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"Contratti di noleggio: l’obbligo di manutenzione dell’attrezzatura"
fonte www.puntosicuro.it / Normativa
01/03/2013 - La disciplina antinfortunistica vigente,
attualmente contenuta nel c.d.
“Testo Unico della sicurezza” del 2008, prevede un ampio catalogo di regole cautelari
– penalmente sanzionate, in caso di violazione
- rientranti nel novero dei cosiddetti “
reati (nello specifico,
contravvenzioni)
propri”.
Con tale categoria, si intendono le fattispecie penali il cui
perfezionamento sia condizionato, oltre che dalla verifica degli altri elementi
tipici, anche dalla sussistenza di una
specifica
qualifica soggettiva in capo a chi sia individuato quale “contravventore”.
Il diritto penale del lavoro, in quanto destinato alla tutela di
un insieme qualificato di soggetti (ovvero i “lavoratori”, nell’ampia accezione
definita dall’art. 2 lett. A del Dlgs 81/08), allo stesso modo, individua,
quali potenziali contravventori, un "
numerus
clausus" di autori.
La
ratio di siffatta
tecnica legislativa è evidentemente rinvenibile nella necessaria sussistenza di
un rapporto qualificato tra debitore e creditore di sicurezza, in base al quale
giustificare la punibilità di chi violi la regola cautelare.
È pacifico infatti che, alla stessa stregua del nesso di causalità
tra azione od omissione ed evento, anche la sussistenza del dominio soggettivo
sul percorso causale dell’evento rappresenta un elemento imprescindibile nel
giudizio sulla penale responsabilità dell’autore.
Alla luce di quanto sopra, il legislatore delegato del 2008, ha
delineato un sistema cautelare essenzialmente fondato sulla
responsabilità del datore di lavoro
prevenzionistico (e, si badi bene, non dell’imprenditore o del
datore di lavoro inteso in senso civilistico) individuando, in
capo al soggetto che rivesta tale qualifica, il destinatario naturale dei
precetti ivi contenuti.
Accanto al datore di lavoro, il Testo Unico costituisce ulteriori
posizioni di garanzia, a carico di due gruppi soggettivamente eterogenei.
Da un lato, l’organizzazione interna all’azienda o all’unità
produttiva, viene garantita dai c.d. “collaboratori” del datore di lavoro,
ovvero “
dirigenti” e “
preposti”.
A monte delle responsabilità dei soggetti endo-aziendali, viene
individuato un secondo insieme di autori qualificati, chiamati al rispetto di
regole cautelari, altrettanto essenziali, ma necessariamente più circoscritte e
specifiche.
Al secondo gruppo, appartengono, tra gli altri, i
progettisti, i
fabbricanti, i
venditori,
i
noleggiatori, i
concedenti in uso e gli
installatori di “attrezzature”.
Nuovamente immediata appare l’indagine delle ragioni che
giustificano la contemplazione – nel catalogo dei destinatari delle norme di
cautela - di soggetti extra aziendali e, quindi, tipicamente estranei al
rapporto qualificato con il soggetto titolare del bene giuridico tutelato,
ovvero il lavoratore; la
ratio appare
chiaramente quella di garantire una tutela ancor più pregnante in relazione ad
una fonte di rischio – di provenienza esterna all’azienda - derivante dagli
strumenti utilizzati dai lavoratori ed affidati dal datore di lavoro.
Rispetto alle responsabilità “generalizzate” previste a carico del
datore di lavoro, dei dirigenti e – in misura minore – dei preposti, le
regole cautelari prescritte nei confronti
degli appartenenti al gruppo extra-aziendale appaiono, a prima vista,
maggiormente limitate e necessariamente connesse alla verifica del corretto
svolgimento della fase, cronologicamente antecedente l’utilizzo
dell’attrezzatura, che va dalla progettazione alla installazione
dell’attrezzatura nell’ambiente di lavoro, ovvero ad uno stadio che sfugge
necessariamente alla sfera di controllo del datore di lavoro.
Pur dedicando a
progettisti
ed installatori autonome disposizioni (rispettivamente l’art. 22 e 24 del
Dlgs 81/08), il legislatore delegato, con una tecnica simile a quella
utilizzata per la regolamentazione dei
doveri datoriali e dirigenziali (miscelati all’interno di un unico precetto,
l’art. 18), ha scelto di accorpare le regole cautelari previste a carico di
venditori e fornitori, generando, nell’applicazione giurisprudenziale,
pericolose duplicazioni di responsabilità, il cui effetto distorsivo è già
stato segnalato dalla dottrina (A. Oddo, in ISL n. 10/2012 p. 511).
Nel momento in cui l’attrezzatura, alla conclusione di un
contratto di compravendita o di noleggio, rientra all’interno della
disponibilità e nella sfera di controllo del datore di lavoro “utilizzatore”, i
doveri inerenti il suo utilizzo, ricadono in via esclusiva nella responsabilità
del gruppo endo-aziendale, salvo, ovviamente, una corresponsabilità colposa, in
ipotesi di evento che si verifichi per difetti costruttivi e/o progettuali.
Sotto questo profilo è interessante analizzare il
punto di vista della Suprema Corte
nell’escludere la
responsabilità del noleggiatore in caso di infortunio connesso all’utilizzo
della macchina noleggiata. Afferma la SC: “
In
tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, il soggetto titolare
dell'impresa che noleggia macchinari (eventualmente mettendo a disposizione
anche un soggetto addetto al loro utilizzo)
non ha l'obbligo di cooperare all'attuazione delle misure di
prevenzione e protezione che l'appaltatore di lavori deve adottare in favore
dei lavoratori alle sue dipendenze, e pertanto non assume, nei confronti di
questi ultimi, una posizione di garanzia in relazione ai rischi specifici
connessi all'ambiente di lavoro nel quale essi sono chiamati ad operare, non
esercitando alcuna attività produttiva” Sent. Cass. 5 marzo 2009 n. 23604”.
Rispetto ai casi sopra delineati, ovvero di responsabilità del
gruppo extra-aziendale per tutto ciò che avviene prima e responsabilità
endo-aziendale per la fase post installazione, può essere interessante
domandarsi come si atteggi il
vaglio
della colpa rispetto agli oneri manutentivi dell’attrezzatura noleggiata,
alla luce della diffusa prassi, consistente nell’affidamento datoriale di tali
compiti allo stesso noleggiatore.
Una prima osservazione sul tema nasce dal rilievo che quella
scaturente dall’evento lesivo connesso alla colpa prevenzionistica è una
responsabilità di tipo penale che, in quanto tale, non è suscettibile di
traslazione negoziale per la mera volontà delle parti coinvolte. La matrice
pubblicistica della tutela penale, in altre parole, non ammette uno sviamento
di origine privata. Di qui, il c.d. principio della “
riserva di legge” fatto proprio dal codice penale sostanziale che
stabilisce che nessuno possa essere punito “per un fatto che non sia
espressamente preveduto come reato dalla legge”.
Occorre, in seconda battuta, sondare l’applicabilità del c.d. “
principio dell’affidamento” il cui
funzionamento viene talvolta richiamato allorquando si debba valutare della
responsabilità di più soggetti egualmente chiamati a rispondere della
verificazione di un unico evento lesivo (caso tipico quello dell’equipe medica
che effettui un intervento chirurgico con esito infausto). V’è da osservare
che, contrariamente a quanto avviene nelle ipotesi in cui i soggetti che partecipano
attivamente (od omissivamente) al decorso causale dell’evento sono - ognuno per
sé - titolari di autonome posizioni di garanzia, per quanto attiene al caso
sottoposto alla presente analisi ciò non si verifica.
Alla tutela del lavoratore attraverso l’attivazione del processo
manutentivo dell’attrezzatura affidatagli è chiamato - in via esclusiva - il
datore di lavoro utilizzatore (art. 71
TU), mentre, come si è visto, la responsabilità del gruppo extra-aziendale è
limitata a condotte puntuali e tecniche, esplicitamente elencate dal
legislatore. Di conseguenza, pare evidente che l’obbligato in via principale
non possa efficacemente richiamare l’applicazione del principio di affidamento,
allorquando il soggetto “destinatario” non sia, anch’esso, titolare di
un’autonoma posizione di garanzia nei confronti dei titolari del bene
giuridico.
Alla luce di quanto sopra, pare potersi affermare che l’essersi
affidato ad altro soggetto per la realizzazione di doveri legislativamente
connessi alla sua posizione di tutela, non possa esimere l’affidante da un
giudizio di penale responsabilità nel caso in cui l’attività doverosa sia stata
carente o, peggio, omessa da parte dell’affidatario.
Vi è, infine, da affrontare un ultimo tema, ovvero quello connesso
alla individuazione - o meno – di una
autonoma responsabilità in capo al soggetto
che si impegni contrattualmente ad effettuare l’attività manutentiva
(datoriale), in luogo del datore di lavoro, e la sua fonte.
Pur in assenza della previsione di una colpa specifica tra le
disposizioni del Testo Unico, non può dubitarsi che la
condotta negligente del manutentore possa essere inquadrata nell'ambito di
un'ipotesi di colpa generica penalmente rilevante, in caso di verificazione di
un evento lesivo, ad essa casualmente connesso, ai sensi dell'art. 43 c.p.
L'inquadrabilitá della condotta omissiva negligente del
manutentore nell'alveo della colpa generica e non specifica, a prescindere
dagli aspetti ermeneutici, comporta conseguenze pratiche di rilevanza di non
poco conto. In primo luogo, l'inapplicabilità del regime sanzionatorio
aggravato, di cui all'art. 590 comma 3 c.p.; in secondo luogo, la
sottoposizione dell'esercizio dell'azione penale alla condizione di
procedibilità (orientamento peraltro sposato da una certa giurisprudenza in tema
di
responsabilità del rspp).
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