" Sicurezza e Covid-19 negli studi professionali: l’enorme peso delle norme"
fonte teknoring.com / Salute
Nel bellissimo film prodotto dal registra Andrei Konchalovsky, Jean Vigo Italia insieme a Rai Cinema, sull’artista Michelangelo Buonarroti, si presenta un’angolazione inedita da cui osservare per la prima volta il mondo del Rinascimento. Il regista ci porta nelle cave di marmo sulle Apuane, dove il Maestro si confonde con gli operai, e ai quali lancia la sfida di estrarre per lui, solo per lui… l’Enorme, il pezzo di marmo più grande e bianco in assoluto, per la costruzione di una statua gigantesca.
La narrazione vede la sfida accettata ma, per chi si intende di marmi e di cave, sa che dopo il lavoro estenuante per dividerlo dalle vette di madre natura, rimane il problema di come portarlo a valle dato il suo peso e le sue smisurate dimensioni.
Ecco il perchè di questa premessa che ci porta a valutare in questi giorni l’enorme peso di queste norme che continuano a sballottarci da una parte e dall’altra; con il risultato di non consideraci come parte funzionale di un Paese. E sottrarci la possibilità di accedere ai fondi per i professionisti/non ordinistici e le PMI fa una… enorme differenza.
Per non annoiarvi con diciture e riferimenti legislativi, che vi rimettiamo alla fine dell’articolo, diciamo che I liberi professionisti sono equiparati alle PMI come esercenti attività economica, a prescindere dalla forma giuridica rivestita. E che sono individuati espressamente come destinatari, a tutti gli effetti, dei fondi europei stanziati, sia diretti dalla UE che erogati tramite Stati e regioni, dal titolo I dell’allegato alla raccomandazione 2013/361/Ce della Commissione, del 6 maggio 2013, e dall’articolo 2, punto 28), del regolamento (Ue) n. 1303/2013 del Parlamento Europeo e del Consiglio Europeo , del 17 dicembre 2013… dico 2013 … sette lustri fa !!!
Ma come sempre in Italia sono i particolari che fanno la differenza, e con il Decreto Rilancio da una parte si mette un cerotto alla condizione di libero professionista iscritto al mondo ordini stico, mentre dall’altra si creano differenze difficili da sanare se non ribaltando il decreto appena licenziato.
Ma andiamo con ordine, cercando di creare una base di discussione su
quanto siamo obbligati a rispettare per ottemperare alle nuove norme
sanitarie per
riaprire gli studi in sicurezza, e di cercare di rovesciare le avversità della non riconoscibilità di questi costi
Asso Lombardia e
Confrpfessioni Lombardia
ha condotto un’indagine mirata a stimare l’ulteriore fardello economico
che il covid rappresenterà sulle già cariche spalle dei liberi
professionisti.
Per farlo ci siamo avvalsi di fonti consolidate e istituzionali come
l’Istat, oltre che delle testimonianze e delle stime di studi ed enti
radicati nei territori. Altresì ci siamo rivolti ad altri studi di
settore per capirne la loro tipologia di grandezza.
L’Italia ha più di 7500 Comuni con Uffici Tecnici sparpagliati almeno in ogni Comune, e le dimensioni nelle Zone Metropolitane spingono all’inverosimile questa massa di dati, all’interno della quale convivono realtà molto diverse e variegate, dallo studio one-man-band, cioè lo studio in cui la figura del titolare è anche l’unica attiva, come lo studio associato di grandi dimensioni, con organizzazioni gerarchiche ben definite e, rivolti al lavoro internazionale.
Come si vede risulta difficile analizzare la molteplice diversità
delle forme in cui si presentano gli studi e, cosi abbiamo scelto la
formula della operatività sul singolo o più professionista.
Ma andiamo con ordine; ecco le fasi distinte di quanto dobbiamo
osservare secondo alcune direttive Inail, ma non ancora definite nella
sua specificità.
1. Informazione
Innanzitutto, per prevenire efficacemente occorre informare.
Pertanto, è fatto obbligo al datore di lavoro (nel caso delle attività
professionali, il titolare dello studio) di fornire un’informativa.
Si suggerisce di fornire la suddetta informativa per iscritto al lavoratore e fargli firmare la ricevuta per accettazione.
In generale, si suggerisce di affiggere l’informativa nei locali del
luogo di lavoro, sia a vantaggio dei lavoratori che dei clienti e
chiunque entri in azienda.
Le informazioni riguardano:
- l’obbligo di rimanere presso il proprio domicilio in caso di febbre pari o superiore a 37,5 gradi ovvero in presenza di sintomi influenzali; l’obbligo di contattare il medico di famiglia e l’autorità sanitaria competente per Regione (solitamente il SISP, ossia il Servizio di Igiene e Sanità Pubblica);
- la circostanza che il lavoratore non possa accedere e/o permanere presso l’azienda qualora, anche successivamente all’entrata, manifesti i sintomi di cui al punto precedente; l’obbligo del lavoratore di comunicare tempestivamente la propria condizione e di informare il medico di famiglia;
- l’impegno a rispettare le disposizioni di legge e le prescrizioni del datore di lavoro in merito all’accesso al luogo di lavoro come, a titolo esemplificativo, mantenere le distanze di sicurezza, lavarsi le mani, usare la mascherina e i guanti monouso, rispettare la turnazione nelle aree comuni e via discorrendo.
2. Modalità di ingresso sul luogo di lavoro
Il protocollo prevede la facoltà, per il datore di lavoro, di rilevare la temperatura corporea dei dipendenti:
- prima dell’accesso al luogo di lavoro,
- nel rispetto della privacy dei lavoratori.
Qualora venga rilevata una temperatura superiore ai 37.5 gradi, i soggetti coinvolti:
- non potranno accedere al luogo di lavoro,
- saranno temporaneamente isolati,
- non dovranno recarsi al Pronto Soccorso,
- dovranno contattare il medico di base.
In relazione a soggetti già risultati positivi al Covid-19, l’accesso al luogo di lavoro, deve essere preceduto da:
- una preventiva comunicazione del lavoratore all’azienda, contenente la certificazione medica da cui risulti la “avvenuta negativizzazione” del tampone.
3. Modalità di accesso di clienti, fornitori e visitatori esterni
Le informative di cui al primo punto devono essere affisse nei locali
di lavoro al fine di informare i clienti e i soggetti che accedono
all’ufficio, come a titolo di esempio: gli addetti alle pulizie o i
manutentori.
Al fine di garantire la sicurezza e tutelare la salute, sia dei clienti
che del personale dipendente, sul luogo di lavoro, è necessario:
- ricevere su appuntamento (e, quindi, rifiutare i clienti che si presentino in modo estemporaneo),
- richiedere ai clienti l’uso di mascherine chirurgiche e guanti monouso,
- (eventualmente) attrezzare le sale d’attesa con divisori mobili, per limitare il contatto tra le persone.
Per quanto riguarda i fornitori, occorre evitare il più possibile le occasioni di interazione con il personale dipendente o coadiutore ed a tal fine, è preferibile:
- Concordare preventivamente gli orari di incontro,
- limitare l’accesso dei corrieri all’ufficio (ad esempio, invitandoli a lasciare le consegne sulla porta o in portineria, qualora presente).
In generale, il protocollo fa divieto al personale esterno (come fornitori e corrieri) di usare gli stessi servizi igienici impiegati dai dipendenti dell’azienda.
4. Pulizia e sanificazione dei locali
Deve essere garantita l’aereazione e la pulizia quotidiana, mediante detergenti a base di alcol, sia del luogo di lavoro che degli strumenti impiegati, in particolare, vanno pulite ogni giorno
- le postazioni di lavoro,
- le aree comuni,
- le tastiere, gli schermi, i mouse et similia.
Qualora in azienda si sia registrata la presenza di una persona con Covid-19, la sanificazione dei locali deve avvenire seguendo le disposizioni della circolare n. 5443 del 22 febbraio 2020 del Ministero della Salute (si veda circolare dello studio del 3 maggio).
5. Precauzioni igieniche personali
Come ormai noto, presso l’azienda devono essere disponibili, mediante
appositi erogatori, detergenti a base di alcol per la pulizia delle
mani, sia per i lavoratori che per gli esterni.
È altresì consigliato l’uso di guanti monouso, sopra i quali è comunque possibile usufruire dei detergenti.
6. Dispositivi di protezione individuali (DPI)
Il protocollo individua nella mascherina chirurgica lo strumento più importante per la prevenzione del contagio.
L’uso della mascherina è consigliato quando non sia possibile mantenere
la distanza di almeno un metro tra i lavoratori e non siano praticabili
altre soluzioni organizzative.
7. Gestione spazi comuni (distributori bevande, aree fumatori et cetera)
All’interno degli ambienti di lavoro, soprattutto di grandi dimensioni, vi sono aree comuni che in questo difficile frangente:
- devono essere sottoposte a ventilazione periodica,
- l’accesso deve essere contingentato,
- il tempo di sosta all’interno degli spazi va ridotto,
- deve essere mantenuta la distanza di sicurezza di almeno un metro.
Anche questi locali vanno sottoposti ad una pulizia quotidiana, così come gli eventuali distributori automatici di bevande, fotocopiatrici, tastiere e monitor, ove presenti (vedasi punto 4).
8. Organizzazione del lavoro
Il lavoro deve essere strutturato in modo tale da garantire il distanziamento sociale, ad esempio:
- sfruttando spazi inutilizzati, come la sala riunioni (se presente),
- definendo orari differenziati,
- prevenendo assembramenti all’entrata e uscita dal luogo di lavoro.
Inoltre, si consiglia di raggiungere il posto di lavoro impiegando mezzi privati, in luogo del trasporto pubblico.
9. Gestione entrata e uscita dei dipendenti/collaboratori
Come indicato al punto precedente, occorre modulare gli orari per consentire accessi scaglionati al luogo di lavoro; inoltre, se possibile, va individuata una porta di ingresso ed una di uscita.
10. Spostamenti interni, riunioni, eventi interni e formazione
Nell’ottica di favorire il distanziamento sociale e di evitare
aggregazioni, è preferibile svolgere riunioni con collegamenti da remoto
e non di persona.
Se la “riunione fisica” è inevitabile, occorre:
- mantenere la distanza di almeno un metro tra i partecipanti,
- garantire un’adeguata areazione,
- usare i DPI (mascherine e guanti monouso).
11. Gestione di una persona sintomatica in studio
Cosa fare nel caso in cui una persona presenti febbre e sintomi COVID-19?
Secondo il protocollo:
- il soggetto ha l’obbligo di dichiararlo immediatamente,
- deve essere messo in isolamento in base alle disposizioni dell’Autorità sanitaria,
- il datore di lavoro (nel caso in cui si tratti di un dipendente) avverte immediatamente le autorità sanitarie ed i numeri di emergenza per il COVID-19 forniti dalla Regione o dal Ministero della Salute,
- il datore di lavoro collabora con le Autorità sanitarie per ricostruire gli eventuali “contatti stretti” di una persona presente sul lavoro a cui sia stata riscontrata la positività al tampone COVID-19;
- durante tale “ricostruzione”, il datore di lavoro potrà chiedere agli eventuali possibili contattati stretti, di lasciare cautelativamente l’attività.
Il lavoratore al momento dell’isolamento, deve essere subito fornito, ove già non lo fosse, di mascherina chirurgica.
12. Sorveglianza sanitaria, medico competente
Nella fase di riapertura, occorre coinvolgere il medico competente,
se nominato, per verificare la sussistenza di eventuali situazioni di
rischio.
Infatti, il medico deve segnalare al datore di lavoro le condizioni di
particolare fragilità del lavoratore e suggerire l’adozione di eventuali
mezzi diagnostici ritenuti utili al fine del contenimento della
diffusione del virus e della salute dei lavoratori.
Nel caso di reinserimento di soggetti con pregressa infezione da Covid-19, occorre:
- la presentazione di certificazione di avvenuta negativizzazione del tampone secondo le modalità previste dalle singole Regioni (certificato di avvenuta negativizzazione emesso dal SISP, Servizio Igiene e Sanità Pubblica),
- la visita medica precedente alla ripresa del lavoro, in caso di assenza per motivi di salute di durata superiore ai sessanta giorni continuativi, al fine di verificare l’idoneità alla mansione o per valutare profili specifici di rischiosità indipendentemente dalla durata dell’assenza per malattia.
Se dalla lettura delle linee guida sopra riportate e del testo
dell’art. 29, co. 3, D.Lgs. 81/2008 non sembrerebbe esservi, in capo al
datore di lavoro, l’obbligo di rielaborare il Documento di Valutazione
dei Rischi, ricordo la funzione di informazione che deve necessariamente
essere fornita al lavoratore ogniqualvolta intervenga un rischio nuovo
rispetto a quelli originariamente previsti.
Ne consegue che il datore di lavoro dovrebbe essere indotto ad
aggiornare il documento in relazione al rischio Covid-19, per liberarsi
da ogni forma di responsabilità ed al fine di dimostrare di avere fatto
tutto il possibile per evitare il danno, ovvero di avere adottato ogni
cautela necessaria per impedire il verificarsi del danno medesimo.
I COSTI – Pertanto questi “piccoli” obblighi hanno un costo che ci siamo permessi di elaborare in una tabella (
senza IVA)
riferita al numero di addetti/collaboratori di uno studio, ripartiti in
costi fissi, costi periodici per 4 mesi, costo stimato complessivo,
a cui va aggiunto sempre l’iva del 22%.
Nella tabella troverete le spese una tantum, come la spesa per gli
armadietti personali per la separazione degli indumenti puliti/sporchi
che sono quelli che tenete per fare le ispezioni nei luoghi di cantiere.
I famosi dispenser delle soluzione idroalcoliche, che troviamo
all’entrata e nei servizi igienici, la fornitura delle barriere in
plexiglas/vetro tra gli operatori in ufficio ed i clienti.
(Inserire Tabella con dida: Nella tabella i dati dell’indagine condotta da Asso Ingegneri e Architetti e Confprofessioni Lombardia)
Nelle spese periodiche, troverete tutte quelle operazioni che diventano routine, come la sanificazione dei locali e la sanificazione degli impianti di aria condizionata, le mascherine e gli indumenti per gli accesi ai cantieri con gli occhiali protettivi.
Cosa se ne deduce? Che per un professionista avremo un carico totale di 2.710,50 euro iva compresa per 4 mesi. Cifra che aumenta a 5568,45 per 2 addetti (professionista più un aiutante), per arrivare a 7.876,87 euro per 3 addetti e raggiungere i 10.295,07 euro per 4 addetti (professionista più 3 aiutanti).
Che dire? che il Cov19 risulta un costo per gli studi professionali, come per tutte le attività, a cui non ci possiamo sottrarre, ma anche che è un peso non indifferente da affrontare, e come al solito noi professionisti siamo lasciati fuori dai bandi per recuperare questi costi.
L’analisi appena riportata, parte dalla Lombardia ma è parametrata
sul territorio nazionale, e ha l’obiettivo di far uscire dalla
situazione “
carsica” costi che siamo obbligati a mettere in
conto se vogliamo continuare a professare. E costringe ad uscire dai
luoghi comuni di una mentalità, divenuta stereotipa, dove le
considerazioni sul libero professionista nei passaggi delle pubbliche
amministrazioni sono che il lavoro intellettuale diventa sempre più un
lavoro gratuito. Siamo convinti che saper individuare e riconoscere tali
costi, possa esserci molto utile nel confronto con le istituzioni,
dandoci l’opportunità di indicare al legislatore dei binari su cui poter
discutere.
Sta tutta qui la differenza: nessuno, dalle industrie, alle PA si
permetterebbe di non pagare un bene immateriale come, ad esempio, una
fornitura di energia elettrica. Al contrario, se vogliamo estremizzare, è
divenuto quasi un leitmotiv non pagare le prestazioni professionali che
partono anche esse da un bene immateriale: l’ingegno del professionista
e che sono sempre state riconosciute, nel bene e nel male.
Mentre oggi nel tritatutto delle considerazioni sociali, il professionista non viene neppure considerato come attore economico.
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