News
"La validità del verbale dell’ispettore del lavoro quale atto non ripetibile"
fonte www.puntosicuro.it / Sentenze
25/05/2015 - Si è espressa la Corte di Cassazione
in questa breve sentenza in merito alla validità del verbale redatto da un
ispettore del lavoro quale atto non ripetibile compiuto dalla polizia
giudiziaria. Il verbale dell'ispettore del lavoro ha sostenuto, infatti,
la suprema Corte, non costituisce una mera
informativa di reato ai sensi dell'art. 347 c.p.p. poiché contiene
l'accertamento o la descrizione di una situazione di fatto suscettibile di
modifica nel tempo per effetto di comportamenti umani o di eventi naturali. Lo
stesso, pertanto, va annoverato tra gli atti non ripetibili compiuti dalla
polizia giudiziaria (art. 431 c.p.p., lett. b) e come tale, va inserito nel
fascicolo per il dibattimento e ne va data lettura a richiesta di parte o su
iniziativa del giudice (art. 511 c.p.p., comma 1), essendo utilizzabile come
fonte di prova.
Il caso e il
ricorso in cassazione
Il Tribunale ha condannato il presidente di un circolo
privato alla pena di euro 1.200 di ammenda ritenendolo colpevole della
contravvenzione dell’art. 14 comma del D. Lgs. n. 66 del 2003 per avere
occupato una
lavoratrice notturna in assenza di una preventiva visita medica di
idoneità. Per giungere a tale conclusione il Tribunale ha considerato la
documentazione trasmessa dal pubblico ministero e, in particolare il verbale
contenente le dichiarazioni rese agli Ispettori del Lavoro dalla lavoratrice la
sera stessa dell'ispezione nel locale nonché le affermazioni dell'imputato.
Il difensore dell’imputata ha fatto ricorso per cassazione
denunziando, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c) e lett. e), la
violazione di norme processuali (artt. 512 e 512 bis c.p.p.) e il vizio di
motivazione dolendosi innanzitutto del fatto che il giudice aveva utilizzato le
dichiarazioni rese durante le indagini preliminari da una teste mai sentita in
dibattimento e in assenza delle condizioni di cui agli artt. 512 e 512 bis
c.p.p., perché la donna risultava residente ancora in Italia. Lo stesso
difensore ha denunziato inoltre il vizio di motivazione perché una teste in
dibattimento aveva dichiarato che nel circolo non esistevano né orari, né
dipendenti né stipendi e che la somma di euro 500,00 veniva data alla lavoratrice
a titolo di donazione da un socio e non come retribuzione. Ad avviso del
ricorrente, infine, è mancata la prova che la lavoratrice svolgesse un lavoro
con orario predeterminato e seguisse le direttive del presidente del circolo.
Le decisioni
della Corte di Cassazione
Il ricorso è stato ritenuto dalla Sez. III penale della
Corte di Cassazione infondato. Secondo la stessa, infatti, “
il verbale dell'ispettore del lavoro non
costituisce mera informativa di reato ai sensi dell'art. 347 c.p.p., poiché
contiene l'accertamento o la descrizione di una situazione di fatto
suscettibile di modifica nel tempo, per effetto di comportamenti umani o di
eventi naturali”. “
Esso”, ha così
proseguito, “
va, pertanto, annoverato tra
gli atti non ripetibili compiuti dalla polizia giudiziaria (art. 431 c.p.p.,
lett. b); come tale, va inserito nel fascicolo per il dibattimento e ne va data
lettura a richiesta di parte o su iniziativa del giudice (art. 511 c.p.p.,
comma 1), essendo utilizzabile come fonte di prova”.
In ogni caso, ha aggiunto la suprema Corte, dalla sentenza
impugnata è risultato che la colpevolezza dell'imputato è stata affermata non
esclusivamente sulla base delle dichiarazioni rese all'ispettore del lavoro, in
occasione della sua ispezione, dalla lavoratrice, dichiarata irreperibile in 'udienza
senza peraltro alcuna opposizione del difensore, ma anche sulla scorta delle
affermazioni della stessa imputata nella parte in cui "
ha ammesso che la ragazza in questione
riceveva periodicamente una somma di danaro", mentre invece sono state
ritenute prive di riscontro probatorio le ulteriori precisazioni (e cioè che si
trattava di un contributo versato per conto di un socio ammiratore della
ragazza che non voleva figurare direttamente).
Era da escludere quindi, secondo la Sez. III, qualunque
violazione del principio di cui all'art. 526 c.p.p. e di quelli contenuti
nell'art. 6 della CEDU come interpretati dalla Corte Europea dei Diritti
dell'Uomo (nel senso che può astrattamente concepirsi una deroga al principio
della formazione della prova in contraddittorio purché, naturalmente, la
condanna non si sia basata esclusivamente sulle dichiarazioni rese in fase
anteriore al dibattimento su cui non si è avuto modo di replicare) e pertanto
la Corte di Cassazione, non meritando censura la sentenza che, con riferimento
alla posizione della lavoratrice, aveva desunto l'esistenza di un rapporto di
lavoro subordinato sulla scorta delle dichiarazioni rese a verbale dalla donna
e sulle dichiarazioni dell'imputata, ha rigettato il ricorso confermando la
condanna a suo carico.
Segnala questa news ad un amico
Questa news è stata letta 1095 volte.
Pubblicità