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"Il titolo abilitativo adottato a seguito di reato non è nullo, ma soltanto annullabile e rimane in capo al comune il potere discrezionale di valutare il contrasto con l'interesse pubblico."

fonte Nicola Pignatelli - Avvocato in Barletta / Edilizia

13/01/2014 -

Nell’ambito di una vicenda che ha visto coinvolti alcuni funzionari di un comune calabro (i quali erano stati ritenuti, nel giudizio penale di I e II grado, colpevoli di aver rilasciato titoli abilitavi per la realizzazione di un fabbricato, mediante false rappresentazioni ed attestazioni delle volumetrie realizzabili), i proprietari di un edificio contiguo - dopo aver più volte sollecitato in sede stragiudiziale il Comune competente - hanno proposto ricorso al T.A.R. della Calabria per chiedere che fossero dichiarate nulle la concessione edilizia rilasciata nel febbraio del 1987 e la successiva variante e che fosse altresì dichiarato l’obbligo per il Comune di pronunciarsi, in ordine all’istanza finalizzata all’attivazione dei poteri repressivi e sanzionatori dei numerosi abusi edilizi relativi al fabbricato “incriminato”.


Nel giudizio così instaurato, il T.A.R., nel dar ragione ai ricorrenti, proprietari dello stabile contiguo,

-- ha accertato la nullità (in quanto radicalmente falsi) dei titoli edilizi sottesi all’edificazione, in quanto posti in essere all’esito di condotte costituenti illecito penale;

-- ha accertato l’obbligo del Comune di provvedere sull’istanza di demolizione, nominando un Commissario ad acta, con il compito di provvedere, ove necessario, in sostituzione degli Organi comunali e ha incaricato la Direzione Generale dei Lavori e del Demanio del Ministero della Difesa di prestare, a richiesta del Comune o del Commissario ad acta, la propria collaborazione alla demolizione, avvalendosi delle necessarie risorse umane e strumentali.


Il proprietario di una porzione dell’immobile “incriminato” - peraltro estraneo alle condotte criminose poste in essere dai funzionari comunali, essendo egli un acquirente in buona fede dagli originari costruttori - ha proposto appello al Consiglio di Stato, il quale, con sentenza dell’ottobre 2013, ha ribaltato il verdetto emesso dal T.A.R., ritenendo soltanto “annullabili” e non già “nulli” i titoli edilizi, pur rilasciati a seguito di condotte costituenti reato.


Tralasciando di riportare le ragioni di diritto (sostanzialmente riguardanti il fatto che non vi fosse un “vero e proprio giudicato penale di condanna” e che, comunque, non si potesse dedurre “automaticamente” dalla legge la nullità di un provvedimento adottato nella commissione di un reato) in virtù delle quali il Consiglio di Stato ha dichiarato non condivisibile il percorso logico che ha portato il T.A.R. a sanzionare nella forma più grave i titoli edilizi, merita riportare succintamente alcune considerazioni dei giudici amministrativi di appello, secondo i quali:


-- anche sulla scorta di quanto affermato in una remota pronuncia (del 1976) dell’Adunanza Plenaria, un titolo edilizio (sia esso una concessione edilizia o un permesso di costruire) non può ritenersi affetto da nullità, quando la sua emanazione sia conseguenza di una condotta costituente un reato;


-- sotto  il profilo sostanziale, l’affermazione della sussistenza della nullità comporterebbe gravi turbamenti all’esigenza di certezza dei rapporti di diritto pubblico, in quanto - pur se di per sé le alienazioni del bene non incidono sui poteri repressivi di cui è titolare l’amministrazione - anche i subacquirenti sarebbero esposti in ogni tempo ad una declaratoria di nullità, per atti divenuti inoppugnabili e richiamati negli atti notarili di alienazione (e valga la “constatazione” che la grave conseguenza della nullità, che la legge pur potrebbe astrattamente prevedere per la più indefettibile tutela del territorio, non è stata prevista dal legislatore, neppure con il richiamato art. 21-septies della L. n. 241 del 1990);


-- in ogni caso, la sussistenza della annullabilità consente comunque l’adeguata tutela del territorio e degli interessi pubblici coinvolti, poiché, a seguito dell’accertamento dei fatti in sede penale, d’ufficio o su istanza di chi vi abbia interesse, il Comune (così come la Regione) deve valutare se (e sotto quale profilo) l’immobile realizzato si sia posto in contrasto con la disciplina urbanistica e ove tale contrasto risulti, previo contraddittorio con i proprietari attuali, l’amministrazione può rilevare il vizio dell'atto e - sussistendo inevitabilmente l’attuale interesse pubblico, per il contrasto con la disciplina urbanistica e l'esigenza di ripristinare la legalità - può disporne l’annullamento, con le conseguenze specificamente previste dall’art. 38 del T.U. Edilizia (cioè l’ordine di demolizione o la sanzione amministrativa pecuniaria).


Sulla scorta di tali considerazioni, ed in coerenza con le stesse, il Consglio di Stato ha “salvato” la sentenza di primo grado, pronunciata dal T.A.R., soltanto nella parte in cui ha affermato l’obbligo del Comune di esaminare - previo contraddittorio con i proprietari attuali e con gli appellati – l’istanza da questi ultimi proposta e di valutare se sussistano i presupposti per l’annullamento delle concessioni edilizie a suo tempo rilasciate a se, in caso affermativo, vada disposta la demolizione del fabbricato, ovvero vada irrogata una sanzione pecuniaria ai sensi dell’art. 38 T.U. Edilizia.

Cons. di Stato, Sez. VI, 31 ottobre 2013, n. 5266


[a cura di Nicola Pignatelli, avvocato in Barletta - avvocatonicolapignatelli@gmail.com]

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