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"Differenze di genere nella SSL: riflessioni generali"
fonte www.puntosicuro.it / Normativa
18/03/2015 -
In occasione della Giornata internazionale della donna (comunemente
definita Festa
della donna) che ricorre l’8 marzo di ogni anno, i contributi
statistici dell’Inail, sugli infortuni e gli incidenti legati al genere,
fanno emergere un quadro generale di disattenzione politica-economica e di
impreparazione culturale del nostro paese, e delle aziende che lo
rappresentano, per quanto riguarda il tema dell’attuazione
dei principi di uguaglianza e non discriminazione tra uomini e donne
nei luoghi di lavoro.
È un caso forse che la pubblicazione, commissionata dall’EU-OSHA,
“Mainstreaming gender into occupational safety and health practice” (Dimensione
di genere nelle pratiche di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro) veda i
contributi della Lituania, della Romania, della Grecia, oltre che del Regno
Unito, Germania e Francia, ma non quello dell’Italia?
In questo primo contributo, rispetto alla vastità del tema, desidero
fornire una cornice di contesto normativa, economica e culturale nella quale
inquadrare il tema della
valutazione non
neutra dei rischi e dalla quale partire per intraprendere azioni di
promozione, di prevenzione e protezione
della salute e sicurezza basate sull’equità di genere nel lavoro.
Dal punto di vista normativo, il D.Lgs 81/2008 compie un passaggio molto
importante poiché, a differenza di quanto accadeva nel Decreto 626, il cui
destinatario era un generico e neutrale lavoratore, il Testo Unico si propone
l’obiettivo di garantire «l’uniformità della tutela delle
lavoratrici e dei lavoratori sul territorio nazionale attraverso il
rispetto dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili
e sociali, anche con riguardo alle
differenze di
genere, di età e alla condizione delle lavoratrici e dei lavoratori
immigrati» (art. 1).
Inoltre viene specificato che sia la valutazione dei rischi quanto i
rapporti dei medici del lavoro dovranno tenere conto «delle differenze di
genere» (cfr. artt. 28, 40).
Possiamo quindi dire che il datore di lavoro è obbligato a valutare
i rischi della propria azienda tenendo conto delle differenze di genere in
essa presenti, è obbligato a organizzare e gestire i processi di lavoro tenendo
conto delle specificità di genere ed è altresì obbligato ad adottare misure di
prevenzione e protezione “ad hoc”.
L’obbligo normativo non rappresenta l’unica leva per sviluppare azioni
di equità di genere nei luoghi di lavoro, anche il dato economico merita un
accenno.
Esistono dei vantaggi economici endogeni ed esogeni: i primi sono quelli
che derivano dall’abbattimento dei costi diretti e indiretti causati da infortuni,
malattie professionali e incidenti che minacciano in modo differente la salute delle donne e degli uomini al lavoro.
Se è vero, per esempio, che gli uomini subiscono più infortuni sul
lavoro rispetto alle donne, queste hanno però maggiori probabilità di
manifestare patologie legate all’attività lavorativa, in particolare disturbi
agli arti superiori, stress
lavoro-correlato, malattie infettive e affezioni cutanee, a fronte invece
di una maggiore insorgenza nei lavoratori uomini di malattie cardiache, disturbi
dell’udito e affezioni polmonari.
Le diseguaglianze basate sul genere, secondo l’Organizzazione Mondiale
della Salute, danneggiano la salute fisica e mentale
di migliaia di ragazze e donne così come di uomini e ragazzi, ancor più
quando le misure di prevenzione e protezione della salute non tengono conto in
modo appropriato della suscettibilità legata a variabili che differiscono dal
presunto neutro maschile.
Inoltre, i vantaggi di un
sistema di valutazione dei rischi non neutro sono:
- aumento della disponibilità di forza lavoro e la
partecipazione dei lavoratori;
- diminuzione dei costi degli infortuni e delle
malattie professionali a carico della società;
- crescita
del numero di ore lavorate, in parte riducendo il numero dei
lavoratori/lavoratrici costretti/e a lasciare il lavoro per assistere i loro
famigliari;
- miglioramento
della produttività, stimolando metodi e tecnologie di lavoro più
efficienti.
I secondi
sono quelli che, in uno scenario di mercato sempre più avanzato,
riguardano i consumatori e gli stakeholders, i quali misurano il loro interesse
verso un’azienda combinando fattori di qualità dei beni e dei servizi erogati
con fattori legati anche alla sostenibilità sul fronte delle condizioni di
sicurezza e benessere in cui operano i lavoratori.
È dimostrato che le organizzazioni che promuovono
salute e benessere, con attenzione alle specificità maschili e femminili
generano profitto e competitività.
Da punto di vista culturale assistiamo ad un fenomeno
di
miopia culturale in cui le donne
nell’Unione Europea pur costituendo il 45 % della popolazione lavorativa,
operano in posti di lavoro concepiti, per la stragrande maggior parte, avendo
in mente una figura maschile.
Non da ultimo, il ruolo sociale
delle donne, quando sono madri o “quando si prendono cura” di altri, viene
ancora considerato come costo dalle aziende/organizzazioni e può ingenerare,
appunto, discriminazioni che sempre più colpiscono anche chi, uomo o donna,
punti ad assumere comportamenti orientati alla redistribuzione dei carichi
nell’ambito dell’equilibrio vita-lavoro.
Concludo dicendo che in gioco non c’è solamente la
stesura di qualche “pagina rosa” da aggiungere al documento di valutazione dei
rischi, in gioco c’è molto più: la possibilità che i luoghi di lavoro attenti
al genere diventino veri e propri luoghi di vita collaborativi, promuoventi e
valorizzanti le specificità singole e uniche delle donne e degli uomini.
Eu-Osha
- Mainstreaming gender into occupational safety and health practice (Dimensione di genere nelle pratiche di
salute e sicurezza nei luoghi di lavoro) (formato pdf, 3.60 MB).
Debora russi
Formatrice e consulente
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