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"Salute organizzativa e rischi psicosociali"
fonte www.puntosicuro.it / Salute
17/10/2012 -
L’abilità di un’organizzazione di competere con
efficacia richiede apertura all’ambiente esterno ed all’innovazione tecnologica
e culturale: l’organizzazione si mostra flessibile, aperta al cambiamento ed in
grado di adattarvisi considerando l’esterno come una risorsa per il proprio
miglioramento. Competere con efficacia richiede quindi creatività, innovazione
e rapido adattamento al mercato, alla ricerca ed alla società: capacità queste
legate all’uso ed al valore che l’organizzazione pone nella pratica, nel
talento, nelle competenze e nell’esperienza delle persone che vi lavorano. Le
aziende di successo sono quindi quelle che gestiscono con efficacia la
creazione e la condivisione delle abilità e delle conoscenze del personale,
anche attraverso percorsi di formazione, informazione, comunicazione,
partecipazione, fino a tradurle in risorsa intellettuale e in Salute. La
prospettiva della salute organizzativa si focalizza sia sul benessere del
lavoratore sia sulla prestazione finale dell’organizzazione, riconoscendo che
il benessere della persona ed il risultato in termini di efficacia della
prestazione organizzativa sono determinati da fattori sia individuali sia
organizzativi.
Definiamo Salute organizzativa come “l’insieme dei
nuclei culturali, dei processi e delle pratiche organizzative che animano la
convivenza nei contesti di lavoro promuovendo, mantenendo e migliorando il
benessere fisico, psicologico e sociale delle comunità lavorative” (Avallone e
Pamplomatas, 2006) e dell’organizzazione stessa.
La definizione dell’OMS del concetto di Salute come “stato di completo
benessere fisico, mentale e sociale non consistente solo in un’assenza di
malattia o infermità”, è stata ripresa dal D.Lgs. 81/08 quale premessa per la
garanzia di una tutela dei lavoratori anche nei confronti dei rischi psicosociali, ossia quegli
aspetti della progettazione del lavoro, della sua organizzazione e gestione, e
dei loro contesti sociali ed organizzativi, che hanno il potenziale di causare
danni psicologici o fisici. I rischi psicosociali rappresentano il potenziale
che le caratteristiche della situazione sociale ed organizzativa hanno di
produrre una diminuzione, o di impedire l’aumento, del benessere e della salute
delle persone. Tali rischi vengono definiti considerando alcune manifestazioni
di disagio: stress, burnout, mobbing, molestie e comportamenti negativi.
La valutazione
del rischio stress lavoro-correlato, introdotta dal D.Lgs. n.81/08 secondo i contenuti dell’Accordo europeo dell’8 ottobre
2004 ed obbligatoria per tutte
le aziende, è una valutazione sull’ organizzazione del lavoro quale agente potenziale di
generazione dei suddetti disagi.
STRESS
È definito come il fenomeno che ha luogo quando la
persona incontra eventi, o caratteristiche di eventi, percepiti come significativi
per il proprio benessere ed eccedenti le proprie capacità di farvi fronte. In
queste situazioni si genera uno stato di tensione psicologica, fisiologica e
comportamentale che può alla lunga, indurre conseguenze dannose o patologiche a
livello individuale ed organizzativo.
Lo stress non è una malattia ma una situazione di
prolungata tensione che può ridurre l’efficienza sul lavoro, determinando un
cattivo stato di salute come precisato dal suddetto Accordo europeo.
Per quanto riguarda la vita professionale, i
prevalenti fattori dello stress, cioè gli aspetti che possono condurre a
stress, si possono distinguere in:
Fattori centrati sulla persona tra i quali:
•
ruolo
- ambiguità di ruolo (aree di non chiarezza),
- conflitti di ruolo (la persona
riveste più ruoli tra di loro in conflitto es. ruoli professionali che
contrastano con il ruolo familiare oppure l’unico responsabile di due diverse
funzioni che hanno priorità tra loro spesso in contrasto),
- pressione di ruolo ed eccessiva
responsabilità;
• relazioni con gli altri (relazioni difficili ed assenza di supporto da
parte di colleghi e superiori);
• carriera (insicurezza lavorativa, fusioni ed acquisizioni, riduzione
delle spese e tagli al personale, immobilità occupazionale, promozioni ed
avanzamenti).
Fattori centrati sull’ambiente tra i quali:
• caratteristiche intrinseche al lavoro (fattori ambientali, rumore,
vibrazioni e temperatura, pressione lavorativa, orari di lavoro, nuove
tecnologie, esposizione a rischi e pericoli);
• condizioni e caratteristiche dell’organizzazione (numero dei
lavoratori, posizione occupata all’interno dell’organizzazione, trasferimenti
obbligatori);
• clima e cultura organizzativa (ad es. la possibilità di partecipare ai
processi decisionali, la natura ed il contenuto della comunicazione tra i
lavoratori, il senso di appartenenza all’organizzazione).
Lo stress può alla lunga, indurre conseguenze
dannose e patologiche sia a livello individuale che organizzativo.
Le conseguenze dello stress sull’individuo possono
essere:
• fisiologiche: modifiche in diversi sistemi
fisiologici: ormonale, circolatorio, digestivo, cardiovascolare. Queste
modifiche possono causare patologie quali ad es. ulcere, disfunzioni ormonali,
cardiopatie, ipertensione;
• psicologiche: insoddisfazione lavorativa, ansia;
• psicosomatiche: disturbi degli apparati
cardiocircolatorio, digerente ed osteo-articolare quali ad es. coronaropatie e
ipertensione, gastroenteropatie, allergopatie, disturbi
muscoloscheletrici, sintomatologie irritative e dolorose varie;
• comportamentali: comportamenti con i quali la
persona si difende dallo stress e allo stesso tempo scarica la tensione
accumulata; ad es. comportamenti aggressivi, carenze nella prestazione,
disturbi dell’alimentazione, comportamenti a rischio per la salute (quali
consumo elevato di tabacco, alcol, droghe), comportamenti che compromettono le
relazioni sociali con coniugi, familiari, amici e colleghi, distrazioni, cali
nell’attenzione).
Le conseguenze dello stress sull’organizzazione
possono riguardare:
• la prestazione: inferiore;
• assenteismo, turnover, ritardi sul lavoro, assenza
psicologica.
BURNOUT
Definito come stress cronico, comporta
l’esaurimento emozionale e psicofisico dell’individuo.
Il termine compare per la prima volta negli anni
’30 nel gergo sportivo, a indicare il fenomeno per il quale un atleta, dopo
alcuni anni di successi, si esaurisce (si brucia) e non è più in grado di
competere agonisticamente. Dagli anni ’70 questo vocabolo entra nella
terminologia dell’ambito lavorativo, in particolare con riferimento alle
professioni di aiuto (cioè le professioni in cui ci si prende cura degli altri,
ad es. operatori sanitari, psicologi, insegnanti, poliziotti, ecc.).
Recentemente soprattutto a seguito di alcune importanti evidenze scientifiche,
si è iniziato a parlarne anche per altri tipi di professione: il burnout è
diventato una patologia comportamentale a carico di tutte le professioni ad
elevata implicazione relazionale.
Quando si parla di burnout, si fa riferimento ad
una sindrome ovvero ad una costellazione di sintomi e di segni quali ad
esempio:
-
affaticamento fisico ed emotivo,
-
atteggiamento distaccato e apatico nei rapporti
interpersonali,
-
sentimento di frustrazione dovuto alla mancata
realizzazione delle proprie aspettative professionali,
-
perdita della capacità di controllo rispetto alla
propria attività professionale, conseguente riduzione del senso critico ed
errata attribuzione di valenza alla sfera lavorativa,
-
particolari stati d’animo (ansia, irritabilità,
esaurimento fisico, panico, agitazione, senso di colpa, atteggiamenti negativi,
ridotta autostima, empatia e capacità d’ascolto),
-
somatizzazioni (emicrania, sudorazioni, insonnia,
disturbi gastrointestinali ecc.),
-
reazioni comportamentali (assenze o ritardi
frequenti, distacco emotivo, ridotta creatività, ecc.).
Il lavoratore continua ad andare al lavoro,
mostrando crisi d’identità, sentimenti di impotenza a risolvere i problemi,
consumo delle illusioni professionali in precedenza elaborate creativamente: le
risposte difensive si esprimono senza mediazioni sino ai limiti tollerabili
dall’organizzazione.
MOBBING
Il termine mobbing
deriva dall’inglese “to mob” originalmente utilizzato per descrivere
l’aggressione animale ed il comportamento del branco. Il mobbing è una forma di
aggressione psicologica e morale sul lavoro, che viene agita in modo prolungato
nel tempo, che può essere più o meno intenzionale, svolta da uno o più
aggressori e tali azioni negative tendono a spingere la persona nella
condizione di non potersi difendere e all’isolamento ed espulsione dal contesto
lavorativo.
Il mobbing non si riferisce a eventi singoli ed
isolati, ma a comportamenti che sono persistentemente e ripetutamente condotti
nei riguardi di una o più persone. Sono mobbing quegli eventi negativi ed
aggressivi che si ripetono almeno una volta alla settimana e per un’esposizione
superiore a sei mesi.
Sono state individuate alcune principali tipologie
di comportamenti mobbizzanti:
-
cambiamento degli incarichi o delle mansioni
lavorative della vittima in modo negativo, compresi i casi in cui le attività
vengono rese più difficili e meno piacevoli da eseguire,
-
isolamento sociale indotto tramite la mancanza di
comunicazione e l’esclusione dagli eventi sociali,
-
attacchi personali o riguardanti la sfera privata
condotti insultando, ridicolizzando o comportamenti simili,
-
minacce verbali tramite le quali una persona viene
criticata o umiliata in pubblico,
-
diffusione di dicerie riguardanti la vittima,
-
episodi di violenza fisica o minaccia di tale violenza,
-
attacchi alle credenze politiche o religiose della
vittima.
Tutti questi comportamenti che possono essere
comuni in ambienti di lavoro, se condotti sistematicamente, sono in grado di
costituire una notevole fonte di stress, ridurre le capacità della vittima di
fronteggiare tali situazioni, portare di conseguenza a dolore e danni di
diverso tipo.
Oltre a stress, burnout, mobbing, violenze sul
lavoro, l’Agenzia Europea per la Salute e la Sicurezza sul Lavoro (2007) ha
individuato alcuni rischi psicosociali emergenti, nuovi e in aumento, per la
salute e la sicurezza sul lavoro:
-
contratti precari in un ambito di lavoro instabile,
-
maggiore vulnerabilità dei lavoratori nel contesto
della globalizzazione,
-
nuove forme contrattuali,
-
sensazione di insicurezza del posto di lavoro,
-
forza lavoro che invecchia,
-
lunghe ore di lavoro,
-
intensificazione del lavoro,
-
produzione snella ed outsourcing,
-
elevato coinvolgimento emotivo sul lavoro,
-
scarso equilibrio tra vita privata e lavoro.
LAVORATORI IMMIGRATI
Il Decreto Legislativo n. 81/2008 “Testo Unico in materia di sicurezza e salute nei
luoghi di lavoro” propone un sistema di gestione (preventivo e
permanente) della sicurezza e della salute in ambito lavorativo, prevedendo
l’
uniformità della tutela dei lavoratori e delle lavoratrici sul
territorio nazionale attraverso il rispetto dei livelli essenziali delle
prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, anche riguardo alle
differenze di genere, età ed alla condizione delle lavoratrici e dei lavoratori immigrati.
Vorrei soffermarmi su quest’ultimo punto.
L’estrema vulnerabilità, la “debolezza” nel
contrattare un lavoro che risponda a desideri perché prima di tutto deve
rispondere a bisogni primari, la non realizzazione nel lavoro come espressione
del proprio essere, la sovra-qualificazione rispetto alla mansione svolta
significativamente superiore rispetto ai lavoratori italiani, la precarietà del
lavoro e la necessità di adeguarsi a quello che si trova, le difficoltà nelle
relazioni con i colleghi italiani soprattutto all’inizio per la non conoscenza
della lingua e successivamente per la “diffidenza, ostilità e chiusura”
culturale che trovano ancora in molti italiani, il non equilibrio tra vita
privata e lavorativa (si pensi alle badanti), le situazioni di vita
extralavorativa di grande precarietà, sono caratteristiche che
contraddistinguono i lavoratori immigrati
presupponendo già in partenza condizioni di svantaggio.
Collocati principalmente gli immigrati uomini nel
settore dell’edilizia, dell’agricoltura, dell’industria e dell’artigianato e le
immigrate donne nelle attività di domestiche a ore, fisse, di assistenti
domiciliari, di addette alla ristorazione, si può ulteriormente ben capire la
condizione di partenza svantaggiata che solo in alcuni casi si trasforma in
percorsi di carriera capaci di produrre soddisfazione lavorativa.
Tra le principali cause degli infortuni tra i
lavoratori stranieri, vi sono la maggiore incidenza di fattori di rischio
legati all’organizzazione (orari prolungati, turni senza riposo, lavoro
continuo ad alta concentrazione), il difficile accesso ai sistemi di cura, la
maggiore fragilità e disponibilità ad accettare mansioni più umili e
pericolose, la ricattabilità nel senso che i lavoratori stranieri tollerano
livelli di molestie morali spesso impensabili per quelli italiani, la scarsa
conoscenza dei diritti, le notevoli differenze nella percezione del rischio,
i problemi di comprensione linguistica, le difficoltà nella
formazione/informazione.
Interessanti
sono anche i dati emersi dal lavoro della Caritas di Roma in collaborazione con
il Focal Point dell’ISS presentati a Roma nel febbraio 2012: oltre 7 stranieri
su 10 nel nostro paese vivono in condizioni di grave disagio, oltre a soffrire
di un disturbo post-traumatico da stress più del 10% di essi.
Vi
è nella popolazione immigrata una sofferenza psichica, legata allo sradicamento
ed alla solitudine, che può riflettere forti disagi materiali capaci di far
ammalare anche il corpo.
Il
disturbo post-traumatico da stress fa sì che la persona viva “in uno stato
emotivo di forte allarme, con pensieri intrusivi e ricorrenti delle esperienze
traumatiche vissute, difficoltà a concentrarsi, insonnia, incubi, tendenza a isolarsi
per paura di subire nuove violenze, dolori e altri sintomi somatici su base
psicologica. Le persone in questo stato hanno grandi difficoltà nella vita
quotidiana; non riuscendo a concentrarsi non riescono ad apprendere e possono
avere difficoltà sul lavoro, nei casi più gravi sono così spaventati che
possono addirittura non andare in questura a presentare la domanda per il
riconoscimento del loro status di rifugiato (ad es. perché la vista di una
persona in divisa gli ricorda violenze subite in patria da uomini in divisa).
Si comprende come queste persone siano persone vulnerabili da proteggere e
curare, altrimenti possono avere serissime difficoltà a integrarsi nel tessuto
della nostra società” (Aragona Massimiliano, psichiatra del progetto Caritas).
Oltre
al grave disagio, alla sofferenza psichica legata allo sradicamento dal
contesto di vita originario ed alla solitudine, al disturbo post-traumatico da
stress, si aggiungono le difficoltà di vita post-migratorie capaci di far
insorgere o peggiorare i sintomi del disagio psicologico, ossia difficoltà
sociali, lavorative, abitative, di accesso alla salute, di discriminazione e
quelle legate alla preoccupazione per le famiglie rimaste nel paese d’origine.
Interessante, nel quadro della sofferenza psicologica, evidenziare anche come
nella popolazione immigrata di Roma, si stia diffondendo l’uso di prodotti
cosmetici “sbiancanti”.
Se l’accordo europeo del 2004, i cui contenuti sono
stati ripresi nel D. Lgs. n. 81/2008, precisa che lo stress non è una malattia
ma una situazione di prolungata tensione che può ridurre l’efficienza sul
lavoro e determinare un cattivo stato di salute e che lo stress che ha origine
fuori dall’ambito di lavoro, che può condurre a cambiamenti nel comportamento e
ad una ridotta efficienza sul lavoro, non può essere considerato come stress
lavoro-correlato, difficile progettare una valida valutazione dello stress
lavoro-correlato per i lavoratori
stranieri. O meglio è facile comprendere come una valutazione dei rischi
anche in termini di stress lavoro-correlato per i lavoratori immigrati, incontri
problematiche uniche. In un paese civile dove i valori dell’inclusione sociale
e dell’integrazione culturale si stanno radicando entrando a far parte della
cultura, dove è notevole lo sforzo di mettere in atto interventi e
strategie capaci di favorire l’adattamento e l’integrazione dello straniero
nella nostra società, dove l’immigrato
viene percepito sempre più come risorsa, si avverte la necessità di procedere
ad una valutazione del rischio stress lavoro-correlato ponendo particolare
attenzione alle peculiari problematiche di cui sono portatori i lavoratori stranieri.
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