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"Ministero del lavoro: "Un errore mettere in mora l'Italia""
fonte Inail / Normativa
24/10/2011 - Mentre è in corso di preparazione la replica ai sei
punti contestati al Testo unico in base ai quali la Commissione europea ha
messo il 30 settembre scorso in mora l'Italia e il governo, il ministero del
Lavoro - per voce di Lorenzo Fantini, responsabile della direzione generale
delle Relazioni industriali e dei rapporti di lavoro, Divisioni III e VI -
anticipa al portale dell'INAIL perché il dicastero considera un errore sostanziale
la procedura attivata da Bruxelles. Un atto - è la valutazione del dicastero -
che, da una parte, peccherebbe di una visione eccessivamente 'burocratica'
delle politiche di sicurezza e, dall'altra, di una visione troppo
semplicista dell'assetto giuridico italiano, tutt'altro che assolutorio nei
confronti delle responsabilità degli imprenditori sul fronte delle tutele alla
salute dei lavoratori.
Particolarmente
positivo, invece, il giudizio sulla fase di start-up del processo di
incorporazione nell'INAIL dell'ex Ispesl e dell'ex Ipsema: un progetto
complesso che darà vita a un soggetto di rilevanza strategica in materia di
prevenzione. Condivisione forte anche delle richieste dell'Istituto: dalla
semplificazione delle procedure per accelerare gli investimenti alla
definizione precisa delle competenze nella riabilitazione degli infortunati.
"Essenziale", sottolinea Fantini, "trovare insieme al ministero
il modo migliore per intervenire".
Avvocato
Fantini, la Commissione europea ha attivato nei confronti della Repubblica
Italiana e del governo una procedura di messa in mora su alcune parti del Testo
unico sulla sicurezza sul lavoro. Qual è la replica del ministero?
"Riteniamo
che si tratti di un insieme di censure fondato su un presupposto di fondo sbagliato:
ovvero il ritenere che le parti del dlgs
81/2008 eccepite - con particolare riferimento alle modifiche introdotte
dal correttivo 106/2009 - siano volte a deresponsabilizzare il datore di
lavoro. Quello che forse a Bruxelles non si valuta con la dovuta attenzione è
quanto l'assetto giuridico italiano sia complesso e, semmai, fortemente
stringente in senso contrario a quanto contestato. A partire dall'articolo 2087
del codice civile fino ai tanti passaggi normativi del sistema penale, infatti,
il nostro è un assetto che impone in maniera molto rigorosa agli imprenditori
di tutelare la salute e della sicurezza dei lavoratori. A parere del ministero,
quindi, la normativa italiana - inclusi i due decreti legislativi citati -
opera all'opposto rispetto a quanto obiettato dalla Commissione, considerando
il datore di lavoro sempre responsabile di tutto ciò che accade in azienda.
Questo è l'aspetto di fondo che cercheremo di spiegare all'Unione
europea".
I
punti contestati, però, non sono pochi: sei per l'esattezza...
"Si
tratta di censure di dettaglio che, a livello generale, si correlano a questa
impostazione generale erronea. Una, per esempio, riguarda lo stress
lavoro-correlato, la cui valutazione sarebbe stata prorogata - è la critica
- attraverso le indicazioni metodologiche della Commissione consultiva. In
questo caso si tratta di una censura superata dallo stesso passare del tempo:
nel senso che - se anche tale proroga fosse stata concessa - in ogni caso
sarebbe ormai scaduta. Potrebbe, in tal caso, esserci una sanzione, anche se
personalmente non ne vedo neanche gli estremi perché il documento indica un
percorso metodologico da seguire per chi vuole conseguire il livello minimo di
attuazione degli obblighi di legge. Queste considerazioni valgono per
contestazioni analoghe avanzate dalla Commissione in settori particolari come i
volontari della Protezione civile o le società cooperative: anche in tali casi
il decreto è stato già fatto. Un motivo che ci spinge a ritenere il problema
ormai superato".
Un
aspetto particolarmente delicato è quello relativo alla possibile violazione
dell'obbligo di valutazione dei rischi per la sicurezza per i datori di lavoro
che occupano fino a 10 lavoratori: una realtà che interesserebbe una platea
assai ampia di aziende italiane...
"Per
quanto riguarda la valutazione dei rischi, la Commissione fa leva su una
vecchia sentenza nei confronti della Germania, dove si sostiene che tale
documento è necessario e non può essere sostituito da un'altra dichiarazione,
come succede ancora in Italia. Ebbene, innanzi tutto va evidenziato come
l'autodichiarazione scomparirà nel 2012 e, quindi, un eventuale provvedimento
in tal senso avrebbe un arco temporale di rilevanza molto limitato. Altro
aspetto fondamentale: ciò che il datore di lavoro afferma con l' autodichiarazione
è semplicemente di avere svolto un'attività di prevenzione. E i nostri
ispettori, per l'appunto, - anche in quell'area dove la documentazione può
essere sostituita da un'autodichiarazione - vanno a verificare se quest'ultima
sia corrispondente a verità. Le sanzioni, in breve, sono fatte sulla base
dell'attività non svolta e non sul documento esibito e, a dimostrazione di
questo, ne invieremo numerosi esempi a Bruxelles comminati a soggetti che pure
avevano auto-dichiarato la valutazione del rischio. In definitiva - e voglio
dirlo con chiarezza - credo che questo tipo di visione della Commissione europea
sia fortemente burocratica perché, nel momento in cui si identifica la
sicurezza con un pezzo di carta che formalizza le misure di prevenzione, a mio
parere si dimostra di privilegiare un approccio più 'fiscale' che
operativo".
Quindi,
secondo il ministero, i rischi evidenziati da Bruxelles - a partire dalla
indiretta reintroduzione della "salva-manager" - non ci sono?
"Mi
pare che le sentenze successive alla modifica del Testo unico tramite il
decreto 106/2009 vadano esattamente in senso contrario, allargando addirittura
la responsabilità del datore di lavoro. Probabilmente non sarà facile spiegarlo
all'Ue - che parte da una visione del nostro sistema giuridico assai molto più
semplicistica di quanto esso sia, e questo pur a fronte di altri stati dove
esistono oggettivamente situazioni molto meno complesse della nostra - ma
speriamo che ci stiano a sentire".
Veniamo
adesso all'INAIL, impegnato - a seguito della legge 122/2010 - nel processo di
incorporazione dell'ex Ipsema e dell'ex Ispesl. Che valutazione dà del cammino
svolto fino a ora?
"Ritengo
in generale che la scelta di promuovere un unico
Polo della salute e sicurezza sia stata molto saggia e sottolineo come
particolarmente apprezzabile la scelta operata dai vertici di conferire una
reale autonomia a un settore importante come quello della ricerca. In questa
prima fase di realizzazione stiamo assistendo, dunque, all'attuazione di un
progetto complesso, ma necessario, dal momento che la diversificazione delle
competenze tra INAIL, Ipsema e Ispesl non aveva per molti aspetti un'autentica
ragione di essere.
Esistono
delle criticità, a suo giudizio, da evidenziare?
"Non
sostanziali. Ricordiamo che il traguardo finale da raggiungere non è facile, e
questo anche per ragioni strettamente giuridiche, non essendo i regimi
dei soggetti interessati del tutto coincidenti. So che esiste anche una certa
'tensione' sul fronte della tempistica, ma credo che sia una preoccupazione
ingiustificata, non solo perché si tratta di un percorso articolato che
naturalmente non può interessare un arco temporale breve, ma soprattutto perché
l'obiettivo di fondo è garantito da un'integrazione reale ed efficace tra le
diverse attività coinvolte. A parere del ministero l'integrazione sta
procedendo bene e l'eventualità di possibili 'disagi' resta comunque secondaria
in vista della realizzazione di un Ente unico - con un unico indirizzo politico
in materia di prevenzione - e, dunque, più capace di tutelare la salute e la
sicurezza dei lavoratori".
Proprio
in virtù di questo riconoscimento non trova contraddittorio il permanere -
rimarcato ormai in numerose occasioni da tutti i vertici dell'INAIL - di un
apparato normativo spesso farraginoso e che rischia di limitare l'operatività
dell'Istituto?
"Partiamo
da un presupposto di fondo: introdurre elementi di cambiamento in attività
complesse come quelle che interessano anche l'INAIL e che sono legate alla
lotta agli infortuni, alla prevenzione e alla sanità richiede necessariamente
del tempo. E' chiaro che tutti vorremmo risultati immediati, ma in certi
contesti l'attesa è inevitabile. Questo, ci tengo a sottolinearlo, lo dico in
riferimento a tutto il Testo unico, che ha circa 30 provvedimenti
di attuazione: alcuni già emanati, altri in fase di preparazione. Sono
interventi che richiedono numerosi passaggi istituzionali e un confronto
stretto con le parti sociali e che, pertanto, non si possono esaurire nello
stretto giro di qualche mese".
Entrando
nel dettaglio: in materia di sanità la definizione delle competenze tra i vari
soggetti che agiscono nel territorio -
rimarca il presidente del Civ INAIL
Lotito -
è legata all'ancora mancante definizione dell'accordo quadro
della Conferenza Stato/Regioni...
"Credo sia opportuno fare uno sforzo di realismo e capire che alcuni tempi lunghi sono 'obbligatori'. Però credo anche che il processo di INAIL relativo alla definizione di un nuovo concetto di riabilitazione del soggetto infortunato - che abbiamo voluto esplicitare in modo preciso nel decreto legislativo 106 - è una finalità che l'Istituto stia già perseguendo. Spesso le previsioni ottimistiche delle norme di legge non possono essere rigidamente rispettate, ma questo per la semplice ragione che i passaggi istituzionali da adempiere sono tanti, soprattutto in un paese dalla forte rappresentanza sindacale come il nostro. Questo, naturalmente, non significa che non si debba richiamare, quando è il caso - come spesso fanno i politici - le amministrazioni a una maggiore celerità".
"Credo sia opportuno fare uno sforzo di realismo e capire che alcuni tempi lunghi sono 'obbligatori'. Però credo anche che il processo di INAIL relativo alla definizione di un nuovo concetto di riabilitazione del soggetto infortunato - che abbiamo voluto esplicitare in modo preciso nel decreto legislativo 106 - è una finalità che l'Istituto stia già perseguendo. Spesso le previsioni ottimistiche delle norme di legge non possono essere rigidamente rispettate, ma questo per la semplice ragione che i passaggi istituzionali da adempiere sono tanti, soprattutto in un paese dalla forte rappresentanza sindacale come il nostro. Questo, naturalmente, non significa che non si debba richiamare, quando è il caso - come spesso fanno i politici - le amministrazioni a una maggiore celerità".
Altro
fronte "caldo" per l'Istituto: la possibilità di disporre in modo
autentico dei due miliardi di risorse stanziate dalla determina 98 del 13
ottobre 2010 del presidente Sartori e destinate, per metà, agli investimenti di
ricostruzione in Abruzzo...
"In
tal caso posso dare una risposta solo a titolo personale perché la struttura
che si interfaccia con l'INAIL in tale ambito non è quella in cui lavoro.
Ritengo senza dubbio che una semplificazione delle procedure decisionali e di
impegno di spesa sia necessaria, e anzi rappresenti una delle priorità da
realizzare per consentire all'Istituto di utilizzare con rapidità le proprie
risorse. Un intervento del genere - lo ricordo - è stato già fatto per alcuni
investimenti in materia di salute e sicurezza, riuscendo a rendere le procedure
più celeri: un esempio è rappresentato dai 60 milioni di stanziamenti
relativi al primo "Click day" e - a nome del ministero del
Lavoro - non posso che essere molto contento che altri 180 milioni vengano
messi a disposizione nel prossimo bando. A mio parere si tratta di un bel
segnale".
Quindi
intervenire si può?
"A
mio parere, mi sembra che in questa direzione ci stiamo già muovendo. Però
bisogna anche essere chiari. La 'semplificazione' - ma qui non faccio
assolutamente riferimento alle richieste avanzate dai vertici dell'Istituto -
non può andare a scapito delle regole che un soggetto pubblico deve comunque
rispettare. Sollecitare il ministero del Lavoro a snellire la burocrazia è
opportuno, e di certo rappresenta una richiesta che trova nel dicastero un
interlocutore disponibile, ma questo non potrà mai tradursi in una
'deregolamentazione' di procedure che, per essere attuata, dovrebbe andare necessariamente
a favore di tutto il settore pubblico, e non di un solo soggetto. Ciò non
toglie che, nel caso dell'INAIL, possiamo impegnarci - come stiamo facendo -
per rendere più agevoli alcuni passaggi e più rapidi i collegamenti tra
noi e l'Istituto. Ma, per quanto più snelli, i processi amministrativi alla
fine rimangono tali. Per essere ancora più chiaro, attraverso un esempio: il
ministero può essere d'accordo su un dato investimento, ma non potrebbe
comunque mai saltare il passaggio della Corte dei Conti".
Lo
stesso discorso vale per la legge Brunetta in relazione ai tagli del personale
dell'Istituto, secondo il presidente Sartori e il direttore generale Lucibello
ormai alla soglia limite?
"Certo,
perché anche la riforma Brunetta coinvolge tutto il sistema pubblico. Mi rendo
conto che il momento storico ed economico non è semplice, ma credo che in
generale - almeno per quanto riguarda il Ministero del Lavoro - sia possibile
trovare spazio per potere favorire l'attività alla quale è chiamato l'INAIL per
rendere alcuni passaggi più rapidi. Anche perché, alla fine, operiamo per uno
stesso obiettivo comune: arrivare a sostenere quanto più possibile l'attività
di prevenzione, attività che è sinonimo di più salute e sicurezza a favore dei
lavoratori. Le richieste dell'INAIL sono condivise: quello che è essenziale è
trovare insieme il modo migliore per intervenire".
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