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"Infortuni da mancato uso di DPI e risarcimento del danno morale"
fonte www.insic.it / Sicurezza
26/02/2013 - Nella sentenza n. 2512 del 4 febbraio 2013,la Cassazione si sofferma sul
risarcimento del danno biologico e morale di un lavoratore
infortunatosi ad un occhio, a seguito di un incidente sul lavoro dovuto
al mancato uso dei dispositivi di protezione.
La Corte accerta che il danno morale rappresentato dalle inevitabili conseguenze pregiudizievoli scaturite della perdita di un occhio, è imputabile alla società datrice di lavoro, che quindi doveva risarcire il danno a causa delle sue accertate colpevoli omissioni nel rispetto delle norme antinfortunistiche.
La Corte ricorda che già con precedente sentenza n. 14507 dell'1/7/2011 si era chiarito che "la domanda proposta dal lavoratore contro il datore di lavoro volta a conseguire il risarcimento del danno sofferto per la mancata adozione, da parte dello stesso datore, delle misure previste dall'art. 2087 cod. civ., non ha natura previdenziale perché non si fonda sul rapporto assicurativo configurato dalla normativa in materia, ma si ricollega direttamente al rapporto di lavoro, dando luogo ad una controversia di lavoro disciplinata quanto agli accessori del credito dall'art. 429 cod. proc. civ., comma 2. Ne consegue che non opera il divieto di cumulo di interessi e rivalutazione stabilito per i crediti previdenziali dalla L. n. 412 del 1991, art. 16, comma 6".
E per quanto riguarda le violazioni antinfortunistiche, la Corte conferma l'impostazione tradizionale che vede responsabile il datore di lavoro, in caso di violazione delle norme poste a tutela dell'integrità fisica del lavoratore. Il datore di lavoro non può invocare il concorso di colpa del danneggiato, avendo egli il dovere di proteggere l'incolumità di quest'ultimo, anche in caso di una sua imprudenza o negligenza. Da ciò ne consegue che la condotta imprudente di un lavoratore, va addebitata al datore di lavoro, il quale, dando l'ordine di eseguire un'incombenza lavorativa pericolosa, determina l'unico efficiente fattore causale dell'evento dannoso.
Inoltre, il Collegio precisa che le norme dettate in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, sono dirette a tutelare il lavoratore non solo dagli incidenti derivanti dalla sua disattenzione, ma anche da quelli ascrivibili ad una sua imperizia, negligenza ed imprudenza, con la conseguenza che il datore di lavoro è sempre responsabile dell'infortunio occorso al lavoratore, sia quando ometta di adottare le idonee misure protettive, sia quando non accerti e vigili che di queste misure venga fatto effettivamente uso da parte del dipendente, non potendo attribuirsi alcun effetto esimente, per l'imprenditore, all'eventuale concorso di colpa del lavoratore, la cui condotta può comportare l'esonero totale del medesimo imprenditore da ogni responsabilità solo quando presenti i caratteri dell'abnormità, inopinabilità ed esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo ed alle direttive ricevute, così da porsi come causa esclusiva dell'evento, essendo necessaria, a tal fine, una rigorosa dimostrazione dell'indipendenza del comportamento del lavoratore dalla sfera di organizzazione e dalle finalità del lavoro, e, con essa, dell'estraneità del rischio affrontato a quello connesso alle modalità ed esigenze del lavoro da svolgere.
La Corte accerta che il danno morale rappresentato dalle inevitabili conseguenze pregiudizievoli scaturite della perdita di un occhio, è imputabile alla società datrice di lavoro, che quindi doveva risarcire il danno a causa delle sue accertate colpevoli omissioni nel rispetto delle norme antinfortunistiche.
La Corte ricorda che già con precedente sentenza n. 14507 dell'1/7/2011 si era chiarito che "la domanda proposta dal lavoratore contro il datore di lavoro volta a conseguire il risarcimento del danno sofferto per la mancata adozione, da parte dello stesso datore, delle misure previste dall'art. 2087 cod. civ., non ha natura previdenziale perché non si fonda sul rapporto assicurativo configurato dalla normativa in materia, ma si ricollega direttamente al rapporto di lavoro, dando luogo ad una controversia di lavoro disciplinata quanto agli accessori del credito dall'art. 429 cod. proc. civ., comma 2. Ne consegue che non opera il divieto di cumulo di interessi e rivalutazione stabilito per i crediti previdenziali dalla L. n. 412 del 1991, art. 16, comma 6".
E per quanto riguarda le violazioni antinfortunistiche, la Corte conferma l'impostazione tradizionale che vede responsabile il datore di lavoro, in caso di violazione delle norme poste a tutela dell'integrità fisica del lavoratore. Il datore di lavoro non può invocare il concorso di colpa del danneggiato, avendo egli il dovere di proteggere l'incolumità di quest'ultimo, anche in caso di una sua imprudenza o negligenza. Da ciò ne consegue che la condotta imprudente di un lavoratore, va addebitata al datore di lavoro, il quale, dando l'ordine di eseguire un'incombenza lavorativa pericolosa, determina l'unico efficiente fattore causale dell'evento dannoso.
Inoltre, il Collegio precisa che le norme dettate in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, sono dirette a tutelare il lavoratore non solo dagli incidenti derivanti dalla sua disattenzione, ma anche da quelli ascrivibili ad una sua imperizia, negligenza ed imprudenza, con la conseguenza che il datore di lavoro è sempre responsabile dell'infortunio occorso al lavoratore, sia quando ometta di adottare le idonee misure protettive, sia quando non accerti e vigili che di queste misure venga fatto effettivamente uso da parte del dipendente, non potendo attribuirsi alcun effetto esimente, per l'imprenditore, all'eventuale concorso di colpa del lavoratore, la cui condotta può comportare l'esonero totale del medesimo imprenditore da ogni responsabilità solo quando presenti i caratteri dell'abnormità, inopinabilità ed esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo ed alle direttive ricevute, così da porsi come causa esclusiva dell'evento, essendo necessaria, a tal fine, una rigorosa dimostrazione dell'indipendenza del comportamento del lavoratore dalla sfera di organizzazione e dalle finalità del lavoro, e, con essa, dell'estraneità del rischio affrontato a quello connesso alle modalità ed esigenze del lavoro da svolgere.
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