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"Salute e sicurezza delle donne nel mondo del lavoro"
fonte puntosicuro.it / Sicurezza sul lavoro
06/12/2011 - In Europa aumenta la presenza delle
donne nel mondo lavoro (l’occupazione è cresciuta del 10,8%
rispetto a quella maschile del 3,9% - fonte Eurostat anno 2009) e
proporzionalmente anche il numero degli infortuni professionali delle
lavoratrici europee.
In
Italia i dati Inail mostrano che, sebbene tra il 2007 ed il 2009 gli infortuni
sul lavoro denunciati all’Inail siano diminuiti del 13,4%, di questa
percentuale solo il 2,7% riguarda il calo degli infortuni subiti dalle donne.
Non
solo, ma un sondaggio svolto nel 2009 da parte dell’Agenzia europea per la
salute e sicurezza sul lavoro (EU-OSHA) rileva come in Italia gli uomini siano
maggiormente informati sui rischi per la salute e sicurezza sul lavoro rispetto
alle donne.
Insomma
c’è sufficiente materiale per riprendere ad affrontare il tema della tutela della salute e della sicurezza
tra le lavoratrici.
Di
questi argomenti parla Daniela Cervellera (Scuola di dottorato in “Formazione
della persona e diritto del mercato del lavoro”, Università degli Studi di
Bergamo, ADAPT – CQIA) sul bollettino ordinario del 3 ottobre 2011 n.32 di ADAPT– pubblicazione redatta in
collaborazione con il Centro Studi Internazionali e Comparati
Marco Biagi.
Nel
contributo dal titolo “
Literature review – Salute e sicurezza nella dimensione
di genere”,
Cervellera ricorda che il considerevole aumento negli ultimi 25 anni del
contributo della forza lavoro delle donne nei paesi dell’Ue, in aderenza agli
obiettivi prefissati dal Consiglio Europeo di Lisbona del 23 e 24 marzo 2000,
ha spostato l’attenzione del legislatore europeo dal mero ambito attuativo
delle misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute
dei lavoratori durante il lavoro “verso quello promozionale dell’
uguaglianza di genere in ogni settore ed a
tutti i livelli, superando il c.d. approccio neutrale in tema di
prevenzione rispetto al genere”.
In
particolare riguardo all’Italia è con il Decreto legislativo
81/2008
che “il legislatore italiano, seguendo le indicazioni dell’Ue, interpreta la
parità di trattamento
garantendo
l’uniformità della tutela delle lavoratrici e dei lavoratori sul territorio
nazionale attraverso il rispetto dei livelli essenziali delle prestazioni
concernenti i diritti civili e sociali, anche con riguardo alle differenze di
genere, di età e alla condizione delle lavoratrici e dei lavoratori immigrati
(art. 1).
Nel
contributo – che vi invitiamo a leggere integralmente anche in merito ai
numerosi riferimenti a studi e ricerche per molte delle affermazioni contenute
– si indica che “le condizioni di lavoro a cui sono sottoposte le donne,
occupate prevalentemente in lavori precari
e meno retribuiti, comporta una maggiore loro esposizione al rischio sulla
sicurezza ed, in particolare, sulla loro salute, come ha avuto modo di rilevare
la medicina del lavoro riscontrando le esperienze di lavoro precario (c.d. job
insecurity) che, inducendo un forte stress nel lavoratore, se prolungato per
lungo tempo, comporterebbe l’insorgere di gravi patologie, quali infarto e
tumori”.
A
tutto questo si aggiunge “anche l’
ineguaglianza
tra i sessi dentro e fuori dall’ambiente lavorativo, come è stato
dimostrato da alcune ricerche effettuate presso il Centro Cimbiose
dell’Università del Quebec, da cui è emerso che, nello stesso posto di lavoro,
vengono spesso differenziate le mansioni degli uomini da quelle delle donne che ricoprono la
stessa funzione con il conferimento agli uomini di cariche di maggior
prestigio”.
A
fronte degli obiettivi dell’Unione europea, tesi alla promozione
dell’uguaglianza di genere anche in tema di salute e sicurezza sul lavoro, si
sottolinea uno studio per il 2002 da parte dell’Agenzia europea per la salute e
la sicurezza sul lavoro “con lo scopo di fornire un quadro delle differenze di genere sul lavoro idoneo
ad individuare i modi in cui le stesse sorgono ed in cui possano essere
prevenute”. Studio che parte dalla considerazione che “la
segregazione di genere delle mansioni costituisce un fattore
decisamente rilevante nell’esposizione ai rischi lavorativi caratterizzati da
una maggiore incidenza degli infortuni per gli uomini e nella manifestazione di stress e di disturbi agli arti superiori correlati a lavori
altamente ripetitivi come, ad esempio, le catene di montaggio ‘leggere’ e il
data entry per le donne”.
Alcune
riflessioni proposte dall’autrice in
relazione ai risultati di vari studi e ricerche:
-
in ambito lavorativo la “
segregazione
sussiste sia a livello orizzontale - evidenziando le statistiche una maggiore
concentrazione delle donne in determinati settori come quello tessile ed alimentare
del campo manifatturiero - che verticale, in cui gli uomini ricoprono posizioni
più elevate in scala gerarchica”;
-
se “negli uomini è più comune l’
insorgenza
di tumori correlati al lavoro, alle donne occupate nei servizi alimentari e
nelle industrie manifatturiere, è riferibile il tasso maggiore di incidenza
della malattia”;
-
“disturbi all’
apparato respiratorio,
quali asma e allergie, si
manifestano maggiormente nelle donne a causa del contatto con polveri nei
settori tessile e dell’abbigliamento e con agenti pulenti, agenti sterilizzanti
e guanti protettivi, contenenti polvere di lattice, utilizzati nel settore sanitario”;
-
le donne “sono più esposte alle
malattie
della pelle conseguenti allo svolgimento di mansioni svolte con le mani
bagnate in settori lavorativi come il catering, o a causa del contatto della
pelle con agenti chimici utilizzati dai parrucchieri”;
-
“nel settore sanitario come in quello didattico le donne sono più esposte alle
malattie infettive e, seppur gli uomini
risultano essere maggiormente occupati nel sollevamento di carichi pesanti, i
disturbi collegati al sollevamento e al
trasporto degli stessi sono comuni anche alle donne dedite alle pulizie ed alle
cure sanitarie in quanto la norma ISO 11228-1, nel prevedere il peso limite di
25 Kg., riduce il rischio per il 95% della popolazione maschile, ma solo per il
75% per le lavoratrici”;
-
“non altrimenti trascurabili sono i
rischi
di
stress correlato al lavoro relativamente ai
quali le donne sembrerebbero maggiormente esposte a causa dello svolgimento di
mansioni di basso livello e delle molestie sessuali che subiscono in
ragione del maggior contatto con il pubblico”;
-
inoltre “altrettanto incidente nell’insorgenza dello stress lavorativo o del
burn-out è l’
elevato impegno lavorativo
sul piano emotivo legato alle attività di assistenza alla persona in
condizione di non autosufficienza in ambito domestico le cui criticità sono
individuabili nell’orario di lavoro ovvero nel rischio biologico e da
movimentazione dei carichi”;
-
“non minore attenzione deve essere dedicata ai
disturbi a carico del sistema riproduttivo femminile – avendo
alcuni studi evidenziato come solventi ed idrocarburi policiclici aromatici
danneggino il sistema endocrino
femminile
ed il feto - comprendendo quelli legati ai problemi mestruali e di menopausa
essendosi limitata l’attenzione del legislatore ai soli rischi lavorativi a cui
sono esposte le donne in gravidanza ed in allattamento”.
L’autrice
rileva poi come le problematiche legate all’
equilibrio lavoro-vita privata “non sempre siano inserite nelle
indagini riguardanti lo stress sul posto di
lavoro e come molti degli infortuni derivanti dalla violenza correlata al
lavoro non siano inclusi nelle statistiche nazionali”.
In
particolare “per effettuare una adeguata stima dei rischi correlati al lavoro a
carico delle donne sarebbe pertanto opportuno che l’attività di ricerca e
monitoraggio in tema di salute e sicurezza sul lavoro fosse integrata da una
serie di dati che tengano conto innanzitutto delle differenze
esistenti tra i sessi”.
Nel
documento si fa riferimento anche ad alcune lacune delle ricerche. C’è una
“sottostima dei
disturbi cardiaci di
natura coronarica delle donne correlati al lavoro”: la ricerca è
“concentrata essenzialmente sugli uomini in quanto le donne sviluppano tali
patologie più tardi rispetto all’altro sesso ed, in particolare, dopo l’età del
pensionamento”.
Sarebbe
inoltre opportuno “condurre un’attività di analisi sulla correlazione tra le
problematiche relative alla salute delle donne quali i disturbi mestruali e la
menopausa e l’attività lavorativa, nonché esaminare, ai fini di ricerca, le ore
lavorate dalle donne e dagli uomini in
relazione alle mansioni specifiche rispettivamente svolte ed alla esposizione
al rischio”.
Si
sottolinea poi che “il
superamento
dell’approccio c.d. neutrale rispetto al genere non tiene ancora in dovuto
conto il fatto che gli standard riguardanti la salute e la sicurezza sul lavoro
ed i limiti di esposizione alle sostanze pericolose si basano su test
di laboratorio, ovvero sono effettuati solo su popolazione maschile o,
altrimenti, attengono a settori lavoratori prettamente maschili, trascurando
del tutto settori di lavoro con predominanza femminile, come il lavoro domestico remunerato”.
Il
contributo si conclude ricordando che “in ossequio agli obiettivi prefissati
dall’Unione europea e, parallelamente alla evoluzione della normativa italiana,
l’Inail ha provveduto ad integrare le proprie banche dati statistiche degli
infortuni e delle malattie professionali dividendo per sesso i casi denunciati
e/o indennizzati, fino a creare, negli ultimi anni una
Banca dati al femminile nuova rispetto a quella istituita negli
anni ’90 su sollecitazione del Comitato per le pari opportunità ed indice di
buone prassi nel campo della pubblica amministrazione”.
Banca
dati che rappresenta sicuramente il “punto di partenza nell’integrazione della
dimensione legata al genere sia nella valutazione dei rischi che nell’attività
preventiva”.
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