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"L’adeguamento della sicurezza delle macchine: quali riferimenti?"

fonte www.puntosicuro.it / Sicurezza

19/07/2012 -
Si parla ancora molto delle responsabilità del datore in materia di sicurezza delle macchine, partendo dal semplice acquisto, passando per il nodo centrale della valutazione dei rischi, per arrivare alla idoneità delle misure di adeguamento o di miglioramento.
In queste pagine vogliamo parlare del terzo punto; come scegliere le misure di adeguamento o miglioramento?
 
Partiamo da un concetto base in qualche modo stabilito dal D.Lgs. 81/2008. Chi valuta i rischi è, per definizione, il datore di lavoro, ovvero è un tecnico che per conto del datore di lavoro si assume il compito di effettuare con diligenza tecnica e sistematicità il compito di valutare tutti i rischi. Valutare significa:
• identificare (riconoscere)
• stimare (quantificare)
• valutare (ricondurre a fasce predefinite)

Chi definisce le misure idonee a eliminare, mitigare o contenere i rischi è, in primis, un tecnico che svolge una funzione di progettista che:
• deve scegliere una idea di soluzione adatta a risolvere il problema (eliminare, ridurre o mitigare un rischio sino ad un livello almeno accettabile)
• progettarla concretamente in modo che rispetti lo stato dell’arte in materia di sicurezza e salute sul lavoro
• collaudarla per verificare che sia stata correttamente realizzata
• validarla dopo un certo tempo di presenza della soluzione medesima, per verificare che non provochi problemi aggiuntivi non previsti per la sicurezza e la salute dei lavoratori, ma anche per la produttività, la facilità di utilizzo ecc.
 
Credo siamo tutti d’accordo che quelle appena descritte sono attività che ricadono nell’ambito della progettazione. Allora si applica l’articolo 22 del D.Lgs. 81/2008 che riportiamo integralmente:
Articolo 22 - Obblighi dei progettisti
1. I progettisti dei luoghi e dei posti di lavoro e degli impianti rispettano i principi generali di prevenzione in materia di salute e sicurezza sul lavoro al momento delle scelte progettuali e tecniche e scelgono attrezzature, componenti e dispositivi di protezione rispondenti alle disposizioni legislative e regolamentari in materia.
Omettiamo di ricapitolare i “principi generali di prevenzione” limitandoci ad osservare che fra questi rientra il rispetto dello stato dell’arte in materia di sicurezza e salute.
 
Veniamo al punto: quali sono i riferimenti per chi progetta soluzioni di adeguamento o miglioramento della sicurezza delle macchine? E questi riferimenti cambiano in funzione del fatto che la macchina su cui andiamo a intervenire sia o meno marcata CE?
 
Rispondiamo prima al secondo quesito: se ho rilevato una situazione di rischio e ho una soluzione per migliorare la condizione rilevata, l’avere la marcatura CE non giustifica assolutamente una mia mancanza di intervento, in qualità di datore di lavoro. È ben esplicito, sin dai tempi del D.Lgs. 359/99 che modificava il titolo III del D.Lgs. 626/94, che ogni modifica alle attrezzature di lavoro, volta esclusivamente a migliorarne la sicurezza, non può e non deve comportare una variazione in termini di marcatura CE, sia che la macchina su cui si interviene sia già marcata CE, sia che non lo sia per legittimi motivi (per esempio perché antecedente al 1996). Quindi se rilevo un rischio devo intervenire nel migliore dei modi, indipendentemente da eventuali certificazioni.
 
Detto questo veniamo al nocciolo della questione che vogliamo chiarire con queste righe. Quali sono i riferimenti da adottare nella progettazione delle misure di adeguamento o di miglioramento della sicurezza? Ovviamente il focus è sulle misure tecniche e sulla loro idoneità. E ci riferiamo esclusivamente alle misure tecniche di nuova progettazione, ovvero a quelle misure che all’atto della valutazione non erano presenti, non a quelle che, invece, non sono state ritenute adeguate (per quanto presenti).
 
Se io oggi progetto una misura di sicurezza devo, secondo quanto previsto chiaramente dal D.Lgs. 81/2008, devo rispettare lo stato dell’arte … su questo non si discute in linea di principio, ma si potrebbe eccepire in alcuni casi pratici. Proviamo a fare chiarezza con alcuni esempi.
Poniamo che mi accorga che per le tipologie di lavorazione che svolgo su una macchina nel mio contesto lavorativo, posso aggiungere una segregazione di un organo meccanico pericoloso che il fabbricante non poteva inserire perché avrebbe impedito alcune lavorazioni della macchina che a me non interessano. Quindi ho una macchina legittimamente marcata CE, forse addirittura in conformità ad una norma di tipo C, su cui io posso migliorare significativamente la sicurezza in virtù dell’uso a cui la ho destinata.
A questo punto, per ragioni di visibilità della lavorazione e di costo e di semplicità dell’intervento decido di realizzare una protezione in rete che impedisca il raggiungimento delle parti mobili pericolose. Se la distanza della protezione è suggerita dalla conformazione della macchina stessa, io devo comunque decidere di che dimensione devono essere le maglie della rete bilanciando fra due diverse esigenze:
• vorrei avere le maglie più larghe possibile per avere la migliore visibilità possibile sulla zona di lavoro dall’esterno delle protezioni.
• devo stringere le maglie sino ad una dimensione che impedisca di passare fra le stesse con gli arti superiori o con parte di essi tanto da poter raggiungere la zona pericolosa.
 
Il bilanciamento “giusto” lo trovo nella norma tecnica UNI EN 13857:2008 che definisce la ampiezza massima delle aperture nelle protezioni in rete o lamiera forata, oltre a definire, più in generale, le Distanze di sicurezza per impedire il raggiungimento di zone pericolose con gli arti superiori e inferiori. Qui vengono dati riferimenti certi che consentono a chi progetta la soluzione di sicurezza di sapere se quanto definito a livello di design è “giusto” o “sbagliato”. Questo concetto vale, ovviamente, per moltissimi altri casi, dalla scelta delle barriere immateriali alla prevenzione del rischio di schiacciamento di parti del corpo tramite il mantenimento degli elementi mobili ad una distanza reciproca tale da evitare, appunto, la possibilità di schiacciamento.
 
A questo punto sembra tutto piuttosto lineare, ma ci sono delle eccezioni che devono essere sviscerate attentamente. La principale, a nostro avviso, riguarda la scelta della norma da utilizzare per garantire una adeguata affidabilità ai sistemi di comando legati alla sicurezza. Questo principalmente perché nel 2008 è stata introdotta una norma (UNI EN 13849-1:2008) che cambia radicalmente l’approccio al problema. La norma in questione ha convissuto con la precedente (UNI EN 954-1:1998) per alcuni anni, ma oggi la vecchia norma è stata ritirata. Vi domanderete: dove è il problema? Non abbiamo forse detto che per una soluzione che vado ad implementare alla data di oggi vince lo stato dell’arte? Quindi è tutto chiaro…
 
Se la questione è chiara dal punto di vista tecnico / giuridico, non lo è affatto sotto il profilo pratico. Infatti le due norme basano il giudizio di idoneità sui sistemi di comando che svolgono funzioni di sicurezza una, la più anziana, sull’architettura del sistema (categorie di sicurezza), l’altra sulla affidabilità calcolata per il sistema (Performance Level – PL). Inoltre i grafici suggeriti per il calcolo, rispettivamente, della categoria o del PL sono caratterizzati da una “forma” diversa che rende la UNI EN 13849-1:2008 parecchio più cautelativa della precedente norma.
 
In pratica cosa può succedere? Io ho una macchina costruita, poniamo, nel 1994, quindi una macchina che ha i sistemi di comando legati alla sicurezza non conformi a nessuna delle due norme (a meno di casi particolarmente fortunati); nel 2002 ho deciso di vedere se la macchina era conforme e ho inserito dei ripari interbloccati per i quali la parte di comando è stata realizzata in conformità alla UNI EN 954-1:1998. Oggi mi rendo conto che posso migliorare ulteriormente la sicurezza aggiungendo altri ripari interbloccati. Questo probabilmente perché ho smesso di utilizzare certe funzionalità della macchina. Precisiamo che tutti i ripari interbloccati, vecchi e nuovi, se aperti con macchina in moto devono mandare la macchina in condizioni di emergenza. A questo punto che faccio? Le alternative sono:
1. le parti di sistemi di comando legate alla sicurezza che aggiungo le realizzo in conformità alla UNI EN 13849-1:2008. Risultato: un bel fritto misto. Se uso la stessa parte di azionamento del circuito di emergenza lo devo rifare secondo la nuova norma? Sono sicuro che mescolando vecchia norma e nuova norma in una situazione in cui ci sono parti di circuito comuni non combino qualche pasticcio?
2. Le parti fatte secondo UNI EN 954-1:1998 le lascio tali e se le devo espandere lo faccio secondo la stessa norma. Tutto ciò che è totalmente nuovo, invece, lo realizzo secondo UNI EN 13849-1:2008. Resta il problema del fritto misto …
3. Vengono realizzati i nuovi sistemi di comando rilevanti per la sicurezza, e rifatti quelli esistenti tutti secondo UNI EN 13849-1:2008
4. Anche i sistemi di comando relativi alla sicurezza di nuova introduzione vengono realizzati secondo UNI EN 954-1:1998
 
Quale è l’alternativa giusta? Sicuramente non la numero 1! In quel caso la possibilità di errore tecnico, la difficoltà della logica (anche in vista della manutenzione), e più in genere il buon senso sconsigliano assolutamente di perseguire questa strada: “non si mette una toppa nuova su un vestito vecchio”.
 
La alternativa numero 2 ha una sua valenza tecnica e formale, ma ci troveremo ad avere una macchina che per due problemi di sicurezza identici adotta due sistemi di sicurezza diversi caratterizzati da prestazioni di sicurezza sensibilmente diverse. Dovesse succedere qualcosa come lo giustifichiamo.
 
La terza alternativa ha decisamente senso dal punto di vista tecnico e giuridico. Visto che tecnicamente è opportuno rendere omogenee le soluzioni di sicurezza, decido di renderle omogenee allo stato dell’arte attuale. Quindi aggiorno alla nuova norma anche i sistemi di comando che svolgono funzioni di sicurezza già esistenti.
Ma, un attimo, non sarà invece che così comincio una corsa all’aggiornamento continuo di tutto ciò che ho in funzione della normativa esistente, creando le premesse per un sistema di continuo riesame tecnico della sicurezza delle mie macchine?
Non ci pare proprio che questo sia lo spirito della legge. Quindi affermiamo che questo approccio ha senso per risolvere quelle situazioni in cui sulla macchina che esaminiamo non ci sono sistemi di comando legati alla sicurezza, o quando quelli che ci sono risultano assolutamente obsoleti (quindi neanche conformi alla UNI EN 954-1:1998).
 
Invece nel caso descritto ci pare che la soluzione più sensata sia la quarta, ovvero appoggiarci sulla logica già implementata sulla macchina per estenderla anche a ciò che andiamo ad aggiungere. Così a nostro avviso otteniamo comunque un livello di sicurezza congruente con una macchina esistente, e non dobbiamo rifare cose che l’azienda aveva già implementato al massimo livello possibile (con riferimento al momento della implementazione).
 
Infine proviamo a tirare una conclusione organica. Ovviamente se oggi riscontriamo la possibilità di utilizzare accorgimenti tecnici di diverso tipo per adeguare o migliorare la sicurezza di una macchina, senza per questo renderla inutilizzabile, dobbiamo intervenire senza alcun dubbio. L’intervento tecnico deve partire dal considerare le migliori soluzioni possibili in virtù dello stato dell’arte. Detto questo dobbiamo verificare se non si pongano ostacoli sostanziali alla implementazione di tali soluzioni; tali ostacoli potrebbero essere di due tipi:
• la soluzione ideata di fatto ostacola gravemente il lavoro e quindi non è applicabile.
• la soluzione non è minimamente congruente con la impostazione generale della sicurezza della macchina.
 
In entrambi i casi ha senso percorrere strade alternative, a patto che il livello di sicurezza conseguito sia pari o comunque ragionevolmente simile. Tenendo anche conto dei vincoli tecnici determinati dal fatto che comunque stiamo ragionando in relazione a una macchina esistente.

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