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"Nuovi Accordi: quale formazione pregressa è riconosciuta?"
fonte puntosicuro.it / Formazione ed informazione
15/03/2012 - L’ Accordo
tra lo Stato e le Regioni, approvato il 21 dicembre 2011, sulla formazione
di lavoratori, preposti, dirigenti, costituisce un adempimento sostanziale -
benché non puntuale - di quanto richiesto dal Decreto legislativo 81/2008.
Un
adempimento che, tuttavia, se colma un
vuoto che ha generato in questi anni confusione e disomogeneità nella qualità
della formazione alla sicurezza erogata, non è tuttavia esente a sua volta da
piccole
lacune e ambiguità.
Lacune
riconosciute dagli stessi estensori del testo, tanto da costringerli
all’elaborazione e alla futura pubblicazione di una nota esplicativa
dell’Accordo.
Per
approfondire i punti meno chiari dell’Accordo riprendiamo un articolo,
pubblicato sul sito Salute
& Sicurezza della CISL, scritto da Cinzia Frascheri (giuslavorista e responsabile
nazionale C.I.S.L. per la Salute e Sicurezza sul Lavoro), dirigente sindacale
che più volte PuntoSicuro ha consultato in passato, anche in relazione alla sua
partecipazione ai lavori della Commissione Consultiva Permanente.
“ I
nodi interpretativi da sciogliere in merito all’Accordo Stato-Regioni relativo
alla formazione dei lavoratori ai sensi dell'art.37, c.2, del d.lgs. 9 aprile
2008, n.81 s.m.”, a cura di Cinzia Frascheri, giuslavorista e responsabile
nazionale C.I.S.L. per la Salute e Sicurezza sul Lavoro, intervento pubblicato
sul sito Salute & Sicurezza della CISL e sulla rivista “Ambiente &
Sicurezza” de IlSole24Ore
In
“
I nodi interpretativi da
sciogliere in merito all’Accordo Stato-Regioni relativo alla formazione dei
lavoratori ai sensi dell'art.37, c.2, del d.lgs. 9 aprile 2008, n.81 s.m.”,
la D.essa Frascheri sottolinea che il lavoro di regolazione svolto dall’Accordo
“è senz’altro da considerare complessivamente di rilevante valore e di grande
importanza”, tuttavia tale valore e l’urgenza di renderlo operativo, “non
cancella o vanifica (ma di più, forse, ne rafforza) la necessità di rilevare i
tanti punti disseminati nel testo che risultano, non solo alquanto
poco chiari e di dubbia interpretazione
ma, ancor più problematicamente, di non univoca attuazione, alimentando così,
in modo esponenziale la determinazione di future prossime situazioni di
contenzioso, di disparità di trattamento e di garanzia di tutela, tenuto conto
della centralità della formazione nell’azione di prevenzione e protezione
nell’ambito lavorativo”.
Rimandando
i lettori ad una lettura diretta ed esaustiva del documento, riassumiamo
brevemente alcuni dei nodi non chiari e di difficile applicazione citati:
-
premessa: il datore
di lavoro, a fronte dell’obbligo di formazione relativo alle figure del
dirigente e del preposto (art.37, comma 7), non è tuttavia vincolato in questo
caso a rispettare le disposizioni previste nell’ Accordo
Stato-Regioni. Potendo programmare percorsi formativi “alternativi”
dovrà dimostrare, comunque,
“l’altrettanta adeguatezza e specificità di questi”. Il punto di debolezza qui
rappresentato “è dato dalla mancanza di chiarezza e di regolazione relativa
proprio alla dimostrazione da dare”: “non si chiarisce in maniera puntuale il
datore di lavoro a chi deve dimostrare, in quale forma, con quale documento e
in base a quali parametri di confronto, l’aver programmato dei percorsi
formativi ‘alternativi’, ma comunque garanti di fornire una formazione
‘adeguata e specifica’ (concetti quest’ultimi anch’essi di non univoca
interpretazione)”;
-
enti bilaterali ed organismi paritetici:
l’Accordo dispone che i corsi
di formazione per i lavoratori debbano essere realizzati previa richiesta
di collaborazione
agli enti bilaterali
(…)
e
agli organismi paritetici. Questa “e” determina così “l’obbligo, a
carico del datore di lavoro, di dover far pervenire la richiesta di
collaborazione, non in modo alternativo - ad almeno uno dei due soggetti - ma
inevitabilmente ad entrambi. Considerato poi che il datore di lavoro è chiamato
obbligatoriamente a tenerne conto delle eventuali indicazioni espresse
dall’ente bilaterale e dall’organismo paritetico, ancora più complicata si
potrebbe venire a determinare la situazione nel caso in cui entrambi i soggetti
(l’ente bilaterale e l’organismo paritetico) dovessero rispondere, sostenendo
posizioni diverse od ancor peggio, contrastanti”;
-
requisiti dei docenti: non ci
soffermiamo su questa parte dell’accordo che fornisce alcune “regole-ponte in
attesa dell’elaborazione, da parte della Commissione consultiva permanente dei criteri
di qualificazione
della figura del formatore-docente per la salute e sicurezza sul lavoro”.
Tuttavia ricordiamo che l’autrice dell’articolo sottolinea che in relazione
all’arco di tempo previsto, un triennio, per garantire il minimo
dell’esperienza e della competenza necessarie, “è l’indeterminatezza delle
modalità, nei modi e nei tempi per poter accertare tale requisito che crea non
poche perplessità”;
-
organizzazione della formazione: si
riscontra nell’accordo “l’assenza per i lavoratori dell’obbligo della
prova di verifica dell’apprendimento al
termine del percorso formativo”, una scelta e non una mera dimenticanza degli
estensori del testo, in quanto questa questione è “da sempre portatrice di
contrasti e posizioni critiche, di natura diversa”. In realtà “l’inserimento
della prova obbligatoria di verifica dell’apprendimento, al termine di ogni
percorso formativo, dovrebbe essere un elemento essenziale (anche quale
modalità indiretta per la verifica dell’efficacia dell’azione formativa svolta
da un determinato docente)”. La D.essa Frascheri indica che si potrebbe
prevedere “una prova di verifica svolta con modalità che possano esaltare le
capacità del soggetto nello svolgimento del suo lavoro/mansione, evitando così
sterili richiami a modalità scolastiche (spesso discriminanti)”;
-
lavoratori stranieri: se per i
lavoratori stranieri viene prevista obbligatoriamente una prova di
verifica della comprensione e conoscenza
della lingua veicolare, “a mancare, sono le specifiche secondo le quali si
debba svolgere tale verifica”. Il rischio è quello di creare, per questo e per
altri aspetti non chiariti, una “condizione di totale difformità sul territorio
nazionale”;
-
e-Learning: “alcune non chiarezze
emergono nell’ambito delle categorie e dei percorsi formativi per i quali ne è
consentito l’utilizzo”. Ad esempio “prevedendo la possibilità di poter erogare
in e-Learning la formazione dei preposti, nell’Accordo si precisa che solo le
tematiche di natura ‘generale’ possano farne parte. Nella chiarezza dei punti
previsti (dal numero 1 al numero 5, dell’elenco complessivo delle materie
oggetto di formazione per i preposti), a mancare è l’attribuzione della
quantità di ore ‘adeguata’ per poter svolgere tale parte del percorso
formativo”.
-
condizioni particolari: il “problema
dell’indeterminatezza torna, nel testo dell’Accordo, anche in tema di
crediti formativi”. In particolare “la
linearità dell’indicazione, in merito ai crediti formativi permanenti, e ai
soggetti autorizzati, non la si ritrova per quanto riguarda l’indicazione dei
contenuti e della durata necessari affinché si possano ritenere ‘conformi’ ai
percorsi formativi delineati dall’Accordo, lasciando ampi (e, pertanto,
assoluti) margini di discrezionalità nella valutazione, in primis ai datori di
lavoro e, comunque, agli organi di vigilanza, attivi su tutto il territorio
nazionale e non così puntualmente coordinati e raccordati”;
-
formazione dei preposti: riguardo
alla previsione delle prove di verifica finale per dirigenti e preposti, la
disposizione “risulta alquanto generica, ma soprattutto scarna (e pertanto di
difficile concretizzazione) nella parte relativa alla documentazione necessaria
per poter dare ufficialmente conto dell’avvenuta prova di verifica”;
-
disposizioni transitorie e formazione
dei dirigenti: - “anche in tema di durata dei percorsi formativi, la
mancanza di chiare (puntuali e semplici) indicazioni, crea terreno fertile per
un ulteriore ritardo nell’applicazione delle disposizioni, dal valore
estremamente significativo (e inaccettabile, visto il già troppo tempo
trascorso nell’attesa delle indicazioni fornite dall’Accordo, dopo circa
quattro anni di attesa, dal mandato legislativo previsto dal d.lgs. n.81 del
2008 s.m.)”. In particolare “nella sezione dedicata al percorso
formativo dei dirigenti si precisa in modo esplicito che la formazione dei
dirigenti dovrà
essere completata
nell’arco temporale di dodici mesi. Nella sezione delle Disposizioni
transitorie, però, si legge che i percorsi formativi dei dirigenti (e dei
preposti) dovranno,
unicamente in sede di
prima applicazione, essere
conclusi
entro e non oltre il termine di diciotto mesi dalla pubblicazione, con una
ulteriore specifica (che modifica ancora i termini di realizzazione della
formazione) che prevede, per i nuovi assunti, (dirigenti e preposti) nel caso
il datore di lavoro non possa far completare il percorso prima dell’adibizione
al ruolo o contestualmente ad essa, il termine di conclusione del percorso
entro e non oltre i sessanta giorni
dall’assunzione”. Se dalla lettura combinata del testo si evince (“o
meglio, servirebbe una indicazione per essere certi di poter evincere”) che il
tempo ritenuto di
prima applicazione “andrebbe individuato nei primi diciotto mesi
di vigenza, considerandolo pertanto a regime solo a partire dalla data dell’11
giugno 2013 (tenuto conto che si fa riferimento alla
data di pubblicazione e non di entrata in vigore)”, è necessaria
una definizione chiara di questi tempi. La determinazione del periodo di tempo
relativo alla fase
di prima applicazione
è importante anche in riferimento al “riconoscimento dei percorsi formativi per
i lavoratori, preposti e dirigenti, formalmente e documentalmente approvati (in
questo punto, almeno, la chiarezza sulle modalità di verifica è precisa) alla
data di entrata in vigore dell’Accordo, se rispettosi delle previsioni
normative e delle indicazioni previste dai contratti collettivi”;
-
riconoscimento formazione pregressa:
anche in questo caso l’autrice riscontra una leggerezza nel confondere
l’utilizzo della congiunzione «e» con l’espressione «e/o» tale da fornire
ancora una volta “un motivo di scarsa chiarezza e di deleteria indeterminatezza
applicativa”. Infatti quanto indicato in relazione all’obbligo a carico del
datore di lavoro di “comprovare di aver svolto una formazione rispettosa, nella
durata, contenuti e modalità, delle previsioni normative ‘e’ delle indicazioni
previste nei contratti collettivi di lavoro” determina “l’obbligo di dover
dimostrare il duplice rispetto (e, di contro, l’impossibilità a far valere la formazione
pregressa ad oggi svolta, in caso di mancata indicazione specifica nel
contratto; condizione attualmente piuttosto ancora frequente). Se di certo la
formazione è uno strumento fondamentale nell’azione di prevenzione e di tutela
della salute e sicurezza sul lavoro, non consentire ai datori di lavoro di
poter far valere la formazione fino ad oggi svolta (se adeguata e specifica),
costringendoli a ripeterla totalmente a causa di un maldestro inserimento nel
testo, in parola, di una ‘e’ al posto di una ‘o’, appare alquanto insostenibile
e improduttivo, tenuto anche conto del non dover trascurare la pro-attività di
questi in confronto a chi, in questi anni, si è limitato ad aspettare le
regole”;
-
aggiornamento: l’articolo si
conclude ritenendo “estremamente dubbia” la quantità di ore previste per il
percorso di aggiornamento del preposto. Malgrado quanto indicato nel testo in
tema di Aggiornamento di un obbligo formativo (a cadenza quinquennale) di
durata minima di sei ore, “la
specificazione riferita al preposto (e al dirigente), sull’oggetto
dell’aggiornamento (
in relazione ai
propri compiti in materia di salute sicurezza sul lavoro) crea incertezza
interpretativa. Tenuto conto che il percorso formativo complessivo del preposto
è formato da una parte relativa al percorso
formativo dei lavoratori e ad una particolare sul ruolo del preposto, in
tema di aggiornamento, emerge il dubbio se tale soggetto debba svolgere
l’aggiornamento sia per la parte del suo ruolo riferita alla figura del
lavoratore sia, in modo aggiuntivo, per la parte riferita espressamente al ruolo
di preposto (determinandosi così, nel quinquennio, un obbligo di sei ore di
formazione di aggiornamento, più altre sei ore, rispettivamente l’una per la
parte relativa al ruolo del lavoratore e l’altra relativa al preposto)”.
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