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"L’adozione di modelli organizzativi nelle piccole imprese"

fonte www.puntosicuro.it / Linee Guida

06/10/2015 - La costruzione di un  modello di organizzazione, gestione e controllo, al di là dell’esonero dalla  responsabilità amministrativa (D.Lgs. 231/2001), deve soddisfare pienamente le esigenze della singola realtà imprenditoriale che lo adotta. E per farlo non è possibile delineare un modello universalmente valido per ogni azienda. Ad esempio il  settore merceologico e le  soglie dimensionali di un’impresa sono due tra i fattori che possono avere un’influenza maggiore sulle caratteristiche del modello e la funzione preventiva che deve svolgere. Se l’operatività in un settore merceologico specifico può aumentare la propensione alla commissione di alcune tipologie di reato, la  soglia dimensionale è invece “una problematica di tipo orizzontale, che riguarda ogni impresa, a prescindere dal settore in cui opera, e influisce sul livello di complessità dei modelli da adottare”. È infatti evidente che “questioni concernenti l’organizzazione, le deleghe di funzioni e le procedure decisionali e operative sono destinate ad assumere un minor rilievo in una piccola impresa, nella quale la maggior parte delle funzioni è concentrata in capo a poche persone”.
Quale può essere il “ ruolo effettivo che un modello deve rivestire in relazione alle esigenze, alla struttura ed alle risorse di una piccola impresa”?

A porsi queste domande e a fornire risposte utili per l’implementazione di un modello organizzativo nelle piccole imprese, è il documento  di Confindustria, aggiornato nel 2014, dal titolo “ Linee guida per la costruzione dei modelli di organizzazione, gestione e controllo. Ai sensi del Decreto Legislativo 8 giugno 2001, n. 231”.
 
Nel documento - già presentato da PuntoSicuro anche in relazione al tema delle responsabilità degli organismi di vigilanza o dell’importanza del codice etico - dopo aver delineato una serie di indicazioni e misure generali, si vuole fornire una “ chiave di lettura” di tali indicazioni dedicata specificamente alle piccole imprese.
 
Il documento sottolinea che una piccola impresa – definita in questo caso come tale più per “l’essenzialità della struttura interna gerarchica e funzionale”, piuttosto che per “parametri quantitativi” - non diversamente dalle altre imprese più grandi, “è chiamata a dotarsi di un Modello di organizzazione, gestione e controllo. Infatti, il rischio che essa sia coinvolta in procedimenti penali per i reati richiamati dal decreto 231 è tutt’altro che remoto (basti pensare al fenomeno delle erogazioni pubbliche e dei finanziamenti alle piccole imprese). L’adozione del Modello può minimizzare le conseguenze sanzionatorie per l’ente”, a patto che le condizioni di cui all’art. 6 del decreto 231/2001 stesso siano rispettate”.
 
Per fornire una “chiave di lettura” chiara e coerente con quanto già indicato nelle Linee Guida, viene seguita la tripartizione (individuazione dei rischi e protocolli; Codice etico e sistema disciplinare; Organismo di vigilanza) già utilizzata e applicabile come “schema logico di costruzione, a prescindere dalle dimensioni e dal settore di attività dell'ente”.
 
Riguardo al tema dell’ individuazione dei rischi e protocolli, si indica che se le piccole imprese sono “caratterizzate da una struttura meno articolata rispetto ad altre realtà, nonché da minori risorse da poter dedicare alla predisposizione di un modello organizzativo e ai relativi controlli”, è anche vero “che lo sforzo loro richiesto appare minore”.
Nel documento di Confindustria per favorire l’utilizzo delle metodologie già prospettate anche da parte degli enti di più piccole dimensioni, “si è pensato a uno schema sufficientemente flessibile, sul quale l’aspetto dimensionale si limita a influire, ai fini del processo di gestione dei rischi, su:
- la complessità dell’analisi, in termini di numerosità e articolazione delle funzioni aziendali interessate e di casistiche di illecito aventi potenziale rilevanza per l’ambito di attività (a questo proposito, un valido aiuto può venire dalla consultazione del case study allegato alle Linee Guida);
- le modalità operative di conduzione dell’attività di gestione dei rischi, che potrà essere svolta dall’organo dirigente, non con il supporto di funzioni interne aziendali, bensì eventualmente con apporti professionali esterni;
- l’ articolazione dei controlli preventivi. Riprendendo quanto già esposto al Capitolo II (delle Linee Guida, ndr), questi enti potranno utilizzare soltanto alcuni dei protocolli indicati ed, eventualmente, anche in forme semplificate”.
 
Inoltre il documento ricorda che:
- “nelle aziende industriali fino a 200 dipendenti – a esclusione delle attività ad alto rischio previste dal decreto 81 del 2008 - l’organizzazione del Servizio di Prevenzione e Protezione può essere esterna alla stessa azienda ovvero all’unità produttiva interessata”;
- sempre con esclusione delle menzionate attività ad alto rischio, “nelle aziende industriali fino a 30 dipendenti i compiti di responsabile del SPP possono essere svolti direttamente dal datore di lavoro”;
- riguardo alle figure da adibire alla gestione delle emergenze e del pronto soccorso, “nelle piccole imprese l’attribuzione delle relative funzioni può essere concentrata in capo a un unico soggetto”;
- per le PMI sono state “definite procedure semplificate (‘standardizzate’) per gli adempimenti documentali relativi, in particolare, alla valutazione di rischi”.
 
Quanto detto invece nelle linee guida riguardo al Codice etico (o di comportamento) e al sistema disciplinare, “non desta particolari preoccupazioni e difficoltà di adattamento alle imprese di piccole dimensioni”.
Nelle linee guida sono stati ad esempio indicati “i contenuti minimi del Codice etico, consistenti essenzialmente nel rispetto delle norme vigenti, nel monitoraggio di ogni operazione effettuata e nella espressione di una serie di princìpi cui dovrà essere improntata l’attività dell’ente nello svolgimento dei rapporti commerciali con i soggetti rilevanti”. Contenuti che sono “imprescindibili per la effettività e credibilità di un Codice etico” e vanno recepiti anche dalle piccole imprese.
 
Veniamo infine brevemente all’ Organismo di vigilanza.
In questo caso la realtà delle piccole imprese presenta specificità proprie.
Infatti in relazione alla complessità e onerosità del Modello indicato dal decreto 231, il legislatore “ha voluto tenere in debito conto le problematiche che si pongono in quella categoria di enti che, per la dimensione e la semplicità della struttura organizzativa, non dispongono di una funzione (o persona) con compiti di monitoraggio del sistema di controllo interno. Per tali enti, l’onere derivante dall’istituzione di un organismo ad hoc potrebbe non essere economicamente sostenibile”.
 
Il decreto 231 prevede all’articolo 6, comma 4, la “facoltà dell’organo dirigente di svolgere direttamente i compiti indicati. Tuttavia, tenuto conto delle molteplici responsabilità e attività su cui quotidianamente l’organo dirigente deve applicarsi, si raccomanda che, nell’assolvimento di questo ulteriore compito, esso si avvalga di professionisti esterni, ai quali affidare l’incarico di effettuare verifiche periodiche sul rispetto e l’efficacia del Modello”.
Si sottolinea tuttavia che i compiti delegabili all’esterno “sono quelli relativi allo svolgimento di tutte le attività di carattere tecnico, fermo restando l’obbligo del professionista esterno di riferire all’organo dell’ente. È evidente, infatti, che l’affidamento di questo tipo di delega non fa venir meno la responsabilità dell’organo dell’ente in ordine alla funzione di vigilanza ad esso conferita dalla legge”.
E qualora invece l’organo dirigente scelga di non avvalersi di un supporto esterno e intenda svolgere personalmente l’attività di verifica, “è opportuna - in via cautelativa nei confronti dell’autorità giudiziaria chiamata ad analizzare l’efficacia del Modello e dell’azione di vigilanza - la stesura di un verbale delle attività di controllo svolte, controfirmato dall’ufficio o dal dipendente sottoposto alle verifiche”.
 
Il capitolo sulla “chiave di lettura” per l’ adozione di MOG nelle piccole imprese si conclude ricordando che riguardo alla tutela della salute e sicurezza sul lavoro, “si è previsto che negli enti di piccole dimensioni il legislatore consente, per un verso, che l’organo gestionale svolga attività di vigilanza e, per altro verso, che possano essere assunte dal datore di lavoro tutte le responsabilità riguardanti gli adempimenti di prevenzione e protezione”.
Ed è dunque evidente come nelle realtà di minori dimensioni possa realizzarsi in capo al datore di lavoro – al di là dell’alternativa del ricorso a soggetti esterni – “una complessiva confluenza di obblighi e responsabilità che lo stesso dovrà gestire anche sul piano documentale, in vista del possibile beneficio dell’esimente”, dell’esenzione da  responsabilità amministrativa di cui al D.Lgs. n. 231/2001.
 
Ricordiamo infine che il Decreto Ministeriale 13 febbraio 2014 ha recepito le  procedure semplificate - approvate dalla Commissione Consultiva nella seduta del 27 novembre 2013 - per l'adozione e la efficace attuazione dei  modelli di organizzazione e di gestione della sicurezza nelle piccole e medie imprese ai sensi dell'art. 30, comma 5-bis, del Decreto Legislativo n. 81/2008.
 
 
 
 
Confindustria, “ Linee guida per la costruzione dei modelli di organizzazione, gestione e controllo. Ai sensi del Decreto Legislativo 8 giugno 2001, n. 231”, Parte Generale, documento aggiornato al mese di marzo 2014 (formato PDF, 1.37 MB).
 
Confindustria, “ Linee guida per la costruzione dei modelli di organizzazione, gestione e controllo. Ai sensi del Decreto Legislativo 8 giugno 2001, n. 231”, Parte Speciale, documento aggiornato al mese di marzo 2014 (formato PDF, 1.39 MB).
 
 
 
 
 
Tiziano Menduto

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