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"RSPP Thyssen: la condanna e la qualificazione come dirigente di fatto"
fonte puntosicuro.it / Responsabilità sociale
28/12/2011 - Di grande interesse all’interno
della sentenza della Corte d’Assise di Torino sul caso
ThyssenKrupp risulta la sezione dedicata alle “Posizioni di garanzia” e,
ancora più in particolare, il paragrafo (13.4)
- in essa contenuto - dedicato alla posizione del “
dirigente con funzioni di responsabile dell'area Ecologia, Ambiente e
Sicurezza e di R.S.P.P. dello stabilimento di Torino” (da qui in avanti, il
“C”).
La Corte ricostruisce
il ruolo del C. partendo dall’organigramma aziendale ma poi sottoponendo tutte
le risultanze al vaglio dell’
effettività.
Come si legge in
sentenza, infatti, “C. risulta, nel già indicato organigramma aziendale in
sequestro, come “responsabile” dell'area EAS (nominato nel 1999 […]); non
risulta invece, agli atti, che C. rivestisse il ruolo di “dirigente”.” Questo
sotto il profilo della forma ma non, come vedremo più avanti, sul piano della
sostanza.
Per quanto attiene
invece al suo ruolo di RSPP, esso - precisa la Corte - “è parimenti confermato
da C., che durante il suo esame ha riferito che “la mia funzione era... quella
di Responsabile
del Servizio Prevenzione e Protezione”, aggiungendo di essere stato
nominato […] nel 1995. Proprio in quest'ultima funzione C. è citato sia nel
documento di valutazione del rischio, sia nel piano di emergenza e di
evacuazione”.
C. non risulta
essere, cosi come invece indicato nei capi di imputazione, “dirigente”;
rivestiva, secondo la documentazione in atti, il ruolo di
"responsabile" dell'area Ecologia Ambiente e Sicurezza come
impiegato.”
Tuttavia, mediante
una lettura sostanzialistica operata dalla Corte rispetto al ruolo
concretamente svolto dal C., quindi sulla base del principio di effettività che
oggi ha trovato una consacrazione nell’art. 299 del D.Lgs. 81/08 ma che anche
prima dell’entrata in vigore di tale norma è stato costantemente applicato
dalla giurisprudenza e ha da sempre rappresentato un principio cardine
dell’ordinamento prevenzionistico, l’imputato è stato qualificato dal Giudice
di Torino come “dirigente di fatto”.
Sull’esercizio di
fatto della mansione di dirigente, si veda anche
Cass. Pen., Sez. V, 5 aprile 1996 n. 3483:
“se l’ordine di eseguire quel lavoro è stato impartito dal X, il quale per farlo eseguire, si è avvalso anche della squadra di pronto intervento […] era il X che, ingerendosi, assumendo di fatto una determinata mansione, la mansione di dirigente, avrebbe dovuto accertarsi che il lavoro venisse eseguito nel rispetto delle norme antinfortunistiche, senza lasciare agli operai, non affatto soliti ad eseguire quel lavoro per quel che emerge dalle due sentenze di merito, la scelta tra una scala sotto misura e un elevatore elettrico destinato a ben altre cose e non di certo ad innalzare delle persone sino a m. 3,50 dal suolo.”
“se l’ordine di eseguire quel lavoro è stato impartito dal X, il quale per farlo eseguire, si è avvalso anche della squadra di pronto intervento […] era il X che, ingerendosi, assumendo di fatto una determinata mansione, la mansione di dirigente, avrebbe dovuto accertarsi che il lavoro venisse eseguito nel rispetto delle norme antinfortunistiche, senza lasciare agli operai, non affatto soliti ad eseguire quel lavoro per quel che emerge dalle due sentenze di merito, la scelta tra una scala sotto misura e un elevatore elettrico destinato a ben altre cose e non di certo ad innalzare delle persone sino a m. 3,50 dal suolo.”
Gli indici dai quali viene desunta la dirigenza di
fatto di C.
Tornando alla
pronuncia della Corte d’Assise di Torino, risulta estremamente interessante a
questo punto analizzare quali siano gli
indici
valorizzati come tali dalla Corte sulla base dei quali è stato ritenuto che
tale soggetto fosse dirigente
di fatto. Come sempre tutto ciò passa attraverso la
verifica dei poteri concretamente esercitati.
Infatti, prosegue
il Giudice di Torino: “la Corte deve però osservare che C., nella sua veste di
“responsabile” di quel servizio,
operava,
di fatto, come dirigente.
Con poteri
indiscutibilmente gerarchici e decisionali nei confronti dei suoi
diretti sottoposti […] tutti citati e
qui da ricordare in particolare anche sul loro rapporto di
sottoposizione gerarchica a C. per tutta l'area a lui affidata, sia
nel settore “ecologia” ( depurazione
acque), sia nel settore “sicurezza” ed emergenza antincendio. A titolo di
esempio, si può qui riportare come
risponde G. alla domanda su chi l'avesse incaricato di svolgere le stesse
mansioni di L. dopo le dimissioni di quest’ultimo: “C...non mi ricordo di
preciso...comunque se vuole la frase...non la ricordo, mi ha solo detto che
c'era da fare anche quello e se me la sentivo...la gestione del contratto con
[la Società X], le ispezioni alle linee...e le radio e...nel senso, la gestione
della squadra di emergenza non la metto in conto con la A.S.P.P. (Addetto
Servizio Protezione Prevenzione: incarico prima svolto da L. e poi da G.,
n.d.e.) perché già facevo ecologia”.
Tutto ciò per quel
che riguarda i poteri gerarchici, che quindi venivano di fatto esercitati.
Proseguendo nell’analisi degli altri poteri che devono essere concretamente
esercitati da un soggetto perché possa essere considerato dirigente sulla base
dell’effettività, la Corte prosegue: “ma anche con
poteri decisionali manifestatisi ufficialmente all'esterno: è
sufficiente, a questo proposito, ricordare il già ampiamente citato
“ordine” […] intitolato “modifica del piano
di emergenza interno,
emesso proprio
da C. da lui inviato a[i colleghi] del seguente tenore: “in allegato le
nuove disposizioni sul piano di
emergenza. Se ritenete necessario, sono disponibile ad effettuare una
riunione con tutti i sorveglianti per chiarire ulteriormente le modifiche in
oggetto”; in allegato a tale e-mail, troviamo la “Comunicazione interna”,
avente ad oggetto appunto: “modifica del piano di emergenza interno” del
seguente tenore: “A seguito delle dimissioni dei Capi turno manutenzione, è stato
necessario modificare il piano di emergenza interno. In particolare è stata
data la responsabilità del piano di emergenza al capo turno produzione. Come
riportato sulla procedura n. 241 “PIANO DI EMERGENZA ED EVACUAZIONE DELLO
STABILIMENTO DI TORINO” il capo turno diventa il responsabile dell'emergenza.
Pertanto i sorveglianti come tutti coloro che fanno parte della squadra in caso
di emergenza dovranno far riferimento e prendere disposizioni dal capo turno di
produzione ed effettuare quanto riportato nella procedura stessa. Nei casi in
cui, per ragioni d’intervento, su disposizione del capo turno, un sorvegliante
dovrà solertemente aprire le porte di accesso alle gallerie”.”
E ancora, aggiunge
la Corte d’Assise: “
oltre a tale
documento - di per sé, ad avviso della Corte,
dirimente in punto
“dirigente di fatto” come qualifica di C. - è emerso nel corso del
dibattimento, che l’imputato C.
svolgeva,
nella materia sicurezza
sul lavoro, quella che qui più rileva,
mansioni operative anche di carattere decisionale, come “braccio
destro” dell’imputato S. [il direttore di stabilimento, n.d.r.], il quale
ultimo l'aveva anche “delegato” ad occuparsi della materia sicurezza sul lavoro
(v. delega in atti, senza potere di spesa […]): ulteriore elemento che,
conferendo a C. ampi “poteri” in materia,
ne
conferma e ne rafforza il ritenuto ruolo dirigenziale “di fatto”.”
Interessantissimi
risultano poi gli altri elementi da cui viene desunta tale posizione di
garanzia: “C.
si era tra l'altro
occupato, in prima persona, dei lavori necessari per l’ottenimento del certificato
di prevenzione incendi (v., in atti, e-mail da C. a M., P. e S. ovvero
solo a P., tutte relative a quei lavori ed ai relativi importi, inviate i
16/7/2003, 24/3/2004, 20/7/2006: quest'ultima anche in risposta alla precedente
compagnia assicurativa […]: infatti il periodo è successivo all’incendio di
Krefeld, v. sopra),
della procedura per
il D.Lgs 334/99 (ricordiamo qui la presenza, anche di C. oltre che di S.,
alla riunione conclusiva del CTR, come “rappresentanti aziendali” v. sopra),
aveva seguito le visite delle assicurazioni nello stabilimento […]. Tanto che
C. aveva redatto egli stesso, con l’ausilio del consulente […], il “documento
di valutazione del rischio” e del “rischio incendio” (v. nel capitolo relativo,
anche per il “merito” della valutazione) per 1o stabilimento di Torino,
documento poi, come si è visto, firmato da S. e necessariamente, trattandosi di
incombente indelegabile – “fatto proprio” da E. durante il suo esame […].
D'altronde 1o stesso C., nel corso del suo esame, ha più volte affermato che si
era trovato a dovere
“gestire”
(insieme a S., suo “datore di lavoro”), nello stabilimento di Torino, una
situazione “così”.”
Le ricadute in termini di responsabilità dello
svolgimento di fatto del ruolo di dirigente
Non devono sfuggire
le importanti
ricadute in termini di
responsabilità di tale ricostruzione.
Abbiamo detto che
dalle circostanze richiamate viene
desunto l’esercizio di veri e propri poteri di “gestione” da parte del C.
Ebbene, sulla base
di esse la Corte ha attribuito concretamente le responsabilità e di conseguenza
le pene, giungendo alla conclusione che “sono destinatari degli obblighi in
materia di sicurezza sul lavoro” nel caso di specie, e quindi responsabili, “
come dirigente con funzioni di Direttore
dell’area tecnica e di servizi il M., come dirigente direttore dello
stabilimento di Torino il S., come dirigente con funzioni di responsabile
dell’area Ecologia, Ambiente e Sicurezza dello stabilimento di Torino il C.” (Cap.
13 della sentenza, “Le posizioni di garanzia”).
Dunque C. è stato
considerato dirigente esattamente al pari degli altri dirigenti imputati e
condannati, ovvero al pari del direttore dell’area tecnica e del direttore
dello stabilimento, e come tale giudicato.
In termini di pene,
al pari del dirigente S. (direttore di stabilimento) il C. è stato condannato
alla pena di 13 anni e 6 mesi di reclusione, cui si aggiungono le “pene
accessorie” - conseguenti all’applicazione
anche
dell’art. 437 c.p. (
omissione dolosa di
cautele antinfortunistiche che, lo ricordiamo, rappresenta un reato doloso
appartenente alla categoria dei delitti) - dell’interdizione dai pubblici
uffici per la durata di 5 anni e dell’incapacità di contrattare con la pubblica
amministrazione per 3 anni.
Le carenze nello svolgimento del ruolo di
RSPP
Le conclusioni
della Corte d’Assise a questo punto vanno nella direzione non solo di sancire
l’esercizio del ruolo di dirigente di fatto da parte del C. ma anche di
fotografare e sottolineare con forza la speculare mancata attuazione dei
compiti propriamente attribuitigli come RSPP, con tutte le responsabilità a ciò
connesse.
Conclude infatti la
Corte: “ne consegue, da un lato, l’affermazione secondo la quale, ad avviso
della Corte,
anche l’imputato C. si
trova in posizione di garanzia, quale destinatario delle norme
antinfortunistiche, nel suo ruolo di dirigente "di fatto"; ciò in
forza del principio di effettività che permea la materia della sicurezza sul
lavoro, principio indiscutibile e che, come abbiamo già esposto (v. sopra),
è divenuto legge nella definizione del “datore di lavoro” con le modifiche
apportate al D.Lgs. 626/94 dal D.Lgs. 242/96 e che, nel caso del “dirigente”, è
divenuto legge - successivamente ai fatti di cui al presente processo - con il
D.Lgs. n. 81/2008, art. 2 lettera d) […].
Ne consegue,
d'altro lato, secondo quanto in questo paragrafo brevemente esposto, ma
richiamando i precedenti capitoli sulle condizioni di lavoro, l’affermazione
secondo la quale, ad avviso della Corte,
l’imputato
C. ha completamente abdicato ai compiti che erano a lui stati affidati come
R.S.P.P., secondo le relative norme di cui al D.Lgs 626/94 e in particolare
a quella, fondamentale, di: “
prestare
'ausilio'
al datore di lavoro
nella individuazione e segnalazione dei fattori di rischio delle lavorazioni e
nella elaborazione delle procedure di sicurezza nonché di informazione e
formazione dei lavoratori (cosi Corte di Cassazione sentenza n. 2814/2011).
Egli stesso dichiara: “A me non risultavano assolutamente gravi carenze in
quello stabilimento. Le condizioni di lavoro, anche degli ultimi periodi, non
si erano modificate rispetto a quelle precedenti. Per cui non ho ritenuto
assolutamente di dover informare o segnalare qualcosa”.”
E, ad ulteriore sostegno
di tali conclusioni e con particolare riferimento al mancato o comunque carente
svolgimento della funzione di RSPP, aggiunge la Corte: “d’altronde C., come ben
emerge dalle risultanze complessive del suo esame […],
era quasi completamente assorbito dal suo ruolo operativo, di dirigente
di fatto, che quindi doveva “gestire” la situazione produttiva, quella
“presente” ed esistente, sotto il profilo della sicurezza e dell'emergenza, in
collaborazione con S., che identifica con il suo datore
di lavoro; e considerava invece le funzioni, tipicamente consultive, di
stimolo, di denuncia, di pressione del RSPP in materia di valutazione del
rischio e di apprestamento delle misure per eliminarlo o ridurlo solamente come
un’appendice subordinata a tale ruolo operativo.”
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