"Il titolo abilitativo adottato a seguito di reato non è nullo, ma soltanto annullabile e rimane in capo al comune il potere discrezionale di valutare il contrasto con l'interesse pubblico."
fonte Nicola Pignatelli - Avvocato in Barletta / Edilizia
Nell’ambito di una vicenda che ha visto coinvolti alcuni funzionari di un comune calabro (i quali erano stati ritenuti, nel giudizio penale di I e II grado, colpevoli di aver rilasciato titoli abilitavi per la realizzazione di un fabbricato, mediante false rappresentazioni ed attestazioni delle volumetrie realizzabili), i proprietari di un edificio contiguo - dopo aver più volte sollecitato in sede stragiudiziale il Comune competente - hanno proposto ricorso al T.A.R. della Calabria per chiedere che fossero dichiarate nulle la concessione edilizia rilasciata nel febbraio del 1987 e la successiva variante e che fosse altresì dichiarato l’obbligo per il Comune di pronunciarsi, in ordine all’istanza finalizzata all’attivazione dei poteri repressivi e sanzionatori dei numerosi abusi edilizi relativi al fabbricato “incriminato”.
Nel giudizio così instaurato,
il T.A.R., nel dar ragione ai ricorrenti, proprietari dello stabile
contiguo,
-- ha accertato la nullità (in quanto radicalmente falsi) dei
titoli edilizi sottesi all’edificazione, in quanto posti in essere all’esito di
condotte costituenti illecito penale;
-- ha accertato l’obbligo del Comune di provvedere sull’istanza di demolizione, nominando un Commissario ad acta, con il compito di provvedere, ove necessario, in sostituzione degli Organi comunali e ha incaricato la Direzione Generale dei Lavori e del Demanio del Ministero della Difesa di prestare, a richiesta del Comune o del Commissario ad acta, la propria collaborazione alla demolizione, avvalendosi delle necessarie risorse umane e strumentali.
Il proprietario di una
porzione dell’immobile “incriminato” - peraltro estraneo alle condotte criminose
poste in essere dai funzionari comunali, essendo egli un acquirente in buona
fede dagli originari costruttori - ha proposto appello al Consiglio di Stato, il
quale, con sentenza dell’ottobre 2013, ha ribaltato il verdetto emesso dal
T.A.R., ritenendo soltanto “annullabili” e non già “nulli” i titoli edilizi, pur
rilasciati a seguito di condotte costituenti reato.
Tralasciando di riportare le
ragioni di diritto (sostanzialmente riguardanti il fatto che non vi fosse un
“vero e proprio giudicato penale di condanna” e che, comunque, non si potesse
dedurre “automaticamente” dalla legge la nullità di un provvedimento adottato
nella commissione di un reato) in virtù delle quali il Consiglio di Stato ha
dichiarato non condivisibile il percorso logico che ha portato il T.A.R. a
sanzionare nella forma più grave i titoli edilizi, merita riportare
succintamente alcune considerazioni dei giudici amministrativi di appello,
secondo i quali:
-- anche sulla scorta di
quanto affermato in una remota pronuncia (del 1976) dell’Adunanza Plenaria, un
titolo edilizio (sia esso una concessione edilizia o un permesso di costruire)
non può ritenersi affetto da nullità, quando la sua emanazione sia conseguenza
di una condotta costituente un reato;
-- sotto il profilo
sostanziale, l’affermazione della sussistenza della nullità comporterebbe gravi
turbamenti all’esigenza di certezza dei rapporti di diritto pubblico, in quanto
- pur se di per sé le alienazioni del bene non incidono sui poteri repressivi di
cui è titolare l’amministrazione - anche i subacquirenti sarebbero esposti in
ogni tempo ad una declaratoria di nullità, per atti divenuti inoppugnabili e
richiamati negli atti notarili di alienazione (e valga la “constatazione” che la
grave conseguenza della nullità, che la legge pur potrebbe astrattamente
prevedere per la più indefettibile tutela del territorio, non è stata prevista
dal legislatore, neppure con il richiamato art. 21-septies della L. n. 241 del
1990);
-- in ogni caso, la
sussistenza della annullabilità consente comunque l’adeguata tutela del
territorio e degli interessi pubblici coinvolti, poiché, a seguito
dell’accertamento dei fatti in sede penale, d’ufficio o su istanza di chi vi
abbia interesse, il Comune (così come la Regione) deve valutare se (e sotto
quale profilo) l’immobile realizzato si sia posto in contrasto con la disciplina
urbanistica e ove tale contrasto risulti, previo contraddittorio con i
proprietari attuali, l’amministrazione può rilevare il vizio dell'atto e -
sussistendo inevitabilmente l’attuale interesse pubblico, per il contrasto con
la disciplina urbanistica e l'esigenza di ripristinare la legalità - può
disporne l’annullamento, con le conseguenze specificamente previste dall’art. 38
del T.U. Edilizia (cioè l’ordine di demolizione o la sanzione amministrativa
pecuniaria).
Sulla scorta di tali
considerazioni, ed in coerenza con le stesse, il Consglio di Stato ha “salvato”
la sentenza di primo grado, pronunciata dal T.A.R., soltanto nella parte in cui
ha affermato l’obbligo del Comune di esaminare - previo contraddittorio con i
proprietari attuali e con gli appellati – l’istanza da questi ultimi proposta e
di valutare se sussistano i presupposti per l’annullamento delle concessioni
edilizie a suo tempo rilasciate a se, in caso affermativo, vada disposta la
demolizione del fabbricato, ovvero vada irrogata una sanzione pecuniaria ai
sensi dell’art. 38 T.U. Edilizia.
Cons. di Stato, Sez. VI, 31 ottobre
2013, n. 5266
[a cura di Nicola Pignatelli, avvocato in Barletta - avvocatonicolapignatelli@gmail.com]
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