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"L’RSPP tra qualificazione professionale, ruolo e responsabilità"
fonte www.puntosicuro.it / Normativa
20/12/2013 -
Sono trascorsi
dieci anni da quando, nel 2003, il
legislatore - con il D.Lgs. 23 giugno
2003 n. 195 - ha introdotto nel sistema normativo di salute e sicurezza i
requisiti professionali del Responsabile e degli Addetti al Servizio di
Prevenzione e Protezione.
Prima di quella
modifica apportata all’allora D.Lgs. 626/94 (artt. 8 e 8-bis), la norma si
limitava a stabilire che il datore di lavoro doveva scegliere un RSPP che fosse
in possesso di attitudine e capacità adeguate, riconoscendo dunque
implicitamente un’area di possibile
culpa
in eligendo in capo al datore di lavoro che avesse
scelto un soggetto non idoneo al ruolo, che ad esempio si fosse rivelato non
all’altezza o privo delle capacità e competenze necessarie a svolgere la
delicata e complessa funzione di soggetto “ausiliario” del datore di lavoro per
gli aspetti di salute e sicurezza sul lavoro.
Per usare le
parole della Cassazione, dunque, negli anni successivi all’entrata in vigore
dell’abrogato decreto 626/94, lo
“schema
originario ha subito nel tempo una evoluzione, che ha indotto il legislatore ad
introdurre con il D.Lgs. n. 195 del 2003 una norma (l'art. 8 bis) che prevede
la necessità in capo alla figura del responsabile del servizio di prevenzione e
protezione di una qualifica specifica.” ( Cassazione
IV Penale 15 gennaio 2010 n. 1834).
Una norma,
quella del 2003, che ha conosciuto poi una piena applicazione nel 2006 con
l’emanazione dell’Accordo Stato-Regioni del 26 gennaio di quell’anno.
Dall’assenza
normativa di requisiti per l’RSPP e l’ASPP si è passati così all’attuale regime
di qualificazione professionale di tali soggetti.
Sul piano delle
responsabilità, la Cassazione ha avuto modo di chiarire, nella sentenza su
citata, che
“la modifica normativa ha
comportato in via interpretativa una revisione della suddetta figura, nel senso
che il soggetto designato “responsabile del servizio di prevenzione e
protezione”, pur rimanendo ferma la posizione di garanzia del datore di lavoro,
possa, ancorché sia privo di poteri decisionali e di spesa, essere ritenuto
corresponsabile del verificarsi di un infortunio, ogni qual volta questo sia
oggettivamente riconducibile ad una situazione pericolosa che egli avrebbe
avuto l'obbligo di conoscere e segnalare, dovendosi presumere, nel sistema
elaborato dal legislatore, che alla segnalazione avrebbe fatto seguito
l'adozione, da parte del datore di lavoro, delle necessarie iniziative idonee a
neutralizzare detta situazione.”
E in tal senso è
chiaro che maggiori - o maggiormente identificate dall’ordinamento - sono le
competenze che un soggetto per legge deve possedere per svolgere il proprio
ruolo in termini di qualificazione professionale, maggiore è l’aspettativa che
l’ordinamento giuridico ha nei confronti di tale soggetto acché svolga
correttamente e diligentemente tale ruolo. E maggiormente si riduce l’area
della eventuale
culpa in eligendo di
chi lo ha scelto se questi si è attenuto ai requisiti previsti dalla legge.
Rigettando il ricorso di un RSPP
di un ospedale, la Cassazione ricorda che
“la “designazione” del RSPP, che il datore
di lavoro era tenuto a fare a norma del D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 8 individuandolo ai sensi dell’art. 8 bis
del citato decreto tra persone i cui requisiti siano “adeguati alla natura dei
rischi presenti sul luogo di lavoro e relativi alle attività lavorative”, v.
ora D.Lgs. n. 81 del 2008, artt. 31
e 32, non equivale a “ delega
di funzioni” utile ai fini dell’esenzione del datore di lavoro da
responsabilità per la violazione della normativa antinfortunistica, perché gli
consentirebbe di “trasferire” ad altri - il delegato - la posizione di garanzia
che questi ordinariamente assume nei confronti dei lavoratori. Posizione di
garanzia che, come è noto, compete al datore dì lavoro in quanto ex lege
onerato dell’obbligo di prevenire la verificazione di eventi dannosi connessi
all’espletamento dell’attività lavorativa.”
E la Cassazione qualifica, al
pari delle altre sentenze sul punto, la responsabilità dell’RSPP come responsabilità per
colpa professionale
:
“il
responsabile del servizio di prevenzione e protezione qualora, agendo con
imperizia, negligenza, imprudenza o inosservanza di leggi e discipline, abbia
dato un suggerimento sbagliato o
abbia trascurato di segnalare una
situazione di rischio, inducendo, così, il datore di lavoro ad omettere l’adozione
di una doverosa misura prevenzionale, risponderà insieme a questi dell’evento
dannoso derivatone, essendo a lui ascrivibile un titolo di colpa professionale che può assumere anche un
carattere addirittura esclusivo (Sezione 4, 15 luglio 2010, Scagliarini).” ( Cassazione
IV Penale, 11 marzo 2013 n. 11492)
La
giurisprudenza (Cassazione IV Penale 20 giugno 2008 n. 25288) inquadra i
“componenti del servizio aziendale di
prevenzione” come
“ausiliari del datore di lavoro”, sostanzialmente come dei
“consulenti”, sottolineando
che
“i risultati dei loro studi e delle
loro elaborazioni, come pacificamente avviene in qualsiasi altro settore
dell'amministrazione dell'azienda - ad esempio, in campo fiscale, tributario,
giuslavoristico - vengono fatti propri dal vertice che li ha scelti sulla base
di un rapporto di affidamento liberamente instaurato” (motivo per il quale - come noto - l’RSPP non ha responsabilità
sul piano prevenzionale per la commissione di reati di pericolo, quindi in
termini contravvenzionali, ma può solo rispondere nei termini visti sopra in
caso di reati di evento).
Guardando all’attuale
articolo 32 del decreto 81 del 2008, occorre anzitutto considerare che la norma
definisce sia le “capacità” che i “requisiti professionali” degli RSPP e degli
ASPP interni ed esterni.
Dunque oltre ai
veri e propri
requisiti dei
componenti del Servizio,
la norma stessa
identifica anche le capacità. Requisiti e capacità vengono fatti coincidere
sul piano normativo con il titolo di studio e la frequenza - con verifica
dell’apprendimento - ai corsi di formazione e di aggiornamento previsti dalla
legge (e in alcuni casi con un periodo di esperienza).
Che è il livello
minimo normativo richiesto ad un RSPP e ad un ASPP in maniera ineludibile.
Ma a questo
punto occorre domandarsi: può sussistere una residua
culpa in eligendo in capo al datore di lavoro che pure abbia
nominato un RSPP che abbia i requisiti e le capacità previsti dall’art. 32, per
non aver valutato altri elementi che possono comunque giocare un ruolo in
termini di effettività in relazione alla predisposizione del Servizio di
Prevenzione e Protezione?
L’articolo 32
del testo unico sembra lasciare poco spazio ad un’interpretazione che sostenga
la necessità sul piano giuridico che il datore di lavoro nel nominare l’RSPP
identifichi e valuti anche ulteriori elementi, oltre a quelli previsti dalla
norma, la cui sussistenza possa essere ritenuta, sulla base dell’effettività e
caso per caso, un presupposto necessario (lo ripetiamo, in aggiunta a quanto
previsto dalla norma) atto a garantire la reale “capacità” di un soggetto di
far fronte ad un ruolo che è sostanzialmente un ruolo consulenziale, un ruolo
professionale, interno o esterno che sia (si pensi, a mero titolo di esempio,
alle valutazioni organizzative effettuate - o non effettuate - da un datore di
lavoro allorché decide di nominare RSPP un
dipendente dell’azienda che svolge già
un’altra funzione aziendale - ad esempio dirigenziale - che lo assorbe in
maniera significativa in termini di tempo ed energie, o alle valutazioni legate
alle condizioni lavorative del soggetto da nominare, all’esperienza, ai
conflitti di interesse in caso di ruoli cumulativi etc... E il tema si pone a
maggior ragione ora che l’articolo 31, come modificato dalla Legge 98/2013,
prevede che l’organizzazione del servizio di prevenzione debba essere prioritariamente interna).
Non si
dimentichi
però che, nonostante
l’articolo 32 del T.U. assorba normativamente gran parte delle riflessioni
legate ai requisiti e alle capacità di RSPP e Addetti al Servizio, accanto alla
normativa specifica incarnata dal D.Lgs. 81/08, è vigente nel nostro
ordinamento giuridico e applicabile anche al caso preso in esame qui anche la
norma generale (di fronte alla quale il D.Lgs. 81/08 si pone come norma
speciale) contenuta nell’articolo 2087 c.c. che, quale norma di chiusura del
sistema antinfortunistico e di igiene del lavoro, impone al datore di lavoro di
adottare non solo le misure imposte dalla normativa specifica ma anche tutte le
misure atte a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale del lavoratore
rese necessarie da
particolarità del
lavoro, esperienza e tecnica.
E la scelta e
quindi la nomina dell’RSPP è l’atto con il quale si imposta, si pianifica e si
dà l’avvio al sistema di prevenzione aziendale che è a tutela proprio della
integrità fisica e della personalità morale del lavoratore, come sottolinea la
Cassazione allorché fa riferimento in tal senso al
“decreto legislativo n. 81 del 2008, che prevede, infatti, gli obblighi
del datore di lavoro non delegabili per l’importanza e, all’evidenza, per
l’intima correlazione con le scelte aziendali di fondo che sono e rimangono
attribuite al potere/dovere del datore di lavoro (v. art. 17). Trattasi: a) dell’attività di valutazione di
tutti i rischi per la salute e la sicurezza al fine della redazione del
documento previsto dall’articolo 28 del decreto cit., contenente non solo
l’analisi valutativa dei rischi, ma anche l’indicazione delle misure di
prevenzione e di protezione attuate; nonché b) della designazione del
responsabile del servizio di prevenzione e protezione dal rischi (RSPP)” (Cass.
Pen., Sez. IV, sent. 28 gennaio 2009 n. 4123)
.
Trovo ispirate -
in conclusione - le parole del Tribunale di Ravenna (sentenza 25 febbraio 2010) che facendo appello all’esigenza di effettività si esprime così
sul ruolo e sull’importanza del Servizio di Prevenzione e Protezione:
“la istituzione del servizio di prevenzione
e protezione, con la previsione di un autonomo responsabile, interno o esterno
all'azienda, costituisce una delle innovazioni più significative del
D.Lvo 626/94
. Nel costruire un sistema organico della prevenzione, in
adempimento dell'obbligo di adeguamento alla disciplina comunitaria, il
legislatore italiano ha infatti dimostrato di voler privilegiare il momento
organizzativo e preventivo, anche con l'istituzionalizzazione, appunto, di quel
servizio di prevenzione e protezione (art. 8) in precedenza solo eventuale, e
ad esso attribuendo (art. 9) specifici compiti di valutazione dei rischi, di
individuazione delle misure prevenzionali, di informazione e formazione
prevenzionale dei lavoratori. L'obbligatorietà della istituzione del servizio
si riverbera sulla obbligatorietà dell'adempimento della prestazione, che non è
più dovuta sulla base di un mero impegno contrattuale ma rappresenta l'adempimento
di un compito legislativamente imposto a tutela della sicurezza del lavoro. É
per altro ben noto che il momento della prevenzione è quello più importante al
fine della tutela del bene salute e integrità del lavoratore ed è evidente che solo
un sistema dotato di strumenti di autoadattamento, capaci di assicurare che la
prevenzione risponda alle effettive e variabili necessità della singola realtà
produttiva, può costituire uno strumento efficace per raggiungere l'obiettivo;
di qui l'importanza dei compiti attribuiti al servizio di protezione e
prevenzione dei rischi, che, ove rettamente intesi e adempiuti, costituiscono il
momento iniziale, fondamentale ed ineliminabile della catena della sicurezza” (così, di recente, Cass. 4/4/2007, Aimone; in senso del tutto
conforme, in precedenza, cfr. Cass. 20/4/2005, Stasi e altro e Cass. 15/2/2007, Fusilli; successivamente v.
Cass. 6/12/2007, Oberrauch e altro).
Anna Guardavilla
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