ne consegue che il riparto degli oneri probatori nella
domanda di danno da infortunio sul lavoro si pone negli stessi termini
dell'art. 1218 cod. civ., sull'inadempimento delle obbligazioni; da ciò
discende che il lavoratore che agisca per il riconoscimento del danno
differenziale da infortunio sul lavoro, deve allegare e provare l’esistenza
dell'obbligazione lavorativa, del danno, ed il nesso causale di questo con la
prestazione, mentre il datore di lavoro deve provare che il danno è dipeso da
causa a lui non imputabile, e cioè di avere adempiuto al suo obbligo di
sicurezza, apprestando tutte le misure per evitare il danno".
“Le norme dettate in tema di prevenzione degli infortuni sul
lavoro, tese ad impedire l'insorgenza di situazioni pericolose, sono dirette a tutelare
il lavoratore non solo dagli incidenti derivanti dalla sua disattenzione, ma
anche da quelli ascrivibili ad imperizia, negligenza ed imprudenza dello
stesso; ne consegue che il datore di lavoro è sempre responsabile
dell'infortunio occorso al lavoratore, sia quando ometta di adottare le idonee
misure protettive, sia quando non accerti e vigili che di queste misure venga
fatto effettivamente uso da parte del dipendente, non potendo attribuirsi alcun
effetto esimente per l'imprenditore che abbia provocato un infortunio sul
lavoro per violazione delle relative prescrizioni all'eventuale concorso di
colpa del lavoratore,
atteso che la condotta del dipendente può comportare
l'esonero totale del datore di lavoro da responsabilità solo quando essa
presenti i caratteri dell'abnormità, inopinabilità ed esorbitanza rispetto al
procedimento lavorativo ed alle direttive ricevute, come pure dell'atipicità ed
eccezionalità, così da porsi come causa esclusiva dell'evento.
Ma quali sono i casi concreti in cui si può configurare la
condotta anomala del lavoratore tale da escludere la responsabilità del datore
di lavoro?
Segnaliamo alcuni casi dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione:
1) un dipendente di un albergo in
una località termale, terminato il turno di lavoro, si era diretto verso l'auto
parcheggiata nei pressi e, per guadagnare tempo, invece di percorrere la strada
normale, si era introdotto abusivamente in un'area di pertinenza di un attiguo
albergo ed aveva percorso un marciapiede posto a margine di una vasca con fango
termale alla temperatura di circa 80 gradi. L'area era protetta da ringhiere
metalliche ed il passaggio era sbarrato da due catenelle, mentre non esisteva
alcuna protezione all'interno dell'area stessa, sui passaggi che fiancheggiavano
le vasche. In prossimità dell'area si trovavano segnali di pericolo. L'uomo,
che conosceva molto bene la zona, aveva scavalcato le catenelle e si era
incamminando lungo i marciapiedi, ma aveva messo un piede in fallo cadendo
nella vasca e perdendovi la vita (Cass. Pen. Sez. 4, n. 11311 del 07/05/1985).
La pronunzia assolutoria, confermata dal giudice di legittimità, era motivata
dal fatto che il lavoratore conosceva benissimo i luoghi e fosse ben
consapevole dei pericoli derivanti dal fango ad alta temperatura, dai vapori
che ne emanavano e dal buio;
2) un operaio addetto ad una pala
meccanica che si era improvvisamente bloccata era sceso dal mezzo senza
spegnere il motore e, sdraiatosi sotto di essa tra i cingoli, aveva sbloccato a
mano la frizione difettosa sicché il veicolo, muovendosi, lo aveva travolto. La
Corte ha, in tale occasione, affermato il principio che la responsabilità
dell'imprenditore deve essere esclusa allorché l'infortunio si sia verificato a
causa di una condotta del lavoratore inopinabile ed esorbitante dal
procedimento di lavoro cui è addetto, oppure a causa di inosservanza di precise
disposizioni antinfortunistiche (Sez. 4, n. 3510 del 10/11/1989,);
3) un lavoratore, addetto ad una macchina
dotata di fresatrice, con il compito di introdurvi manualmente degli
elementi di legno, aveva inserito la mano all'interno dell'apparato,
"eseguendo una manovra tanto spontanea quanto imprudente": per
rimuovere residui di lavorazione, subendone l'amputazione. L'imputazione
riguardava il reato di cui all'art. 590 cod. pen. in relazione all'art. 68 cit.
per la mancata adozione di idonei dispositivi di sicurezza. La Corte d'appello
aveva affermato la responsabilità del titolare della ditta e del preposto ai
lavori. La Corte di Cassazione ha, invece, annullato con rinvio ai giudice di
merito perché verificasse se l'incongruo intervento del lavoratore fosse stato
richiesto da particolari esigenze tecniche, osservando che l'operazione
compiuta era rigorosamente vietata; che la macchina era dotata di idoneo
strumento aspiratore; che il lavoratore era perfettamente consapevole che la
fresatrice fosse in movimento; che qualunque accorgimento tecnico volto ad
obbligare l'operatore a tenere ambo le mani impegnate per far andare la
macchina avrebbe dovuto fare i conti con il tipo di lavorazione, nel quale la
manualità dell'operatore era totalmente assorbita nell'introduzione del legno
nell'apparato (Cass. Pen. Sez. 4, n. 10733 del 25/09/1995).
La
condotta colposa del lavoratore è stata, in altra
pronuncia, ritenuta idonea ad escludere la responsabilità dell'imprenditore,
dei dirigenti e dei preposti in quanto esorbitante dal procedimento di lavoro
al quale egli era addetto oppure concretantesi nella inosservanza di precise
norme antinfortunistiche (Cass. Pen. Sez. 4, n. 1484 del 08/11/1989). In alcune
sentenze il principio è stato ribadito, e si è altresì sottolineato che la
condotta esorbitante deve essere incompatibile con il sistema di lavorazione o,
pur rientrandovi, deve consistere in qualcosa di radicalmente, ontologicamente,
lontano dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del
lavoratore nella esecuzione del lavoro, tali non essendo i comportamenti tipici
del lavoratore abituato al lavoro di routine (Cass. Pen Sez. 4, n. 40164 del
03/06/2004, Cass. Pen. Sez. 4, n. 9568 del 11/02/1991); in altre si è sostenuto
che l'inopinabilità può essere desunta o dalla estraneità al processo
produttivo o dall'estraneità alle mansioni attribuite (Cass. Pen. Sez. 4, n. 12115
del 03/06/1999, Cass. Pen. Sez. 4, n. 8676 del 14/06/1996), o dal
carattere del tutto anomalo della condotta del lavoratore (Cass. Pen. Sez. 4,
n. 2172 del 13/11/1984).
Se, dunque, da un lato, è stato posto l'accento sulle
mansioni del lavoratore, quale criterio idoneo a discriminare il comportamento
anomalo da quello che non lo è, nel concetto di esorbitanza si è ritenuto di
includere anche l'inosservanza di precise norme antinfortunistiche, ovvero la
condotta del lavoratore contraria a precise direttive organizzative ricevute, a
condizione che l'infortunio non risulti determinato da assenza o inidoneità
delle misure di sicurezza adottate dal datore di lavoro (Cass. Pen. Sez. 4, n.
3455 del 03/11/2004).
Peraltro la portata dell’esimente della responsabilità è
stata chiarita da una recente sentenza della Suprema Corte di Cassazione
Penale Sezione IV^ n. 22247 del 2014 che espressamente
delimita tale ipotesi di esclusione a casi marginali:
Può sul punto
richiamarsi, fra le ultime, la sentenza di questa Sezione dei 28/4/2011, n.
23292,
in linea con la consolidata giurisprudenza di legittimità (tra le tante, v.
Sez. IV, 10 novembre 2009, n.
7267
; Sez. IV, 17 febbraio 2009, n.
15009;
Sez. IV, 23 maggio 2007, n.
25532;
Sez. IV, 19 aprile 2007, n. 25502; Sez. IV, 23 marzo 2007, n.
21587
; Sez. IV, 29 settembre 2005, n. 47146;
Sez. IV, 23 giugno 2005, n. 38850; Sez. IV, 3 giugno 2004), la quale ha
precisato che la colpa del lavoratore, eventualmente concorrente con la
violazione della normativa antinfortunistica addebitata ai soggetti tenuti a
osservarne le disposizioni, non esime questi ultimi dalle proprie
responsabilità, poiché l'esistenza del rapporto di causalità tra la violazione
e l'evento morte o lesioni del lavoratore che ne sia conseguito può essere
esclusa unicamente nei casi in cui sia provato che il comportamento del
lavoratore fu abnorme, e che proprio questa abnormità abbia dato causa
all'evento; abnormità che, per la sua stranezza e imprevedibilità si ponga al
di fuori delle possibilità di controllo dei garanti.
Pur non potendosi
in astratto escludere che possa riscontrarsi abnormità anche in ipotesi nelle
quali la condotta del lavoratore rientri nelle mansioni che gli sono proprie,
ove la stessa sia consistita in un'azione radicalmente ed ontologicamente
lontana dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del
lavoratore nella esecuzione del lavoro, qui la detta ipotesi, comunque,
residuale, non ricorre. Poiché incombe sul datore di lavoro il precipuo
obbligo d'impedire prevedibili imprudenti condotte dei lavoratori, mediante
utilizzo di strumenti e macchinari non agevolmente alterabili, l'uso
obbligatorio di dispositivi individuali di protezione e, non ultimo,
l'approntamento di personale di vigilanza capace di negare l'accesso a
procedure pericolose, non v'è dubbio che l'imprudente scelta della vittima di
rimuovere i tubolari e la protezione su uno dei lati della struttura, al fine
di poter con maggior facilità liberarsi di materiali di risulta precipitandoli
al suolo, ove i dispositivi di tutela fossero stati efficacemente approntati,
non sarebbe stata attuata. Per queste ragioni, al contrario di quanto asserito
in ricorso, la predisposizione ed attuazione del P.O.S. avrebbe scongiurato il
sinistro mediante la predisposizione di efficaci strumenti dissuasivi e
impeditivi. Condivisamente questa Corte ha avuto modo di affermare
reiteratamente l'estrema rarità dell'ipotesi in cui possa affermarsi che possa
configurarsi condotta abnorme anche nello svolgimento proprio dell'attività
lavorativa, escludendolo tutte le volte in cui il lavoratore commetta
imprudenza affidandosi a procedura meno sicura, ma apparentemente più rapida o
semplice, che non gli venga efficacemente preclusa dal datore di lavoro (Sez.
IV, n. 952 del 27/11/1996; Sez. IV, n.
40164
del 3/6/2004; Sez. IV, n. 2614/07 del 26/10/2006).
Avv. Mauro Dalla Chiesa
Consulente Patronato ANMIL
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