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"Condannato un Medico Competente per omessa collaborazione alla VdR"
fonte www.puntosicuro.it / Normativa
24/01/2013 - Pochi
giorni fa è stata emessa dalla Cassazione Penale una sentenza
(Cass. Pen. 15 gennaio 2013, n. 1856)
che ha confermato la condanna, applicata in primo grado dal Tribunale di Pisa
(con la nota
sentenza Trib Pisa, Sez. Pen., 7 dicembre 2011 n.
1756), di un medico
competente per omessa collaborazione alla valutazione dei rischi, cioè per
il reato contravvenzionale previsto dall’art. 25 c. 1 lett. a) del D.Lgs.
81/08.
Questa pronuncia è di rilevante importanza perché, come noto, l’obbligo
di collaborare alla valutazione dei rischi in capo al medico competente è un
obbligo molto “giovane” in termini anagrafici, nel senso che è stato introdotto
solo nel 2008 dal decreto 81 e che, elemento di non secondaria importanza,
ancora più recente è l’introduzione da parte del legislatore della relativa
sanzione penale (dell’arresto o dell’ammenda) che risale all’anno successivo ad
opera del decreto correttivo 106.
Dunque stiamo assistendo alla vera e propria “costruzione”, passo dopo
passo, di una giurisprudenza che, di sentenza in sentenza - a partire dalla prima pronuncia in materia,
emessa dal Tribunale di Pisa il
13 aprile
2011 n. 399, passando attraverso la seconda pronuncia, sempre del Tribunale
di Pisa, del
7 dicembre 2011, fino ad
arrivare a questa decisione della Cassazione in commento, che è la prima
sentenza di legittimità in materia, ovviamente per quanto ci risulti - sta
muovendo i primi ragionamenti sul contenuto dell’obbligo
del medico competente di collaborare alla valutazione dei rischi.
Esaminiamo a questo punto il caso di specie e, a seguire, le parole della
Cassazione.
In primo grado, l’imputata era stata condannata dal Tribunale di Pisa -
per il reato su ricordato - nella sua
qualità di medico competente di un’azienda esercente l'attività di
conservazione, immagazzinamento e commercio di pellami. Il sopralluogo effettuato
dall’ASL aveva evidenziato
“la presenza
di fattori di rischio rappresentati: 1) dal rischio biologico … 2) dal rischio
di scivolamento … 3) dal rischio di inalazione dei gas di scarico prodotti dai
carrelli elevatori … 4) dal rischio di cadute dall'alto …”.
A livello documentale, di fronte alla richiesta dell’ASL di esibire il
documento di valutazione dei rischi il datore di lavoro aveva prodotto invece
una semplice autocertificazione e non era stato
“in grado di documentare - mediante referti di analisi, predisposizione
di misure sanitarie ecc. - che quei rischi fossero stati effettivamente
individuati e controbilanciati con idonee misure.”
Successivamente, l’ottemperanza alla prescrizione risultava inadeguata.
Veniva poi tardivamente adempiuto dall’imputata (con una integrazione
documentale) all’obbligo di collaborare alla
valutazione dei rischi
“che le
incombeva” – sottolinea il Tribunale -
“invece
fino ab origine.”
L’imputata ricorre in Cassazione facendo presente, sostanzialmente, che a
suo parere “il generico riferimento del dato normativo al dovere di
collaborazione del “medico competente” con il datore di lavoro presuppone un
compito ausiliario ed accessorio, essendo il medico privo di poteri coercitivi
sull'obbligato principale (datore di lavoro o responsabile della sicurezza),
cosicché l'ambito di imputazione di responsabilità deve essere delimitato
tenendo conto di tale particolare posizione che gli impedisce di sostituirsi
all'obbligato principale e non prevede alcun obbligo di denuncia o segnalazione
alle autorità preposte.”
La Suprema Corte rigetta il ricorso. Vediamo sinteticamente con quali
argomentazioni.
Una volta richiamata la definizione di “medico competente” contenuta
nell’art. 2 c. 1 lett. h) del D.Lgs. 81/08 e premesso che
“l’attività di collaborazione del “medico competente”, già prevista
dall’ormai abrogato art. 17 d.lgs. 626/1994 [sulla predisposizione
dell'attuazione delle misure per la tutela della salute, n.d.r.]… è stata
ampliata dal d.lgs. 81/2008”, la Corte ci ricorda che
“originariamente, per la violazione degli obblighi di collaborazione
non era prevista alcuna sanzione penale, introdotta successivamente con l’art.
35, comma 1 del d.lgs. 106/2009 che ha modificato l’art. 58 del d.lgs.
81/2008”.
E, riallacciandosi alle osservazioni già
fatte dal Tribunale di Pisa, riconosce che
“la introduzione della sanzione penale ad
opera del d.lgs. 106/2009 riguarda, peraltro […] il solo “medico competente”,
mentre resta sottratto alla sanzione penale per mancata collaborazione il responsabile del servizio di prevenzione
e protezione cui pure è demandato un ruolo ausiliario”, circostanza che la Corte definisce una
“evidente disparità di trattamento di
situazioni analoghe”.
Affrontando poi
uno dei nodi centrali della questione, la Cassazione precisa che al medico
competente “
non è affatto richiesto
l'adempimento di un obbligo altrui quanto, piuttosto, lo svolgimento del
proprio obbligo di collaborazione, espletabile anche mediante l'esauriente
sottoposizione al datore di lavoro dei rilievi e delle proposte in materia di
valutazione dei rischi che coinvolgono le sue competenze professionali in
materia sanitaria. Viene così delimitato l'ambito degli obblighi imposti dalla
norma al “medico competente”, adempiuti i quali, l'eventuale ulteriore inerzia
del datore di lavoro resterebbe imputata a sua esclusiva responsabilità penale
a mente dell'art. 55, comma 1. lett. a) d.lgs. 81/2008.”
La Cassazione si
sofferma a questo punto sul tema della necessità di una “
adeguata individuazione del ruolo assegnato al “medico competente”
nell'ambito dell'organizzazione aziendale”.
Nel definire tale ruolo, la Corte richiama
la giurisprudenza di legittimità secondo cui la competenza del medico
competente riguarda
“sia la valutazione delle
condizioni di salute, avuto riguardo alle sostanze cui il lavoratore è esposto,
sia la coadiuvazione del datore di lavoro/dirigente, tenendo conto dell'esito
delle visite effettuate, nella individuazione dei rimedi, anche di quelli
dettati dal progresso della tecnica, da adottare contro le sostanze tossiche o
infettanti o comunque nocive, escludendo, così, una posizione meramente
esecutiva ed attribuendo al “medico competente” un ruolo propulsivo che
determinava, quale conseguenza, l'assunzione di una autonoma posizione di
garanzia in materia sanitaria (Sez. IV n. 5037, 6 febbraio 2001).”
La Cassazione
richiama poi anche una sentenza successiva secondo la quale
“il medico aziendale è un collaboratore
necessario del datore di lavoro, dotato di professionalità qualificata per
coadiuvarlo nell'esercizio della sorveglianza
sanitaria nei luoghi di lavoro dove essa è obbligatoria, aggiungendo che la
sorveglianza sanitaria, pur costituendo un obbligo per il datore di lavoro per
la tutela dell'integrità psicofisica dei lavoratori, deve essere svolta
attraverso la collaborazione professionale del medico aziendale (Sez. IlI n .
1728, 21 gennaio 2005).”
Collegandosi poi
al ruolo dell’RSPP, la Corte aggiunge:
“del
resto, il ruolo di consulente del datore di lavoro è stato attribuito anche al
responsabile del servizio di prevenzione e protezione in tale specifica
materia, osservando che lo stesso, sebbene privo di capacità immediatamente
operative sulla struttura aziendale, svolge il compito di prestare “ausilio” al
datore di lavoro nella individuazione e segnalazione dei fattori di rischio
delle lavorazioni e nella elaborazione delle procedure di sicurezza, nonché di
informazione e formazione dei lavoratori come disposto dall'articolo 33 del
d.lgs. 81/2008”, con tutto quanto ne consegue in termini di potenziale ed
eventuale responsabilità di tale soggetto - concorrente con quella del datore
di lavoro - a seguito di infortunio (la Cassazione cita qui, una per tutte,
Sez. IV n. 2814, 27 gennaio 2011).
E conclude sul
punto la Corte:
“deve dunque ritenersi
corretta la funzione consultiva attribuita al “medico competente” nell'ambito
del rapporto di collaborazione che la legge gli attribuisce ma una eccessiva
delimitazione di tale ruolo nei termini indicati in ricorso non può ritenersi
corretta.”
Questo perché,
secondo la Corte:
-
“la valutazione dei rischi […] è attribuita dall'art. 29 del medesimo
d.lgs. al datore di lavoro, per il quale costituisce, ai sensi dell'art. 17, un
obbligo non delegabile”;
-
“l'espletamento di tali compiti da parte del “medico competente” comporta
una effettiva integrazione nel contesto aziendale e non può essere limitato, ad
avviso del Collegio, ad un ruolo meramente passivo in assenza di opportuna
sollecitazione da parte del datore di lavoro, anche se il contributo propulsivo
richiesto resta limitato alla specifica qualificazione professionale”;
-
“l'importanza del ruolo sembra essere stata riconosciuta dallo stesso
legislatore il quale, nel modificare l'originario contenuto dell'art. 58, ha
introdotto la sanzione penale solo con riferimento alla valutazione dei
rischi”;
-
“l'ambito della responsabilità penale resta confinato nella violazione
dell'obbligo di collaborazione che, come si è detto, comprende anche
un'attività propositiva e di informazione che il medico deve svolgere con
riferimento al proprio ambito professionale ed il cui adempimento può essere
opportunamente documentato o comunque accertato dal giudice del merito caso per
caso.”
Per quanto
riguarda infine la sussistenza dell’obbligo del medico competente di
collaborare alla valutazione dei rischi in caso di inerzia del datore di lavoro
il quale non avvii la procedura stessa di valutazione dei rischi, la Cassazione
avvalora quanto detto dal Tribunale di Pisa, secondo cui
“in tema di valutazione dei rischi, il “medico competente” assume
elementi di valutazione non soltanto dalle informazioni che devono essere
fornite dal datore di lavoro, quali quelle di cui all'art. 18, comma 2, ma
anche da quelle che può e deve direttamente acquisire dì sua iniziativa, ad
esempio in occasione delle visite agli ambienti di lavoro di cui all'art. 25,
lettera i) o perché fornitegli direttamente dai lavoratori sottoposti a
sorveglianza sanitaria o da altri soggetti.”
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