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"Materiali di riporto: attribuzione del Codice CER"
fonte www.puntosicuro.it / RIFIUTI
01/03/2016 -
Nel presente lavoro si
vuole affrontare un tema molto delicato e particolare che non viene affrontato
adeguatamente nella normativa vigente (e di prossima pubblicazione!):
l’attribuzione del più idoneo Codice CER ai materiali di riporto che, per
qualunque motivo, devono essere allontanati da un cantiere per lo smaltimento
od il recupero in impianti autorizzati off-site.
Si rimanda a quanto già
scritto dallo stesso autore sulla normativa sui materiali di riporto e sulla
loro definizione, che tuttavia è meglio riportare sinteticamente per chiarire
opportunamente le considerazioni che seguiranno.
Va premesso che il 16
febbraio scorso è stato depositato il parere del Consiglio di Stato sullo
“Schema di decreto del Presidente della Repubblica concernente la “disciplina
semplificata della gestione delle terre e rocce da scavo, ai sensi
dell’articolo 8 del decreto legge 12 settembre 2014, n. 133, convertito, con
modificazioni, dalla legge 11 novembre 2014, n. 164”, che, seppure con
richiesta di qualche modifica, ha approvato lo schema di Decreto che va
ulteriormente a modificare la definizione di “matrice materiale di riporto”.
La nuova definizione non cambia sostanzialmente la
precedente del DM 161/12
che aveva introdotto una definizione di “riporto” molto dettagliata:
“I riporti di cui all’articolo 1
del presente Regolamento si configurano come orizzonti stratigrafici costituiti
da materiali di origine antropica, ossia derivanti da attività quali attività
di scavo, di demolizione edilizia, etc., che si possono presentare variamente
frammisti al suolo e al sottosuolo.
In particolare, i riporti sono
per lo più una miscela eterogenea di terreno naturale e di materiali di origine
antropica, anche di derivazione edilizio-urbanistica pregressa che, utilizzati
nel corso dei secoli per successivi riempimenti e livellamenti del terreno, si
sono stratificati e sedimentati nel suolo fino a profondità variabili e che,
compattandosi con il terreno naturale, si sono assestati determinando un nuovo
orizzonte stratigrafico. I materiali da riporto sono stati impiegati per
attività quali rimodellamento morfologico, recupero ambientale, formazione di
rilevati e sottofondi stradali, realizzazione di massicciate ferroviarie e
aeroportuali, riempimenti e colmate, nonché formazione di terrapieni.
Ai fini del presente
regolamento, i materiali di origine antropica che si possono riscontrare nei
riporti, qualora frammisti al terreno naturale nella quantità massima del 20%,
sono indicativamente identificabili con le seguenti tipologie di materiali:
materiali litoidi, pietrisco tolto d’opera, calcestruzzi, laterizi, prodotti
ceramici, intonaci.”
In
particolare ha mantenuto la quantità massima (20% in peso) dei materiali di
origine antropica che possono essere presenti nei materiali di riporto.
Il
nuovo schema di decreto contiene in allegato 9 la procedura per la
quantificazione dei materiali di origine antropica, che resta comunque un
momento fondamentale per valutare la conformità del materiale di riporto che, a
parere dello scrivente, resta difficilmente stimabile in modo oggettivo.
Non
si vuole tuttavia affrontare ora questo tema, ma quello apparentemente più
semplice dell’attribuzione del Codice CER di un materiale di riporto.
Per
meglio comprendere il problema si ritiene utile osservare qualche foto scattata
in campo nel Comune di Milano, ricco di materiali di riporto.
La
domanda che ci si pone è la seguente: quale sia il criterio da seguire
nell’attribuire il codice CER più opportuno al materiale scavato.
Le
domande che istintivamente si pongono al produttore del rifiuto possono essere
le seguenti:
1)
il Codice CER ha attinenza con la quantità massima (20% in peso) dei
materiali di origine antropica che possono essere presenti nei materiali di
riporto?
2)
Si può applicare un criterio di “codice prevalente”, cioè l’attribuzione
a un miscuglio di rifiuti
caratterizzabili singolarmente con codici CER diversi, del codice del rifiuto
presente in percentuale maggiore?
3)
Se mi trovo su un suolo pubblico i rifiuti abbandonati (a prevalente
matrice inerte), devono essere classificati come rifiuti urbani?
Nel caso della foto 1 si è
incontrato un orizzonte stratigrafico di mattoni pieni.
Si tratta di uno scavo su
suolo privato quindi il Codice CER più appropriato è il 170102 (Mattoni).
L’unico dubbio
nell’attribuzione potrebbe derivare dalla presenza inevitabile di un po’ di
terra mescolata ai mattoni in fase di scavo, ma trattandosi di una minima
quantità è ragionevole ignorarla.
Nel caso della foto 2 si
ha un cumulo di materiale da demolizione misto composto da terra, laterizi,
mattoni pieni, mattonelle, ceramiche, etc.
Qui l’attribuzione del
corretto Codice CER è molto più dubbia.
Innanzitutto,
indipendentemente dalla sua composizione merceologica, se il cumulo di rifiuti è
ritrovato su suolo pubblico, il codice da attribuire è della famiglia 20.
Nel caso specifico
potrebbe essere un 200202 (terra e roccia) o, meglio un 200399 (rifiuti urbani
non specificati altrimenti).
Se invece il cumulo è il
risultato di un’attività di scavo su suolo privato, il codice CER potrebbe
essere il 170904 (rifiuti misti dall’attività di costruzione e demolizione,
diversi da quelli di cui alle voci 170901, 170902 e 170903) che, essendo molto
generico, ben si adatta a molte situazioni. Tuttavia la scelta di un codice a
specchio, impone in fase di caratterizzazione di sottoporre un campione
rappresentativo (argomento insidiosissimo!) ad analisi chimiche per dimostrare
la non pericolosità del rifiuto.
L’attribuzione del codice
170504, nonostante l’abbondante presenza di terra, non sembra corretta perché
la presenza di materiale antropico è superiore al 20% in peso e di conseguenza
non si tratta di una matrice materiale di riporto, ma di rifiuti
interrati.
Meglio è allora utilizzare
il codice 170100 (Cemento, mattoni, mattonelle e ceramiche), anche se non è
ricompresa la terra, che tuttavia non deve essere in quantità troppo elevate
(prevalenti?).
Il caso della Foto 3 è uno
tra i più difficili. Infatti la presenza di carta, cartone, stracci, plastiche,
piccoli manufatti, tubazioni e, ovviamente, terra, ne rendono praticamente
impossibile la caratterizzazione.
In un caso simile, sempre
escludendo il ritrovamento su suolo pubblico, è necessario ricorrere ad un
codice dei più generici (170504 o 170904), ma ciò comporterà non solo la
necessità di dimostrare la non pericolosità del rifiuto, ma anche la difficoltà
di trovare un impianto disposto ad accettare un rifiuto che contiene troppo
materiale di scarto.
In casi analoghi è
opportuno valutare l’ipotesi di effettuare un pretrattamento in campo (centrato
su vagliatura e cernita delle diverse componenti) per avere frazioni più
omogenee e più facilmente caratterizzabili.
Nella foto 4 il cumulo è
prevalentemente di terra, sono presenti mattoni pieni, ma anche materiali
terrosi, ma di colore ed odore sospetti di contaminazione.
Nel caso specifico si
potranno usare il codice 170504 o 170503 (se pericoloso), ma proprio la
determinazione della pericolosità del materiale da scavo potrà rappresentare
l’insidia maggiore: si potranno ottenere risultati assai diversi a seconda del
metodo di campionamento adottato.
In conclusione si sono
voluti presentare alcuni casi emblematici in cui il produttore di materiali da
scavo deve necessariamente effettuare scelte soggettive in fase di
smaltimento/recupero del rifiuto.
L’applicazione del buon
senso e di standard per il confezionamento di un campione rappresentativo da
sottoporre ad analisi chimiche di caratterizzazione in genere premia sempre, ma
è indubbio che in caso di contestazioni da parte degli organi di controllo non
si hanno certezze nell’attribuire un codice CER ad un ammasso merceologicamente
eterogeneo.
Giorgio Bressi
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