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"La Cassazione sui criteri di validità della verifica tecnico-professionale"
fonte puntosicuro.it / Normativa
27/02/2012 -
Cassazione
Penale Sezione IV - Sentenza n. 36612 del 11 ottobre 2011 (u. p. 7 giugno 2011)
- Pres. Zecca – Est. Foti – P.M. Geraci -
Ric. S. M. e D. B. C. parte civile.
Oggetto di questa sentenza della Corte di Cassazione penale è la verifica tecnico-professionale a carico del committente nei confronti delle imprese e dei lavoratori autonomi ai quali lo stesso deve appaltare dei lavori da svolgere nell’ambito della propria azienda. Richiamando le disposizioni di legge secondo le quali tale verifica consiste nel controllare l’iscrizione alla Camera di Commercio dell’impresa e dei lavoratori autonomi ai quali affidare i lavori nonché nell’acquisire dichiarazioni relative al numero dei dipendenti, alla regolarità contributiva ed al rispetto del contratto collettivo di lavoro applicato, la suprema Corte di Cassazione ha sostenuto che la stessa verifica tecnico-professionale si deve ritenere assolta da parte del committente nel caso di lavori di modesta entità ed allorquando dalla verifica emerga che l’impresa è iscritta regolarmente alla Camera di Commercio e risulti altresì dalla visura dalla stessa rilasciata che l’impresa non abbia dipendenti.
Oggetto di questa sentenza della Corte di Cassazione penale è la verifica tecnico-professionale a carico del committente nei confronti delle imprese e dei lavoratori autonomi ai quali lo stesso deve appaltare dei lavori da svolgere nell’ambito della propria azienda. Richiamando le disposizioni di legge secondo le quali tale verifica consiste nel controllare l’iscrizione alla Camera di Commercio dell’impresa e dei lavoratori autonomi ai quali affidare i lavori nonché nell’acquisire dichiarazioni relative al numero dei dipendenti, alla regolarità contributiva ed al rispetto del contratto collettivo di lavoro applicato, la suprema Corte di Cassazione ha sostenuto che la stessa verifica tecnico-professionale si deve ritenere assolta da parte del committente nel caso di lavori di modesta entità ed allorquando dalla verifica emerga che l’impresa è iscritta regolarmente alla Camera di Commercio e risulti altresì dalla visura dalla stessa rilasciata che l’impresa non abbia dipendenti.
Il
fatto e l’iter giudiziario
Il Tribunale ha ritenuto l’amministratore di una società, committente
di alcuni lavori di posa in opera di lastre di copertura sul tetto di un
capannone industriale di proprietà della stessa società, nonché il titolare di
una ditta individuale incaricata di svolgere tali lavori ed ancora il datore di
lavoro di una ditta alla quale parte dei lavori erano stati da questa subappaltati,
colpevoli del delitto di omicidio colposo commesso, con violazione delle norme
sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro, in pregiudizio di un lavoratore
rimasto infortunato mentre prestava la propria attività per conto della ditta
subappaltatrice, e li ha condannati a pene diverse nonché al risarcimento in
solido dei danni, da liquidarsi in separato giudizio, in favore della parte
civile.
Secondo il Tribunale i citati imputati avevano cagionata la morte
del lavoratore, intervenuta per arresto circolatorio conseguente a gravissimo
politrauma da precipitazione, per colpa consistita in imprudenza, negligenza ed
imperizia e nella violazione di alcune norme per la prevenzione degli infortuni
sul lavoro. Era accaduto, infatti, che l’infortunato, mentre era intento a
posare delle lastre di
copertura del tetto posto ad un'altezza di circa nove metri dal suolo,
aveva appoggiato uno o entrambi i piedi su di una lastra appena posata la quale,
sotto il peso del lavoratore, si era infranta per cui l’operaio era precipitato
al suolo riportando delle ferite rivelatesi mortali.
La responsabilità dell'incidente era stata attribuita ai tre
imputati nella cui condotta erano stati rilevati profili di colpa specifica per
avere il committente violato l’articolo 3 comma 8 del D. Lgs. n. 494/1996, in
quanto aveva affidato alla ditta appaltatrice i lavori di sistemazione della copertura
del capannone senza averne preventivamente verificato la sua idoneità
tecnico-professionale in relazione ai lavori da svolgere e senza avere chiesto
informazioni relative ai dipendenti occupati, nonché il titolare della ditta
appaltatrice per aver violato l’articolo 70 del D.P.R. n. 164/1956, per non
avere realizzato, prima di iniziare i lavori, le opere provvisionali idonee a
garantire la sicurezza dei lavoratori, nonché l'articolo 10 dello stesso D.P.R.,
per non avere disposto l'uso di cinture di sicurezza, e gli articoli 21 e 22
del D. Lgs. n. 626/1994, per non avere fornito al lavoratore adeguata
formazione e per non averlo informato dei rischi connessi con il lavoro da
svolgere. Al datore di lavoro dell’infortunato era stata attribuita la
responsabilità per la violazione degli stessi articoli contestati al titolare
della ditta appaltatrice.
La Corte d'Appello ha successivamente assolto il committente da
ogni addebito per non avere commesso il fatto, eliminando la condanna al
risarcimento del danno allo stesso inflitta dal primo giudice, ed ha
invece confermata la sentenza inflitta
ai restanti imputati. In particolare la Corte territoriale ha ritenuto
inesistenti i profili di colpa addebitati al committente ritenendo che lo
stesso non fosse tenuto a predisporre cautele antinfortunistiche, né a
controllare che le avesse predisposte la ditta esecutrice dei lavori. A
giudizio della stessa Corte di Appello, infatti, la legge impone a carico del
committente solo l'onere di verificare
l'idoneità tecnico professionale dell'impresa incaricata dei lavori e di
chiedere alla stessa le dichiarazioni relative al numero dei dipendenti, alla
regolarità contributiva ed al contratto collettivo di lavoro applicato. Detta
verifica non esigeva, secondo la stessa Corte di Appello particolari
interventi, né era necessaria la predisposizione di un contratto scritto,
poiché il lavoro in questione era di modesta entità per cui la documentata
iscrizione della ditta appaltatrice all'albo delle imprese artigiane forniva
sufficienti garanzie di idoneità dell'impresa stessa.
Il
ricorso in Cassazione e le decisioni della suprema Corte
Avverso la sentenza di condanna della Corte di Appello hanno
proposto ricorso sia l’appaltatore che il datore di lavoro dell’infortunato nonché
la parte civile con riferimento all'assoluzione del committente ed alla
eliminazione della condanna dello stesso al risarcimento del danno. Per quanto
riguarda la posizione del committente,
in particolare, la parte civile ha tenuto a precisare che secondo l'impianto normativo
di cui al citato D. Lgs. n. 494/1996, il committente è tenuto ad osservare in
prima persona gli obblighi previsti dall'articolo 3, a meno che non provveda a
nominare un responsabile dei
lavori, e che la verifica di cui al comma 8 del citato articolo non ha
carattere meramente formale ma deve tendere al concreto accertamento
dell'affidabilità dell'impresa alla quale sono affidati i lavori. La suddetta verifica,
infatti, ha carattere sostanziale e comporta che il committente deve accertare
che l'appaltatore abbia a disposizione, tra l'altro, sufficienti attrezzature e
mezzi d'opera, strumenti di prevenzione individuali e collettivi, nonché
un'adeguata organizzazione aziendale capace di garantire la salute e la
sicurezza dei lavoratori, valutazioni queste che, secondo la parte civile
ricorrente, sono state del tutto omesse dalla Corte di Appello che avrebbe perciò
erroneamente interpretato la norma di legge sopra citata.
La parte civile ha sostenuto, altresì, che dalle stesse
dichiarazioni del committente sarebbe emerso che lo stesso non aveva effettuato
alcuna verifica dell'idoneità tecnica della ditta appaltatrice attraverso
l'ausilio della visura camerale e, conseguentemente, attraverso la verifica
della iscrizione alla camera di commercio, industria ed artigianato ed era
emerso inoltre ma che si era rivolto alla ditta subappaltatrice senza
effettuare alcuna indagine e solo perché lo stesso gli aveva assicurato di
essere in grado di effettuare i lavori richiesti.
La Corte di Cassazione ha rigettati i ricorsi perché ritenuti infondati e con riferimento, in particolare, alle responsabilità
del committente ha sostenuto che a questi non poteva addebitarsi alcun violazione
alle disposizioni di legge. “
Giustamente”,
ha affermato la Corte di Cassazione, “
la corte
territoriale ha sostenuto che, secondo il disposto del Decreto Legislativo n.
494 del 1996, articolo 3, comma 8, al committente non spettava alcun obbligo di
predisposizione di cautele antinfortunistiche, né di controllare il rispetto,
da parte della ditta incaricata dell'esecuzione dei lavori, della relativa
normativa, bensì solo di verificare l'idoneità tecnico-professionale della
stessa ditta incaricata, anche attraverso l'iscrizione della medesima alla
camera di commercio, industria ed artigianato”, verifica che del resto era
stata puntualmente eseguita.
“
La modestia dei lavori
affidati”, ha concluso la suprema Corte, “
e l'iscrizione alla predetta camera della ditta (appaltatrice),
forniva sufficienti garanzie, secondo il
condivisibile giudizio del giudice del gravame, circa l'idoneità della stessa
di eseguire regolarmente i lavori affidati, mentre non vi era alcuna necessità
di richiedere le dichiarazioni relative all'organico dei dipendenti, al
contratto collettivo applicato ed alla regolarità contributiva, poiché dalla
visura camerale del (omissis
) era
emerso che la stessa ditta non aveva dipendenti”.
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