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"DUVRI: le responsabilità di datore di lavoro, dirigente e preposto"

fonte www.puntosicuro.it / D.U.V.R.I.

29/10/2015 -
Come noto, l’articolo 18 c. 1 lettera p) del D.Lgs. 81/08 prevede che “il datore di lavoro, che esercita le attività di cui all’articolo 3 e i dirigenti, che organizzano e dirigono le stesse attività secondo le attribuzioni e competenze ad essi conferite, devono […] elaborare il documento di cui all’articolo 26, comma 3” (DUVRI). Dunque, l’elaborazione del DUVRI è un obbligo del datore di lavoro o del dirigente, nell’ambito delle rispettive “attribuzioni e competenze”.
 
Per quanto riguarda la posizione di garanzia del datore di lavoro committente rispetto al DUVRI, va anzitutto premesso, come ci ricorda la Cassazione in una sentenza del 2015 ( Cass. Pen., Sez. IV, 13 febbraio 2015 n. 6394), che la “logica che presiede alla gestione dei rischi in caso di affidamento dei lavori ad imprese appaltatrici o a lavoratori autonomi all'interno dell'azienda, o di una singola unità produttiva della stessa, nonché nell'ambito dell'intero ciclo produttivo dell'azienda medesima” fa sì che gravi “sempre sul datore di lavoro, in questo caso anche committente, l'obbligo di predisporre il documento di valutazione dei rischi derivanti dalle possibili interferenze tra le diverse attività che si svolgono, in successione o contestualmente, all'interno di una stessa area e gravando, specularmente, su tutti i datori di lavoro ai quali siano stati appaltati segmenti dell'opera complessa, l'obbligo di collaborare all'attuazione del sistema prevenzionistico globalmente inteso, sia mediante la programmazione della prevenzione concernente i rischi specifici della singola attività, rispetto ai quali la posizione di garanzia permane a carico di ciascun datore di lavoro, sia mediante la cooperazione nella prevenzione dei rischi generici derivanti dall'interferenza tra le diverse attività, rispetto ai quali la posizione di garanzia si estende a tutti i datori di lavoro ai quali siano riferibili le plurime attività coinvolte nel processo causale da cui ha tratto origine l'infortunio (Sez. 4, n. 5420 del 15/12/2011, Intrevado, n.m.; Sez. 4, n. 36605 del 5/05/2011, Giordano, n.m.; Sez. 4, n. 32119 del 25/03/2011, D'Acquisto, n.m.).”
 
Ancora, la Corte sottolinea nella medesima sentenza che è “espressamente a carico del datore di lavoro committente l'obbligo di stilare il D.U.V.R.I. (documento unico di valutazione dei rischi da interferenze), con riferimento alle attività che si svolgono all'interno della sua azienda […], indipendentemente dal fatto che vi siano taluni rischi da interferenze che possano riguardare esclusivamente i dipendenti dell'appaltatore ovvero i lavoratori autonomi presenti nell'ambiente di lavoro e non anche i lavoratori dipendenti del committente.
Si tratta di una regola evidentemente finalizzata ad individuare con certezza il titolare primario della posizione di garanzia relativa alla valutazione dei rischi da interferenze in colui che ha la posizione di dominio del rischio correlato alla compresenza nella sua unità produttiva di più imprese. Tale obbligo deve intendersi, poi, esclusivamente chiarito con l'entrata in vigore del D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 26, comma 1, […] in base al quale si intende per datore di lavoro committente colui che ha la disponibilità giuridica dei luoghi in cui si svolge l'appalto o la prestazione di lavoro autonomo.”
 
Come si è già avuto modo di ricordare, l’obbligo di elaborazione del DUVRI è inserito tra gli obblighi contenuti nell’articolo 18 del Testo Unico che gravano sul datore di lavoro o sul dirigente.
A differenza del documento di valutazione dei rischi (art. 17 in comb.disp. art.28 D.Lgs.81/08), il DUVRI è un obbligo delegabile.
Su questo aspetto si sofferma la Cassazione in una sentenza del 2013 ( Cass. Pen., Sez.III, 16 gennaio 2013 n.2285), secondo cui “così come la redazione del “documento di valutazione dei rischi” è obbligo esclusivo del datore di lavoro, analogamente la redazione del D.u.v.r.i. è obbligo del datore di lavoro committente, pur potendo lo stesso essere delegato a terzi […]”.
 
Sul preposto non grava l’obbligo di elaborare il DUVRI, il quale ultimo, come si è detto, è obbligo del datore di lavoro o del dirigente.
Il preposto è tenuto invece a “garantire l’attuazione delle direttive ricevute”, coerentemente con la definizione che la legge fornisce di tale figura allorché, all’articolo 2 c. 1 lett. e) del D.Lgs.81/08, prevede che il preposto sia la persona che “sovrintende alla attività lavorativa e garantisce l’attuazione delle direttive ricevute, controllandone la corretta esecuzione da parte dei lavoratori ed esercitando un funzionale potere di iniziativa”. [Si veda, a questo proposito, l’ultima sentenza che verrà citata nel presente contributo].
Infatti, secondo l’orientamento costante della Cassazione, “non spetta al preposto adottare misure di prevenzione, ma fare applicare quelle predisposte da altri” ( Cass. Pen., Sez. IV, 21 aprile 2006 n. 14192).
 
 
E’ illuminante e dirimente in proposito un caso giurisprudenziale andato a sentenza di legittimità quest’anno, in cui la Cassazione ( Cass. Pen., Sez. IV, 30 gennaio 2015, n. 4599) ha sancito la responsabilità di un delegato alla sicurezza per non aver valutato i rischi legati ad un’operazione svolta da personale esterno il quale ultimo era coordinato da un preposto interno.
Secondo la Corte, il delegato “avrebbe dovuto valutare i rischi dell'operazione e non disinteressarsene lasciando tutte le determinazioni al C. [preposto]”.
 
In particolare, al delegato, “nella sua qualità di institore della ditta T. G. s.p.a., delegato per gli aspetti della sicurezza, era contestato di aver cagionato l'evento, costituito dalla morte del lavoratore G.S., per non aver adottato misure, usato attrezzature e disposto opere provvisionali nelle operazioni di rimontaggio di un pistone idraulico all'interno di un cilindro, tali da consentire l'effettuazione dei predetti lavori in condizioni di sicurezza. In particolare, veniva contestato all'imputato di non aver adottato una procedura capace di limitare i rischi o ulteriori sistemi prevenzionali e di non aver attuato misure tecniche ed organizzative adeguate a ridurre al minimo i rischi, di non aver adeguatamente formato i dipendenti sull'utilizzo dei martinetti idraulici, di non aver adeguatamente cooperato all'attuazione delle misure di prevenzione.”
 
Si era verificato che nel corso di una “attività di manutenzione straordinaria di una pressa orizzontale da 4500 tonnellate, la quale si presentava come un impianto di notevoli dimensioni caratterizzato da un organo lavoratore di considerevole diametro e peso […], mentre la prima parte dell'operazione si era svolta agevolmente, quasi solo con l'ausilio del carro ponte, l'inserimento del pistone era divenuto a un certo punto difficoltoso. Così la squadra di lavoratori impegnata nello svolgimento dell'operazione, sotto la direzione del responsabile del reparto manutenzione Co., aveva optato per l'utilizzo di una serie di martinetti idraulici posizionati fra due tubolari, uno in fila all'altro.”
 
Sotto il profilo organizzativo, la situazione era la seguente: “Il G.S. era dipendente della ditta S. svolgente presso lo stabilimento G. attività di manutenzione in regime di appalto. Per quanto risultato dall'istruttoria, il personale S. non operava in completa autonomia ma piuttosto congiuntamente ai dipendenti G. e sotto la supervisione del C., responsabile del reparto manutenzione G.. Ritenevano i giudici che in tale quadro di sostanziale utilizzo congiunto da parte della G. di prestazioni di mano d'opera dei dipendenti S. non era possibile invocare l'esonero da responsabilità del soggetto appaltante, poiché spettava alla ditta che stava gestendo l'operazione di manutenzione assicurare che le attività fossero svolte in condizioni di sicurezza.”
 
Dunque, “in definitiva il verificarsi dell'infortunio era fatto risalire alla mancata valutazione dei rischi dell'operazione e alla scelta di strumenti non idonei in rapporto alle operazioni da svolgere.
Alla scelta della procedura da utilizzare, rimessa alla valutazione del responsabile del reparto manutenzione, non aveva partecipato il C.M. [delegato, n.d.r.].
Ritenevano, tuttavia, i giudici del merito che l'imputato, nominato institore dello stabilimento con delega alla sicurezza, avesse assunto un ruolo di garanzia nei confronti del G.S. e fosse da ritenere responsabile dell'evento.”
 
Di conseguenza “la violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni da parte dell'imputato era evidente, poiché, in qualità di institore delegato alla sicurezza, egli avrebbe dovuto […] valutare i rischi dell'operazione e non disinteressarsene lasciando tutte le determinazioni al C. [preposto] che non aveva alcuna delega in materia di sicurezza.
In tale quadro spettava all'imputato svolgere le indagini relative alla valutazione dei rischi attinenti alle operazioni di manutenzione, non rilevando al riguardo la circostanza che al momento del fatto egli non fosse nello stabilimento”.
 
Nonostante il ricorrente abbia fatto presente nel ricorso che il preposto “era persona di grande esperienza e capacità, che meglio di qualsiasi altro avrebbe potuto progettare e mettere a punto interventi manutentivi anche complessi presso i vari macchinari”, la Cassazione conferma la sua condanna (del delegato) con le seguenti argomentazioni:
 
1)   La Cassazione ricorda che l'addebito mosso al ricorrente [era] attinente più propriamente alla inadeguata valutazione di elementi desumibili dai dati di esperienza, dal momento che in motivazione si sottolinea che l'operazione di manutenzione e calibratura dei cilindri era stata effettuata più volte e che non erano state adottate tutte le misure in concreto necessarie (predisposizione di misure tecnico organizzative e di opere provvisionali, oltre che adeguata formazione dei dipendenti) atte a consentire l'effettuazione dell'operazione in sicurezza.”
2)   “Resta privo di rilevanza l'argomento difensivo sviluppato in ricorso concernente la delega di fatto conferita al responsabile del reparto manutenzione G., C.G.. Correttamente, infatti, la Corte territoriale ha ritenuto tale delega non idonea a esonerare il titolare della posizione di garanzia, in conformità al principio costantemente affermato dalla giurisprudenza di legittimità, in forza del quale il principio del cumulo delle responsabilità in capo ai rappresentanti della componente datoriale non trova applicazione solo nel caso di esistenza di una delega della posizione di garanzia esplicita conferita per iscritto o in una delega implicita, quest'ultima ravvisabile nell'incarico conferito, esclusivamente nel caso di ripartizione di funzioni imposta dalla complessità dell'organizzazione aziendale, dipendente dalle dimensioni dell'impresa, nella specie neppure allegata (Sez. 4, Sentenza n. 16465 del 29/02/2008 Rv. 239537).”
 
Per quanto attiene infine all’ obbligo del preposto di “sovrintendere” e di “garantire l’attuazione delle direttive ricevute” anche con riferimento ai rischi interferenti, risulta utile citare un’altra sentenza di quest’anno ( Cassazione Penale, Sez. IV, 29 aprile 2015, n. 18085) con cui la Suprema Corte ha condannato due preposti, il primo quale capo squadra dei prestatori di lavoro dell’appaltatrice operante all'interno dello stabilimento della s.p.a. committente ed il secondo quale preposto responsabile della manutenzione e dell'appalto per conto della committente stessa.
I due preposti sono stati condannati per colpa generica consistita in imprudenza, negligenza e imperizia, nonché per inosservanza di specifiche disposizioni per la prevenzione degli infortuni sul lavoro perché “omettendo di coordinare - mediante lo scambio di reciproche informazioni - gli interventi di protezione e prevenzione atti a scongiurare i rischi dovuti alle interferenze tra i lavori delle diverse imprese coinvolte nell'esecuzione all'interno del suddetto stabilimento dell'opera complessiva”, così consentendo entrambi che la realizzazione dei lavori oggetto dell'appalto fosse eseguita in assenza di un'effettiva concertazione sulle modalità operative da seguire, e non esercitando entrambi un'adeguata sorveglianza e vigilanza sull'esecuzione dei lavori stessi, avevano cooperato a cagionare lesioni colpose gravi a M.R.”, lavoratore dipendente della appaltatrice.
 
Nel rigettare i motivi di ricorso dei due preposti, la Cassazione sottolinea - e questo è stato l’aspetto decisivo sul piano delle responsabilità - che “il mancato coordinamento fosse addebitabile ad entrambi gli imputati per avere, ciascuno nell'ambito dei propri compiti e competenze, impartito contemporaneamente ai rispettivi operai ordini tra loro incompatibili, tanto desumendo dalla struttura dell'impianto al quale i due operai erano addetti, visibile dai rilievi fotografici in atti, che non consentiva agli stessi di vedersi reciprocamente mentre eseguivano gli ordini loro impartiti.”
 
 
Anna Guardavilla
Dottore in Giurisprudenza specializzata nelle tematiche normative e giurisprudenziali relative alla salute e sicurezza sul lavoro
 
 
 
 
 
 

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