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"Il committente di lavori edili: definizioni e compiti"
fonte puntosicuro.it / Sicurezza sul lavoro
19/01/2012 -
i sensi dell'art. 88 del D.Lgs.
n. 81/2008 e nell'ambito di applicazione del titolo IV Capo I dello stesso
decreto
il committente è il “soggetto per conto del quale
l’intera opera
viene realizzata, indipendentemente da eventuali frazionamenti della sua
realizzazione”; inoltre “nel caso di appalto di opera pubblica il
committente è il soggetto titolare del potere decisionale e di spesa relativo
alla gestione dell’appalto”.
Secondo il Ministero del lavoro
(
Circ. Min. Lav. n. 41/1997
) il «committente» deve essere una persona fisica, in quanto titolare di
obblighi penalmente sanzionabili. Quindi, nell'ambito delle persone giuridiche
pubbliche o private, tale persona deve essere individuata nel soggetto
legittimato alla firma dei contratti di appalto per l'esecuzione dei lavori,
come precisato nel caso di appalto di opera pubblica, il committente è il
soggetto titolare del potere decisionale e di spesa relativo alla gestione
dell’appalto.
Il Ministero stesso precisa che il committente non è
obbligato a nominare il responsabile dei lavori, ma è una scelta
del tutto “discrezionale” che per il committente, scegliendo un lavoratore
subordinato o lavoratore autonomo con contratto di tipo professionale, “cui
affidare alcuni incarichi quali progettazione, esecuzione, controllo
dell'esecuzione dell'opera, nonché assolvimento degli altri compiti posti a
carico del committente dalla legge rappresenta una mera facoltà e non un
obbligo”. Difatti gli adempimenti previsti sono indifferentemente a carico del
committente o del responsabile dei lavori.
Il Ministero del lavoro ha inoltre opportunamente precisato che
questa
definizione in primo luogo fa escludere che possano essere considerati
"committenti" gli eventuali appaltatori di tutta l’opera (ad esempio
raggruppamenti temporanei di imprese). In secondo luogo, va precisato che
"il committente" deve essere una persona fisica, in quanto titolare
di obblighi penalmente sanzionabili. Pertanto, nell’ambito delle persone
giuridiche pubbliche o private, tale persona deve essere individuata nel
soggetto legittimato alla firma dei contratti di appalto per l’esecuzione dei
lavori.
L'individuazione
del committente nei reati edilizi
La sentenza Cass. Pen. Sez. III n. 15926 del 16
aprile 2009 (Ud. 24 feb. 2009) Pres. Onorato Est. Petti Ric. Damiano enuncia un
principio giuridico rilevante in materia di individuazione del committente: “in
tema di reati edilizi,
l’individuazione del committente dei lavori, quale
soggetto responsabile dell’abuso edilizio può essere desunta da elementi
oggettivi di natura indiziaria, come ad esempio: dalla qualità di proprietario
o comproprietario, posto che solo il proprietario o altro titolare del diritto
reale sul suolo o sul fabbricato su cui vengono eseguiti i lavori può assumere
la veste di committente; dalla presenza sul luogo dei lavori al momento del
sopralluogo”.
La vicenda processuale riguarda la condanna penale
del “responsabile della violazione di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44,
lett. b) e dei reati satelliti relativi alle costruzioni in cemento armato, per
avere realizzato un capannone con base in cemento armato senza alcun permesso
di costruire e senza un progetto redatto da un tecnico qualificato”. I giudici
del merito ritenevano l'imputato personalmente responsabile, sia perché
comproprietario del suolo su cui il capannone insisteva, sia perché abitava in
quella stessa area e per tale ragione non poteva avere ignorato la presenza del
manufatto, aveva inoltre accompagnato gli investigatori al momento
dell'accertamento ed aveva accettato la custodia dell'immobile. L'imputato
ricorre per Cassazione lamentando: 1) illogicità e contraddittorietà della motivazione
nonché 2) violazione dell'art. 350 c.p.p., commi 5 e 6 e art. 191 c.p.p. e 3)
travisamento della massima d'esperienza in forza della quale della costruzione
si avvantaggerebbe il proprietario del suolo: assume in definitiva che
l'affermazione di responsabilità si fonderebbe su indizi equivoci ed in parte
travisati nonché su informazioni assunte dagli operanti sul luogo
dell'accertamento da parte dell'indagato, informazioni che potevano essere
utilizzate solo per la prosecuzione delle indagini.
Il ricorso viene respinto e dichiarato inammissibile
per la manifesta infondatezza del motivo. La Suprema corte sottolinea che “in
tema di reati edilizi, l'individuazione del committente dei lavori, quale
soggetto responsabile dell'abuso edilizio può essere desunta da elementi
oggettivi di natura indiziaria, come ad esempio: dalla qualità di proprietario
o comproprietario, posto che solo il proprietario o altro titolare del diritto
reale sul suolo o sul fabbricato su cui vengono eseguiti i lavori può assumere
la veste di committente; dalla presenza sul luogo dei lavori al momento del
sopralluogo” e “la valutazione di tali indizi si sottrae al sindacato di
legittimità in quanto comporta un giudizio di merito che non contrasta né con
la disciplina in tema di valutazione della prova né con le massime di
esperienza”.
La Cassazione nega che i giudici del merito abbiano
fondato la responsabilità sulla base delle informazioni acquisite dall'imputato
sul luogo dell'abuso, circostanza questa che se vera e provata avrebbe reso la
decisione illegittima per violazione di legge, il codice di procedura penale
vieta di porre a fondamento della condanna eventuali dichiarazioni spontanee
dell'indagato.
La sentenza evidenzia invece che “lo stesso
ricorrente alla pagina 4 del ricorso riconosce, dandone atto, che nessuna
informazione o indicazione era stata a lui richiesta relativamente alla
proprietà del fondo o alla persona del committente” e “d'altra parte, dalla
sentenza di primo grado risulta che il geometra … dell'ufficio tecnico del
Comune di … aveva effettuato accertamenti catastali rilevando che la proprietà
del suolo apparteneva all'attuale ricorrente ed alla di lui moglie” e che “la
presenza del prevenuto sul luogo dei lavori è stata obiettivamente constatata
dagli stessi agenti operanti” cui “sul luogo dell'abuso si è solo chiesta la
disponibilità ad assumere la veste di custode ed in quell'occasione ha
manifestato la propria disponibilità ad assumere l'incarico, dimostrando anche
in tal modo il proprio interesse alla costruzione”.
Il
Committente/Responsabile dei lavori/Direttore dei lavori “di fatto”
La sentenza Cassazione Penale, Sez. 4, 09 settembre
2009, n. 35021 - Committente di fatto.
La vicenda processuale riguarda l'operaio T.A. che,
mentre era intento a lavori di edificazione di una cappella funeraria
nell'interesse di due anziane signore L.P. e L.C., era precipitato al suolo da
una impalcatura, riportando lesioni che lo avevano tratto a morte. Nella
immediatezza dei fatti i parenti del deceduto T.M. e Tr.Ma. avevano dichiarato
di avere trovato il congiunto in terra vicino al suo ciclomotore, al fine di
fare apparire le lesioni come conseguenza di un incidente stradale, ma in
seguito, verificatosi il decesso, avevano riferito che la vittima era caduta
mentre era intenta ad eseguire quei lavori edilizi.
Le indagini preliminari avevano appurato che la vittima
era stata assunta su interessamento del "geometra" M.F., nipote delle
committenti L., "e che il medesimo M. si era interessato dell'andamento
dei lavori".
Al M., imputato del reato principale di omicidio
colposo aggravato dalla violazione delle norme di prevenzione infortuni, era
stato contestato "quale responsabile del cantiere nonché promotore
dell'attività edilizia finalizzata alla costruzione di due cappelle
cimiteriali...", di aver cagionato la morte del predetto lavoratore per
colpa, in particolare non provvedendo ad adottare "su tutti i lati della
costruzione adeguate impalcature o ponteggi atti ad eliminare i pericoli di
caduta di persone e/o cose...".
Ai due T. si era contestato di avere, dopo il
sinistro, fornito "dichiarazioni contrarie alla realtà ed idonee ad
intralciare, ostacolare e ritardare le investigazioni tese all'identificazione
del responsabile del cantiere presso cui il T.A.... lavorava", commettendo
il reato di favoreggiamento personale, reato peraltro non infrequente nelle vicende
relative ad infortuni sul lavoro.
Nel confermare la condanna di primo grado i giudici
dell'appello rilevavano, quanto al M. imputato principale che, così come già
evidenziato dal primo giudice, egli, geometra e nipote delle anziane
committenti, "dopo essersi interessato per il reperimento della
manodopera,
andava in concreto a controllare lo stato di avanzamento delle
opere, provvedeva al pagamento degli operai talvolta addirittura con propri
assegni, veniva considerato dagli stessi operai il direttore dei lavori...";
e ritenevano che "il ponteggio non era a norma ...”.
Quanto ai due parenti della vittima e imputati
minori, rilevavano, a fronte delle censure di tali due appellanti, che il
delitto di cui all'art. 378 c.p. (favoreggiamento personale), è reato di
pericolo e che essi "fossero ben consapevoli del reale svolgimento dei
fatti ed avessero volutamente mentito alle autorità per evitare che
l'infortunio... fosse oggetto di indagini e di accertamenti che potessero
portare alla individuazione dei responsabili...".
Tutti gli imputati sono ricorsi alla Cassazione.
L'imputato principale denunzia:
a) vizi di violazione di legge e di motivazione, in
quanto "la motivazione della sentenza impugnata risulta radicalmente
inficiata... dall'effettivo esito dell'esame testimoniale reso dal sig. L.M...,
poiché dal confronto con l'atto processuale in questione inevitabilmente emerge
come la incompatibilità logica che affligge la parte motiva della pronuncia
riguardi proprio il primo dei suoi presupposti fondamentali: la pretesa
sussistenza, cioè, in capo all'odierno imputato, della qualifica di
geometra...." Da quelle dichiarazioni "emerge, più in particolare,
... come il testimone escusso non avesse, invero, alcuna certezza circa la
qualifica professionale" del M., e che questi "non abbia mai rivestito
la qualifica di geometra, né, tantomeno, si sia mai occupato di dirigere
cantieri per la costruzione di opere edili, risulta inequivocabilmente provato
dal suo diploma di perito industriale capotecnico...";
b) vizi di violazione di legge e di motivazione.
Richiamate le dichiarazioni rese dai testi L.M. ed C.A., rileva che "il M.
non si fosse mai preoccupato di reperire la manodopera necessaria ad effettuare
il lavoro, limitandosi, invece, per conto delle anziane zie, soltanto al
conferimento del relativo incarico al L. ed al C....";
c) il vizio di violazione di legge, in relazione
all'art. 589 c.p., e D.P.R. n. 164, artt. 16 e 24.
"A tutto voler concedere - rileva il ricorrente
- ... deve osservarsi che il fatto di ritagliare in capo all'imputato il ruolo attivo
di direttore
dei lavori non significhi, per ciò solo, che possa dirsi
individuato il presupposto sufficiente a giustificare la condanna dello
stesso...; in linea di principio, essendo posto sempre in capo all'appaltatore
o al lavoratore autonomo il dovere di sicurezza, né il committente, né il
direttore dei lavori per conto del committente possono essere chiamati a
rispondere degli infortuni verificatisi nell'ambito dell'impresa appaltatrice o
nell'ambito del lavoro autonomo, non essendo titolare della corrispondente
posizione di garanzia...".
In definitiva, secondo la difesa, dovendo ritenersi
che nella specie sia intervenuto un contratto di appalto - "tra il M. (che
interveniva per conto delle due committenti...) ed il L...." - "pur a
voler attribuire all'imputato M. il ruolo di direttore di fatto dei lavori in
rappresentanza delle anziane zie, occorrerà riconoscere che lo stesso, nella
sua qualità di rappresentante del committente sul cantiere, si è limitato - per
conto di quest'ultimo - ad esercitare quel diritto di controllare lo
svolgimento dei lavori e di verificarne a proprie spese lo stato che l'art.
1662 c.c., proprio al committente esplicitamente riconosce...”, ammettendo però
un ruolo di direttore dei lavori di fatto.
I due imputati minori sostengono tra l'altro che le
loro dichiarazioni "non risultavano idonee, neanche in astratto, ad
intralciare il corso della giustizia...”.
I ricorsi dei due imputati minori danno luogo ad una
per la quale la sentenza di condanna da loro impugnata va annullata senza
rinvio nei loro confronti, perché estinto il reato per prescrizione.
Mentre invece il ricorso dell'imputato principale
M.F., viene respinto in quanto infondato.
La suprema corte rileva che “non illogicamente la
sentenza impugnata ha ritenuto che tale imputato
assolvesse alle mansioni di
"direttore dei lavori di fatto...", ricordando che egli (e non
assume, evidentemente, alcun decisivo rilievo la circostanza della sua
qualifica professionale, "geometra" o "perito industriale
capotecnico"), "portatore di un interesse legato alla richiesta delle
anziane zie, dopo essersi interessato per il reperimento della manodopera,
andava in concreto a controllare lo stato di avanzamento delle opere,
provvedeva al pagamento degli operai talvolta addirittura con propri assegni,
veniva considerato dagli stessi operai il direttore dei lavori..."”.
La sentenza di primo grado rileva che "
è...
provato che egli ha in concreto diretto i lavori: si è reso promotore della
realizzazione dell'opera, ha contattato gli operai..., ha provveduto al loro pagamento
per il tramite del L.... e ha ammesso di essersi recato sul cantiere per
controllare i lavori...; lo stesso M. in sede di interrogatorio riferisce di
aver pagato con assegni del suo conto corrente gli operai e di essersi recato
presso il cimitero di … per verificare la consistenza dei lavori".
La Cassazione conferma che “correttamente lo stesso
primo giudice ha rilevato che "
diventa del tutto irrilevante che non
fosse il formale direttore dei lavori, se solo si consideri che la
responsabilità per l'omessa adozione delle cautele antinfortunistiche incombe
su chi dirige in concreto i lavori, indipendentemente da ogni posizione o
qualifica formale",
e perciò "
egli era tenuto a
vigilare sul rispetto delle norme antinfortunistiche, che sono state però del
tutto violate...".
D'altronde, e qui la Cassazione affonda il colpo in
maniera pesante enucleando il concetto di committente di fatto, “
quand'anche
si volesse ritenere che il ricorrente abbia agito solo quale longa manus delle
committenti anziane zie (come egli sembra prospettare), su di lui, quale
committente di fatto, pure incombevano gli obblighi di cui al combinato
disposto del D.Lgs. 14 agosto 1996, n. 494, art. 6, art. 4, comma 1, e art. 5,
comma 1, lett. a)” [ora artt. 89 e 90 D.Lgs. n. 81/2008].
L'argomentare dei giudici del merito, dunque, si
appalesa congruo ed immune da vizi di illogicità, che, peraltro, la norma vuole
dover essere manifesta, cioè coglibile immediatamente, ictu oculi.
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