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"Norme Tecniche: valore giuridico e vincolatività"
fonte www.puntosicuro.it / Normativa
29/05/2015 -
Gli operatori
del settore della prevenzione sui luoghi di lavoro si trovano costantemente a doversi
confrontare con le norme tecniche ( norme dell’UNI, del CEI, del
CENELEC…).
Il testo
unico di salute e sicurezza sul lavoro fornisce ormai, a partire dal 2008, una
definizione di “norma tecnica” (oltre che di buone prassi e di linee guida), dalla
quale si desumono i tre elementi che qualificano tale fonte:
1)
E’ una
“specifica
tecnica”;
2)
Deve essere stata
“approvata e pubblicata da un’organizzazione internazionale, da un
organismo europeo o da un organismo nazionale di normalizzazione”;
3)
E’ qualificata come una fonte
“la cui osservanza non sia obbligatoria” (art. 2 c. 1 lett. u) D.Lgs.81/08).
L’osservanza
delle norme tecniche è dunque non obbligatoria per espressa dichiarazione del
legislatore, il quale identifica di conseguenza nella volontarietà la “natura”
di queste fonti.
Tutto ciò vale
laddove le norme tecniche vengano
considerate
isolatamente.
Ma quando le
si guarda alla luce del complesso delle norme presenti nell’ordinamento, occorre fare delle distinzioni.
Infatti, in
una prospettiva più generale, è importante tenere presente che le norme non
sono delle monadi isolate all’interno
dell’ordinamento giuridico ma si condizionano a vicenda, esercitando un’influenza
le une sulle altre sulla base del loro ambito applicativo ovvero della loro
sfera di influenza, un po’ come i
pianeti all’interno del sistema solare.
Per cui vi
sono alcuni
casi in cui la mancata
applicazione di una norma tecnica può essere legittimamente contestata ad un
soggetto sotto il profilo omissivo in quanto l’applicazione della stessa
acquisisce una valenza obbligatoria, proprio in virtù della presenza all’interno
dell’ordinamento di norme giuridiche che fungono da fonte, diretta o indiretta,
esplicita o implicita, di tale obbligatorietà.
1)
Il primo caso: il rinvio formale alla norma
tecnica da parte di una norma cogente
Il primo e
più evidente caso in cui l’applicazione della norma tecnica, pur avendo una natura
volontaria, diviene obbligatoria in virtù dell’influenza di una o più norme
giuridiche sulle norme tecniche, si ha quando una norma cogente ne richiama l’applicazione
in via obbligatoria, recependola.
Gli esempi,
dentro e fuori il D.Lgs.81/08, si sprecano.
Il rinvio, a
seconda dei casi, può essere indirizzato ad una specifica norma tecnica (o a
più norme tecniche i cui riferimenti sono specificati nel dettaglio) o, più in
generale, alle norme tecniche di un certo settore.
Un esempio di
quest’ultimo caso può essere tratto dall’art. 71 del D.Lgs.81/08 comma 8 (obblighi
del datore di lavoro in materia di attrezzature di lavoro) come modificato dal
decreto correttivo nel 2009: la Relazione di accompagnamento al D.Lgs.106/2009
specificava che tale comma veniva modificato “imponendo al datore di lavoro di
considerare, nell’adempimento dell’obbligo in parola, i documenti indicati o
le indicazioni derivanti da norme tecniche, buone
prassi o linee guida assicurando
un
migliore livello di tutela.”
La
ratio di tale modifica normativa era rappresentata,
dunque, secondo il legislatore, dall’esigenza di elevare i livelli di tutela.
In caso di
rinvio formale da parte della norma giuridica, la norma tecnica - o meglio la
sua osservanza - acquisisce la natura vincolante della norma cogente che la
richiama e, nel caso quest’ultima sia sanzionata penalmente o in via
amministrativa, la mancata osservanza della norma tecnica determinerà l’attribuzione
di tale sanzione.
Un esempio giurisprudenziale.
In un caso in cui, come raramente
accade, è stato riconosciuto il comportamento imprevedibile ed esorbitante dal
processo produttivo del lavoratore, tale da liberare interamente da
responsabilità i due imputati (dirigente e preposto), il Tribunale, nell’operare
“una
ricognizione della normativa applicabile in materia di prevenzione e sicurezza
dal rischio elettrico”, ha definito questa ricognizione un
“compito questo sicuramente non agevole
attesa la stratificazione di interventi legislativi verificatasi in anni
recenti (si pensi alla rapida successione del D.Lvo 9.4.2008 n.81 e del
cosiddetto “correttivo” 9.8.2009 n.106) e in considerazione dell’
interferenza sui precetti legali delle
norme tecniche emanate dal Comitato Elettrotecnico Italiano (C.E.I.), più volte
richiamate dalla legge ad integrare la disciplina statuale attraverso lo
strumento del “rinvio formale” a quella particolare fonte di produzione
normativa.”
In particolare,
“s
econdo
il Giudicante,
tali rinvii hanno
comportato la novazione del significato stesso di “norma tecnica” quale
definito un tempo dall’art. 2 della legge 1.3.1968 n° 186 (secondo il quale si
dovevano considerare costruiti a regola d’arte “i materiali, le
apparecchiature, i macchinari, le installazioni e gli impianti elettrici
realizzati secondo le norme del comitato elettrotecnico italiano”), e ora dall’art.
2 lett. u) del D. Lvo 2008 n° 81 (che la definisce come una "specifica
tecnica (..) la cui osservanza non sia obbligatoria"),
facendo divenire vincolanti quei precetti
di buona tecnica che fino ad ieri venivano considerati solo opzionali (si vedano
infatti, in questo senso, Cass. 30.3.1981 n.7253 e Cass. 24.10.1984 n.1542).” (Trib.
Pisa, Sez. Pen., 22 aprile 2014 n. 776.)
Ovviamente la “novazione del
significato” di norma tecnica di cui parla la sentenza vale non in termini
assoluti ma, come specificato dalla pronuncia stessa, nel caso in cui
sussistano i “rinvii formali” di cui si è detto da parte della norma cogente.
2)
Il secondo caso: le norme tecniche quale
contenuto del rinvio alla “tecnica” operato dall’articolo 2087 c.c.
Partendo dal
presupposto per cui le norme tecniche riproducono il cosiddetto “stato dell’arte”,
esse possono essere considerate delle fonti la cui applicazione contribuisce a
realizzare la cosiddetta massima sicurezza tecnologicamente fattibile imposta,
in via obbligatoria, dall’articolo 2087 del codice civile.
Infatti, come ricorda la
giurisprudenza,
“il datore, per tutelare
l’integrità psico-fisica del prestatore, ha l’obbligo ex articolo 2087 Codice
Civile di predisporre le cautele necessarie secondo la particolarità del
lavoro, l’esperienza e
la tecnica:
poiché la responsabilità oggettiva del datore non è configurabile, l’adempimento
datorile è da valutare sulla base delle regole di esperienza e la
ragionevole prevedibilità degli eventi”(Cass. Civ., Sez. Lav., 2 luglio 2008, n.18107).
Ma come si fa a riempire di
significato le espressioni generali utilizzate dall’articolo
2087 del codice civile, una disposizione cogente che prevede un vero e
proprio obbligo la cui violazione può andare a rappresentare titolo di colpa
specifica [1]
in sede penale?
E qual è il collegamento tra l’articolo
2087 del codice civile e le norme tecniche?
La risposta
ci viene fornita dalla sentenza di primo grado sul caso Thyssen (Trib. Torino, Corte d’Assise, 15 aprile 2011),
che, di fronte alle argomentazioni della difesa che lamentava le difficoltà legate
al dare adempimento all’obbligo previsto dall’articolo 2087 c.c., dapprima
premette che
“la Corte non ignora una ipotizzabile difficoltà, per il datore di
lavoro, di
conoscere effettivamente come comportarsi […] a fronte di un
dovere generale di solidarietà e di una espressione di ampio contenuto quale
quella di cui all’art. 2087 c.c. […].”
Ma poi aggiunge che
“il dovere generale di tutela, derivante dalla Costituzione e dall’art.
2087 c.c., funge da - elementare, ma altrettanto fondamentale - criterio
interpretativo per tutta la legislazione in materia di sicurezza e di salute
dei lavoratori, a cominciare dal D.Lgs 626/94 (ora D.Lgs. 81/08) - v. nelle
prioritarie enunciazioni […] “misure generali di tutela” - passando per i
decreti ministeriali, per giungere alle
norme “tecniche” le quali ultime,
riproducendo lo “stato dell’arte” (nel nostro caso, relativo alla materia
di prevenzione antincendio),
costituiscono il “contenuto” preciso del rinvio
alla “tecnica” ed alle “conoscenze acquisite in base al progresso tecnico” come indicate
all’art. 2087 c.c. e all’art. 3 D.Lgs 626/94.” [Ora
art. 15 c. 1
lett c).D.Lgs. 81/08.]
Dunque - secondo la sentenza torinese -
le norme tecniche, riproducendo lo “stato
dell’arte”, costituiscono
il “contenuto” preciso del rinvio
alla
“tecnica” operato dall’articolo 2087 del codice civile, quale norma
di
chiusura del sistema prevenzionistico, ed anche - per un principio di
continuità normativa con l’art. 3 dell’abrogato decreto 626 - del rinvio che l’attuale
art. 15 del D.Lgs.81/08 (“misure generali di tutela”) fa alle
“conoscenze
acquisite in base al progresso tecnico” allorché tale norma impone
“l’eliminazione dei rischi e, ove ciò non
sia possibile, la loro riduzione al minimo in relazione alle conoscenze
acquisite in base al progresso tecnico”.
[2]
E, da questa pronuncia, si desume come - allorché ci si trovi a
ragionare sulla prevedibilità o meno di un evento e quindi in ordine alle
responsabilità di chi era tenuto a prevederlo e prevenirlo - la presenza o meno
di norme tecniche in un certo settore o ambito possa fungere da spartiacque (o
sia comunque uno degli elementi tali da fare da spartiacque) tra ciò che è
prevedibile e ciò che non lo è.
Nella fattispecie, sempre rifacendosi a questo “spartiacque”, i Giudici
hanno ritenuto che
“
il c.d. “flash fire” si presentasse
agevolmente prevedibile e rappresentabile sulla base di
conoscenze tecniche
“medie” e patrimonio tecnico consolidato: sicuramente
non di carattere
“innovativo”.”
Sul piano normativo, tutte queste
considerazioni vanno ricondotte alla natura e alla funzione dell’art. 2087 cod.
civ. quale norma che
“si atteggia anche come norma di chiusura del sistema
antinfortunistico, nel senso che,
anche dove faccia difetto una specifica
misura preventiva, la disposizione suddetta
impone al datore di lavoro di adottare
comunque le misure
generiche di prudenza, diligenza e
la osservanza delle norme tecniche e
di esperienza”
[3].
3)
Il
terzo caso: le norme tecniche volontariamente adottate e richiamate in sede
ispettiva
Concludendo
ricordiamo un terzo caso in cui, anche se la norma tecnica viene adottata
volontariamente, la legge ha predisposto uno strumento specifico - applicabile
dall’organo di vigilanza - atto a garantire che il datore di lavoro la applichi
correttamente.
Tale caso è
contemplato dal Titolo XII del D.Lgs.81/08 (che contiene disposizioni in
materia penale e di procedura penale e che andrebbe letto unitamente al Titolo
I) e in particolare dall’
art. 302-bis
[4]
(Potere di disposizione).
Tale
norma
al comma 1 prevede che
“gli organi di vigilanza impartiscono
disposizioni
esecutive ai fini dell’applicazione delle norme tecniche e delle buone
prassi,
laddove volontariamente adottate
dal datore di lavoro e da questi espressamente richiamate in sede ispettiva,
qualora ne riscontrino la non corretta adozione, e salvo che il fatto non
costituisca reato.”
[5]
Ovviamente, come specificato dalla parte finale della norma stessa, tale
potere di disposizione potrà essere esercitato solo ove il fatto non
rappresenti reato; si tenga conto, in tal senso, che ogni qual volta un
precetto contenuto dal D.Lgs.81/08 è sanzionato con la pena dell’arresto, con
la pena alternativa dell’arresto o dell’ammenda o con la pena della sola
ammenda, si è in presenza di un reato (contravvenzionale).
La
ratio dell’introduzione di
questo particolare potere di disposizione nel Testo Unico viene anche in questo
caso chiarita dalla Relazione di accompagnamento al decreto correttivo: “E’
introdotto, inoltre, l’articolo 302-bis per la
valorizzazione dello strumento della disposizione, utilizzabile
dagli organi di vigilanza
per impartire
indicazioni in materia di salute e sicurezza sul lavoro.
Tale valorizzazione corrisponde alla necessità di adottare, nei confronti
dell’impresa, una misura che consenta il
ripristino
dei livelli di tutela e che
privilegi
l’approccio prevenzionistico a quello sanzionatorio.
La norma si applica, favorendo in tal modo la “scelta” dell’imprenditore
per gli
strumenti “dinamici” e
volontaristici delle norme tecniche e delle buone prassi in luogo di quelli
“rigidi” delle previsioni normative, dove
le norme tecniche
e alle
buone prassi sono disposizioni
per loro natura
idonee a modificare il
parametro di riferimento
per il soggetto obbligato in relazione alla
migliore soluzione tecnica disponibile in un dato momento storico.”
Anna
Guardavilla
Dottore in Giurisprudenza specializzata nelle tematiche
normative e giurisprudenziali relative alla salute e sicurezza sul lavoro
[1]
Colpa specifica quale inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline
(art. 43 c.p.).
[2] Art. 15 c. 1 lett. c) D.Lgs.81/08.
[3] Cass.
Sez. Lav., 9 maggio 1998 n. 4721.
[4]
Introdotto nel 2009 all’interno del D.Lgs. 81/08 dall’art. 144 c. 2 del
D.Lgs.106/2009.
[5]
Il comma 2 dell’art. 302-
bis prevede
poi che
“avverso le disposizioni di cui
al comma 1 è ammesso ricorso, entro trenta giorni, con eventuale richiesta di
sospensione dell’esecutività dei provvedimenti, all’autorità gerarchicamente
sovraordinata nell’ambito dei rispettivi organi di vigilanza, che decide il
ricorso entro quindici giorni. Decorso inutilmente il termine previsto per la
decisione il ricorso si intende respinto. Con riferimento ai provvedimenti
adottati dagli organi di vigilanza del Ministero del lavoro, della salute e
delle politiche sociali, la autorità gerarchicamente sovraordinata è il
dirigente della Direzione provinciale del lavoro territorialmente competente.”
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