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"Il difficile ruolo del RLS"

fonte puntosicuro.it / Sicurezza

24/04/2012 -
Pubblichiamo l'intervento del Dr. Beniamino Deidda procuratore generale di Firenze all'assemblea degli Rls della Filcams Cgil, Firenze 29 Novembre 2011
 

Filcams CGIL - ASSEMBLEA NAZIONALE RLS - Firenze, 29 novembre 2011
Credo che questa giornata costituisca una buona occasione per fare il punto sull’efficacia della
partecipazione dei lavoratori e dei loro rappresentanti all’opera di prevenzione all’interno delle
aziende. Voglio ricordare che fino a non molto tempo fa i settori del commercio del turismo e dei servizi veniva tradizionalmente ritenuto privo di grossi rischi per i lavoratori. Non so se ci sia mai stato un tempo nel quale questa convinzione trovava riscontro nella realtà. Certo è che oggi le condizioni di lavoro e lo sviluppo del settore impongono un grande impegno e una grande attenzione alla prevenzione per i rischi della salute. Insieme alla tecnologia e ai modi di produzione sono anche cambiate le norme. Da tre anni vige in Italia il Testo Unico n. 81/08. Si possono muovere molte critiche al nostro apparato legislativo, ma è importante rilevare che il Testo Unico, nonostante alcune carenze, ha definitivamente introdotto in Italia, un modello di prevenzione in materia di salute dei lavoratori profondamente innovativo sul piano dell’organizzazione della sicurezza nei luoghi di lavoro.
 
Attraverso il recepimento delle direttive europee l’ordinamento italiano è passato da una concezione in cui il datore di lavoro era semplicemente un debitore di sicurezza tenuto ad attuare obbligatoriamente alcuni precetti di prevenzione, ad una concezione che richiede un sistema di prevenzione della salute e della sicurezza fondato sulla partecipazione dei lavoratori quali soggetti attivi che, attraverso i loro rappresentanti, intervengono nella predisposizione e nell’attuazione delle misure di sicurezza. In sostanza il nuovo Testo Unico dà vita ad un sistema di relazioni tra diversi soggetti (datore di lavoro, dirigenti, preposti, medico competente, responsabile del servizio di prevenzione, ecc) e, per quanto riguarda i lavoratori, ad una serie di interrelazioni: consultazioni dei RLS, informazione, formazione e addestramento dei lavoratori, accesso al documento di valutazione dei rischi e ai luoghi di lavoro da parte dei RLS, riunione periodica di prevenzione, rapporti con il medico competente, controlli sulla conformazione degli ambienti di lavoro, verifica dell’osservanza delle norme da parte dei soggetti obbligati, ecc.

Una previsione normativa, dunque, che configura un vero e proprio sistema organizzato di prevenzione. In questo quadro normativo il dato più saliente è la sistematicità degli adempimenti: nessuno più gioca la sua parte in solitudine, ogni adempimento presuppone il coinvolgimento di più soggetti senza la cui partecipazione non è possibile raggiungere il risultato voluto dal legislatore.
Prendiamo ad esempio un obbligo fondamentale: l’obbligo della valutazione dei rischi che grava sul datore di lavoro: ma egli non può correttamente adempiere se non coinvolge il RSPP, il MC e se non consulta il RLS. Questo modello di prevenzione partecipata è reso obbligatorio per legge, attraverso il meccanismo sanzionatorio che colpisce il datore di lavoro colpevole di non avere coinvolto gli altri soggetti.
 
Ci si è illusi che questo sistema avrebbe fatto fare un salto nella qualità della prevenzione e protezione della salute dei lavoratori. Non è stato così per due ragioni fondamentali: la diffusa
trasgressione delle norme di prevenzione da parte delle aziende e il rifiuto di coinvolgere sistematicamente i rappresentanti dei lavoratori nelle scelte fondamentali che riguardano la sicurezza sul lavoro.
Il nuovo TU ha posto a carico dei datori di lavoro una serie di obblighi che non hanno precedenti nella passata legislazione:
- L’obbligatoria definizione della politica aziendale di sicurezza
- l’organizzazione del conseguente sistema aziendale della prevenzione
- la valutazione di tutti i rischi per la salute
- la definizione di un piano di intervento fondato sulle priorità della salute dei lavoratori
- la condivisione del piano d’intervento da parte dei lavoratori.
Ma raramente questo complesso piano della sicurezza ha avuto attuazione nelle nostre aziende; anzi, i lavoratori e i loro rappresentanti sono trattati come estranei ficcanaso da tenere a bada. Si è cominciato col negargli la consultazione in materia di valutazione dei rischi; poi si è cercato di non fargli avere il documento di valutazione dei rischi, accampando improbabili esigenze di segretezza industriale; poi si è cercato di ostacolare l’esercizio dei compiti di rappresentanza, negando il diritto di accesso e, infine, si è cercato di ostacolare e rendere la vita difficile ai RLS più rigorosi o troppo intraprendenti.
Eppure si era partiti dal lodevole proposito, contenuto nella legge di delega 123/07 di rafforzare il ruolo del rappresentate dei lavoratori per la sicurezza. Non solo: l’espressione usata dall’art. 47 del decreto n. 81 “il RLS è istituito” a livello territoriale, ecc. confermava senza alcun dubbio la scelta legislativa di un modello di prevenzione a carattere partecipativo obbligatorio, cioè la indispensabilità della presenza in ogni contesto lavorativo dei RLS.
 
Si aggiunga che il TU ha definito con molta precisione le attribuzioni del RLS, riconducendole a
quattro aspetti fondamentali: diritto di informazione, formazione, consultazione ed accesso. Queste attribuzioni costituiscono sulla carta un notevole complesso di diritti e di facoltà che possono essere fatte valere, anche coattivamente.
Nella previsione normativa del sistema di prevenzione spicca dunque il profilo fondamentale della figura del rls, il quale, mentre nelle aziende che hanno fino a 15 lavoratori è eletto liberamente dai lavoratori al loro interno, nelle aziende con più di 15 lavoratori è eletto nell’ambito delle rappresentanze sindacali in azienda. Con questa disposizione il legislatore non ha voluto limitare la libertà e l’autonomia dei lavoratori di eleggere chi gli pare, ma ha voluto evitare che i rls fossero figure deboli sostanzialmente in balia dei datori di lavoro ed ha stabilito che fossero radicati e sostenuti nelle organizzazioni sindacali. Ciò nonostante i rappresentanti continuano generalmente ad essere soggetti deboli, non sempre in grado di discutere le scelte penalizzanti del datore di lavoro in materia di sicurezza. E qui non possiamo evitare di domandarci: a chi spetta il rafforzamento e il sostegno dell’azione dei RLS, chi dovrebbe evitarne l’isolamento, chi dovrebbe farsi carico della efficacia della loro azione, chi dovrebbe provvedere alla loro formazione, chi dovrebbe convincere i lavoratori che la sicurezza e la salute non sono meno importanti del salario, perché si tratta di diritti fondamentali? Sta nella risposta a queste domande il senso e il significato della battaglia che si combatte giornalmente per l’attuazione nelle aziende di condizioni di lavoro che rispettino la salute e la dignità dei lavoratori.
 
Va sottolineato che non mancano nel nuovo testo unico gli strumenti che, se bene utilizzati, possono rendere penetrante l’azione dei rls.
A cominciare dalla facoltà di accesso che è lo strumento essenziale per esercitare efficacemente le funzioni di rappresentante. Il RLS ha diritto di accedere nei luoghi di lavoro con le modalità e con il preavviso stabiliti dagli accordi collettivi.
Non meno essenziale è il diritto di accedere alla documentazione aziendale inerente alla valutazione dei rischi, alle misure di prevenzione, alle sostanze e ai preparati pericolosi, alle macchine, agli impianti, agli infortuni e alle malattie professionali.
Una particolare attenzione la legge dedica al diritto di accedere e ottenere copia della valutazione dei rischi e del DUVRI da parte del RLS. L’unico limite è che il documento di valutazione deve essere richiesto dal rls e non spontaneamente consegnato dal datore di lavoro.
Si tratta di una disciplina particolarmente timida, se si pensa che il rls è titolare di un altro diritto fondamentale: quello di essere preventivamente e tempestivamente consultato in ordine alla valutazione dei rischi e alla programmazione e alla realizzazione della prevenzione in azienda. Si tratta di un diritto che viene esercitato poco e male, senza la necessaria energia e senza la consapevolezza che si tratta di uno strumento decisivo per ottenere condizioni di lavoro sicure.
Non solo: Il RLS è obbligatoriamente consultato in occasione della designazione dei membri del
SSP, del medico competente e degli addetti ai servizi di emergenza. E anche qui si deve dire che le aziende non sono troppo rispettose dell’obbligo.
 
Voglio infine menzionare due facoltà del RLS che sono assai funzionali all’esercizio delle loro
competenze:
* il diritto di essere consultato in merito all’organizzazione della formazione;
* il diritto di disporre del tempo necessario allo svolgimento dell’incarico, nonché dei mezzi e degli spazi per l’esercizio della funzione. Mezzi e strumenti di qualsiasi genere: rientrano nel concetto ad es. la disponibilità di un computer e di una stampante.
 
Due parole, infine, sui rapporti tra RLS e organi di vigilanza. L’art. 50 alla lettera f) ci dice che il RLS riceve le informazioni del servizio di vigilanza; il che letteralmente significa che l’organo di vigilanza che interviene ha l’obbligo di informare il RLS dei risultati della sua attività. E la lett. i) prevede che il RLS formula osservazioni in occasione di visite e verifiche effettuate dalle autorità  competenti, dalle quali di norma è sentito.
Questa norma, che modifica la disciplina precedente, colloca al centro dell’azione di controllo la
figura del RLS, che la legge vuole interlocutore abituale dell’azione di verifica e vigilanza.
Si tratta dunque di un considerevole complesso di diritti e di facoltà che possono essere esercitate a garanzia della salute dei lavoratori.
Eppure la prevenzione nelle aziende non decolla e la partecipazione dei lavoratori alla prevenzione è largamente insufficiente.
Credo che alla base di questa situazione, come ho già accennato, ci siano responsabilità di molti soggetti. Le rappresentanze dei lavoratori sono state spesso lasciate sole, anzi in molte aziende del territorio nazionale non esistono. Ma se il sindacato non sostiene l’azione di questi organismi, come possono svolgere quel ruolo essenziale, cui la legge li chiama? Vorrei dire con tutta l’amicizia che sento per i lavoratori e per i sindacati che, se si dovesse fare un bilancio oggi, si potrebbe dire senza sbagliare che finora quella della rappresentanza dei lavoratori per la salute nelle aziende è stata una scommessa persa e che la responsabilità di questa sconfitta non possiamo attribuirla solo alla cattiveria dei datori di lavoro. Forse la partita non è definitivamente persa, ma solo se saremo in grado di individuare realisticamente dove siamo stati deboli e inadeguati. Questa analisi e lo spirito autocritico sono le condizioni ineludibili per riprendere un’azione forte ed incisiva. So, naturalmente, che esistono realtà fortemente combattive all’interno di molte aziende, ma ancora non costituiscono la regola nell’intero territorio nazionale e soprattutto non riescono ad invertire un andamento che finora è stato negativo.
 
Ma c’è un altro soggetto che porta qualche responsabilità nell’attuale situazione della prevenzione in Italia e sono i servizi pubblici di prevenzione delle ASL. Nel momento in cui si doveva far partire un nuovo modello di prevenzione, più efficace e partecipato, sarebbe stata necessaria un’opera capillare di controllo e di vigilanza nelle aziende. Questo non è accaduto. Le aziende controllate dai servizi si sono mantenute negli anni su percentuali inaccettabili. Si è diffusa la convinzione dell’impunità nella grande quantità di aziende che non sono mai state visitate dagli organi di vigilanza. Certo questo non accade a caso. Gli organici sono inferiori alle necessità, in alcune regioni i servizi non funzionano decentemente. I tagli lineari colpiscono anche le ASL e impediscono il turn-over.
Ed è così che i servizi delle ASL non riescono a garantire il rispetto di elementari diritti di sicurezza e meno che mai a garantire la partecipazione dei lavoratori ai piani di sicurezza aziendali.
Ma c’è un altro ordine di responsabilità che va sottolineato ed è quello che attiene ai compiti della Magistratura.
In un sistema come quello che abbiamo descritto, fondato su norme la cui violazione è sanzionata penalmente, se i reati non vengono perseguiti con efficacia e sanzionati tempestivamente, l’intero sistema perde credibilità. Ma lo scarso numero dei processi celebrati, la loro lentezza, l’esiguità delle pene comminate, i numerosi proscioglimenti per prescrizione relativi alle contravvenzioni elevate in azienda ci dicono con quale scarsa professionalità la magistratura si accosti a questo tipo di reati. Del resto quanti sono i magistrati che sono davvero specializzati in questa delicatissima materia? Pochissimi in tutta Italia, nonostante il numero altissimo di procedimenti per i delitti contro l’incolumità dei lavoratori che toccano a ciascun magistrato. C’è una ragione se la gran parte dei colleghi non si specializza in queste materie. Ed è che la considerazione sociale di questi fenomeni criminosi è tuttora marginale. C’è voluto il presidente Napolitano per ricordarci ripetutamente che siamo di fronte ad un gravissimo fenomeno cui occorre porre rimedio e per chiedere maggiore impegno alle istituzioni e alla stessa magistratura.
 
Il compito dei magistrati in questa materia non è secondario. Sarebbe del resto impensabile che in una moderna democrazia il giudice non fosse in grado di garantire i diritti essenziali della persona.
Eppure di fronte alla plateale mancata adozione dei più elementari dispositivi di sicurezza che
contraddistingue molte aziende, la tutela giudiziaria è debole o addirittura inesistente. Si vedono in giro incredibili archiviazioni nei processi per gravissimi infortuni, anche mortali; si leggono incomprensibili assoluzioni per vicende in cui è evidente l’assoluta mancanza di sicurezza nell’organizzazione del lavoro.
E’ questa la ragione per la quale i datori di lavoro sentono quella vaga aria di impunità quando
pensano di poter aggirare agevolmente le norme sulla sicurezza e la salute dei lavoratori. Ed è
questa la ragione per la quale, per converso, i lavoratori si sentono in qualche modo isolati e impotenti quando vedono che il loro diritto alla salute e alla sicurezza viene tenuto in scarsa considerazione. Questo senso di impotenza colpisce inevitabilmente anche i rappresentanti dei
lavoratori per la sicurezza, i quali, troppo spesso abbandonati a se stessi, agiscono nella sostanziale indifferenza dei lavoratori, assumendo un peso e un impegno che risulta sproporzionato rispetto ai risultati ottenuti. In questo senso è mancato finora il sostegno del servizio di prevenzione delle ASL e della stessa Magistratura a proposito dei quali va ripetuto che essi sono organismi pubblici il cui compito istituzionale è quello, rispettivamente, di garantire la salute dei lavoratori e di fare rispettare la legge.
 
Sappiamo che ottenere il rispetto delle norme di legge non è facile soprattutto per l’atteggiamento di certi datori di lavoro che rifiutano di rispettare i diritti stabiliti dalla legge. Abbiamo visto in passato cose particolarmente gravi: lavoratori licenziati per avere pubblicamente denunciato le violazioni in materia di sicurezza e salute; lavoratori perseguiti disciplinarmente per avere assunto iniziative ritenute lesive del ‘buon nome’ dell’azienda; lavoratori colpiti per avere messo le proprie conoscenze tecniche al servizio dei familiari delle vittime di una tremenda strage ferroviaria.
 
Di fronte a questi episodi, non infrequenti, mi chiedo: ma i sindacati di fronte a queste cose non sentono il bisogno di far quadrato, di dire con fermezza che l’illegalità non può passare, che si tratta di attacchi gravissimi ai diritti di tutti i lavoratori e non solo di quelli che vengono colpiti?
Qualcuno obietterà che non sono solo questi gli attacchi ai lavoratori, che è in corso un tentativo di riduzione dell’occupazione, di colpire le pensioni e di aumentare le tasse. Lo so bene, ma si tratta di un’unica battaglia nella quale anche ai lavoratori si chiede di fare la loro parte per rimediare ai guasti che un governo sciagurato ha provocato negli ultimi 10 anni.
Talvolta in passato è stata praticata la c.d. monetizzazione del rischio. So bene le difficoltà che ha incontrato (e che incontra tuttora) la lotta per la tutela delle condizioni dei lavoratori e non intendo fare processi a nessuno. Ma abbiamo anche imparato che la salute è uno di quei diritti costituzionali che quando vengono smarriti, non basta un cambio di governo a restituirceli. Tocca perciò dunque a tutti noi fare in modo che chi lavora non venga privato dei diritti essenziali della persona. Se ci riusciremo non avremo salvato solo la causa dei lavoratori, ma avremo anche contribuito a rendere più civile questo sfortunato paese.

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