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"L’estinzione di una sanzione ex D. Lgs. n. 231 per fallimento"
fonte www.puntosicuro.it / Normativa
21/01/2013 -
Un’altra sentenza della Corte di Cassazione
sull’applicazione del D. Lgs. 8/6/2001 n. 231 sulla responsabilità
amministrativa degli enti abbastanza interessante per le conclusioni alle
quali è pervenuta la suprema Corte anche se i reati oggetto della sentenza non
hanno riguardato direttamente il delitto di omicidio colposo o di lesioni gravi
e gravissime connessi a violazioni di norme sulla tutela della salute e della
sicurezza sul lavoro. Il fallimento di una società, secondo la Corte di
Cassazione, non è equiparabile alla morte del reo e quindi non determina
l’estinzione della sanzione amministrativa prevista dal D. Lgs. n. 231/01. In
base a questo principio la Corte suprema ha annullata la sentenza emessa da un
Tribunale che aveva dichiarato il non luogo a procedere nei confronti di una
società in ordine ai reati alla stessa ascritti essendo stato ritenuto
l’illecito amministrativo estinto per sopravvenuto fallimento della società
medesima.
Il caso
e la sentenza del Tribunale
Una società in fallimento è stata imputata degli illeciti
amministrativi previsti dagli articoli 5 e 25-ter lett. S del D. Lgs.
08/06/2001 n. 231, in relazione alla commissione di alcuni delitti commessi
nell'interesse ed a vantaggio della società da una persona che, al momento del
fatto, rivestiva le funzioni di rappresentanza della società, quale
amministratore di diritto. Il giudice per l'udienza preliminare del Tribunale
aveva dichiarato il non luogo a procedere nei confronti della società in ordine
ai reati alla stessa ascritti perché l'illecito amministrativo sarebbe stato
considerato estinto per sopravvenuto fallimento della società stessa. Lo stesso
Gup, con approfondite motivazioni, aveva ritenuto che il fallimento della
società fosse in qualche modo assimilabile alla morte del reo e dunque
comportasse l'estinzione del reato in quanto, privando la dichiarazione di
fallimento il soggetto fallito di ogni potere in relazione al suo patrimonio,
la società entra in una fase di pressoché definitiva inattività, equiparabile,
quanto agli effetti, alla morte della persona fisica. Il Gup aveva inoltre
osservato che il curatore fallimentare è un soggetto terzo rispetto alla
società e sarebbe stato irragionevole comminare una sanzione ad un soggetto
diverso rispetto a quello nel cui interesse o vantaggio era stato commesso il
reato presupposto della responsabilità
amministrativa.
Il
ricorso alla Corte di Cassazione e le motivazioni
Contro la sentenza del GUP hanno proposto ricorso per cassazione i
pubblici ministeri del Tribunale per violazione di legge nonché per
contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione. Gli stessi pubblici
ministeri hanno fatto osservare che la società commerciale non si estingue con
la dichiarazione di fallimento, determinando la stessa esclusivamente lo
scioglimento della società, e che gli organi societari permangono durante la
procedura concorsuale e conservano alcune funzioni pur privati dei poteri
amministrativi. Gli stessi hanno sostenuto ancora che l'estinzione della
società consegue esclusivamente alla sua cancellazione dal registro delle imprese,
che il curatore ha l'onere di richiedere solo in caso di chiusura per riparto
finale o per insufficienza dell'attivo e che è necessario, inoltre, tenere
conto del fatto che la società è una persona giuridica e che la sanzione è
irrogata nei confronti dell'ente e non nei confronti del soggetto che la
rappresenta e quindi, una volta irrogata la sanzione pecuniaria, ben si potrà
pretendere il pagamento della stessa insinuandosi allo stato passivo.
Il curatore fallimentare, da parte sua, ha depositato una memoria
con la quale ha chiesto il rigetto del ricorso presentato dai pubblici
ministeri del Tribunale e nella quale ha sostenuto che sarebbe del tutto
inspiegabile applicare una sanzione pecuniaria od interdittiva nei confronti di
una società non più operativa e che comunque, trattandosi di una sanzione
amministrativa non vi sarebbe trasmissione agli eredi dell'obbligo di pagamento
ai sensi dell'art. 7 l del D. Lgs. n. 689/81, facendo rilevare altresì che
l'applicazione della sanzione al curatore fallimentare non avrebbe colpito il
soggetto autore dell'illecito, ma un soggetto terzo incolpevole. Inoltre il
curatore ha fatto osservare di essere dinnanzi nel D. Lgs. n. 231/2001 ad una
lacuna legislativa non essendo nello stesso prevista l’ipotesi del fallimento
di una società.
Le
decisioni della suprema Corte di Cassazione
La Corte di Cassazione ha ritenuto fondato il ricorso dei pubblici
ministeri e per l’occasione ha esaminato la questione relativa alla ritenuta
equiparazione da parte del Tribunale del fallimento di una società con la morte
di una persona fisica. La Sez. V, in merito a quanto sostenuto dal Tribunale
circa la configurazione nel fallimento di una società di una ipotesi di
estinzione degli illeciti contestati, ha posto in evidenza come una simile
causa di estinzione non sia prevista dalla D. Lgs. n. 231/2001 che invece
indica espressamente come causa di estinzione della responsabilità dell'ente la
prescrizione per decorso del termine di legge e prevede altresì la
improcedibilità nei confronti dell'ente quando sia intervenuta amnistia in
relazione al reato presupposto. In linea con quanto sostenuto dai ricorrenti,
inoltre, la suprema Corte ha messo in evidenza che solo quando la cessazione
della attività commerciale sia formalizzata con la cancellazione dal registro
delle imprese possono ritenersi cessati gli obblighi di legge a carico
dell'ente e che in caso di fallimento, rimanendo nella sua disponibilità, la
società resta titolare dei suoi beni fino al momento della vendita
fallimentare.
In merito alla sostanziale difformità tra il fallimento di una
società e la morte di una persona fisica la suprema Corte ha espresse, altresì,
delle considerazioni generali paragonando, per semplificare, il fallimento di
una impresa ad un malato grave, la cui morte è altamente probabile, ma non
certa nel se e nel quando per cui, fino al momento della morte effettiva del
soggetto, non è possibile dichiarare l'estinzione del reato solo perché il
decesso è, in un futuro non lontano, altamente probabile. Solo la morte
effettiva della persona fisica comporta l'estinzione del reato e dunque solo
l'estinzione definitiva dell'ente può eventualmente determinare gli stessi
effetti sulla sanzione di cui al giudizio.
“
A seguito del fallimento”,
ha ancora aggiunto la Sez. V, “
la società
non cambia, ma viene esclusivamente sottoposta a una liquidazione di tipo
concorsuale ad opera di un pubblico ufficiale e sotto il controllo
dell'autorità giudiziaria. Non è legittima, pertanto, una interpretazione a
contrario, che ritiene di desumere dalla mancata contemplazione del fallimento
negli articoli suddetti la sua esclusione dalla punibilità” ed ha sostenuto
inoltre che “
il giudice non può certo disapplicare la norma punitiva solo perché in
concreto pregiudizievole per gli interessi dei creditori” e che “
d'altronde, una volta irrogata la sanzione
lo Stato diventa egli stesso un legittimo creditore concorrente, al pari degli
altri (anzi, come si è visto, un concorrente privilegiato)”.
In merito poi alle considerazioni relative alla mancata
trasmissibilità agli eredi dell'obbligo di pagamento della sanzione
amministrativa, ai sensi dell'art. 7 della legge 689/1981 la suprema Corte ha
sostenuto che il fallimento non determina alcuna successione e non ha
personalità giuridica propria e cioè non è un soggetto che succede all'impresa
societaria ma è solo una procedura che assume la gestione liquidatoria
dell'ente per il tempo strettamente necessario alla soddisfazione concorsuale
dei creditori. Non c'è quindi alcuna successione, tanto che per le sanzioni
amministrative irrogate nei confronti dell'ente è più che legittima
l'insinuazione al passivo, né risulta che sia mai stata dichiarata in passato
l'estinzione dell'obbligo di pagamento della sanzione
amministrativa in caso di fallimento.
La Corte di Cassazione, in conclusione, ha accolto il ricorso dei
pubblici ministeri del Tribunale ed ha annullata di conseguenza la sentenza
impugnata disponendo il rinvio al giudice di primo grado (ufficio GUP) per una
nuova valutazione in ordine al rinvio a giudizio con la raccomandazione di
attenersi al principio di diritto in base al quale “
il fallimento della società non è equiparabile alla morte del reo e
quindi non determina l'estinzione della sanzione amministrativa prevista dal
decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231".
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