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"Rischio stress: le resistenze e il sistema di valutazione SVS"
fonte www.puntosicuro.it / Salute
18/06/2014 - Se con la
sottolineatura dell’obbligo di
valutazione
dello stress nel mondo del lavoro il nostro ordinamento ha fatto propria la
definizione di salute
dell’Organizzazione Mondiale della Sanità con ben sessanta anni di ritardo,
questo passaggio e gli obblighi conseguenti hanno suscitato preoccupazioni e
resistenze.
Torniamo dunque a parlare di
stress, anche con riferimento al ruolo del nostro giornale di media
partner della campagna
europea 2014-2015 dedicata ai rischi psicosociali, e lo facciamo parlando
delle resistenze in materia di valutazione dello stress e di specifiche
metodologie valutative.
Affronta questi temi un
intervento raccolto nel
Rapporto Istisan
12/19 relativo al corso di formazione “Gestione del personale, qualità
della vita di lavoro e stress lavoro-correlato” organizzato nel 2011 dal
Dipartimento di Ambiente e Connessa Prevenzione Primaria (AMPP) dell’ Istituto
Superiore di Sanità (ISS).
In “
Un modello operativo per la valutazione dello stress lavoro-correlato”,
a cura di Felice Paolo Arcuri (Società di Studi Socio-economici e Organizzativi
S3 Opus, Roma - Università Tor Vergata, Roma) si sottolinea come l’estensione
dell’obbligo di valutazione dei rischi lavorativi anche a quelli di natura
psico-sociale si deve “più al fatto di far parte dell’Unione Europea che non ad
una consapevole maturità nazionale, come dimostrano diversi fatti, tra cui:
- la sentenza di condanna emessa
dalla Corte di Giustizia europea dell’Aja (C.49/00 del 15/11/2001) per non aver
applicato quanto previsto dalla direttiva quadro europea 89/391 che prevedeva
l’obbligatorietà di considerare nella valutazione dei rischi ‘l’insieme dei
rischi per la salute e la sicurezza dei lavoratori’;
- la lentezza con cui l’accordo
quadro europeo sullo stress è stato recepito nel nostro ordinamento (3 anni e
mezzo, dall’8 ottobre 2004 al 9 aprile 2008);
- i numerosi rinvii che hanno
spostato l’obbligo introdotto dal DL.vo 81 dal 2008 al 31 dicembre 2010;
- la lentezza con cui la
Commissione consultiva per lo stress lavoro-correlato - istituita ai sensi
degli articoli 6, comma 8, lettera m-quater, e 28, comma 1 bis del DL.vo
81/2008 presso il Ministero del Lavoro - ha emanato le linee
guida metodologiche (17 novembre 2010);
- la parzialità di queste
linee guida che riducono l’obbligo alla
sola ‘valutazione oggettiva’ (o ‘preliminare’), relativa alla rilevazione
di indicatori oggettivi e verificabili, ove possibile numericamente
apprezzabili, mentre la ‘ valutazione
soggettiva’, relativa alla percezione soggettiva dei gruppi omogenei di
lavoratori, è relegata a mero approfondimento da attivare solo nel caso in cui
la valutazione preliminare riveli elementi di rischio da stress
lavoro-correlato e le misure di correzione adottate dal datore di lavoro si
rivelino inefficaci”.
Elementi questi – continua
l’autore - che lasciano capire “quante
preoccupazioni
e resistenze susciti nel nostro Paese l’introduzione dell’obbligo di
valutare lo stress e quanto ancora faccia paura sentire le opinioni dei
lavoratori sulle effettive modalità di organizzazione e gestione del lavoro”.
Infatti valutare i fattori che possono creare stress negativo ai lavoratori
vuol dire valutare anche “la qualità dell’organizzazione del lavoro, le
modalità di gestione del personale, l’equità e la trasparenza del trattamento,
il sistema di comunicazione interno, i rapporti interpersonali sia di tipo
orizzontale che verticale, il clima organizzativo, e anche le difficoltà di
conciliazione tra tempi di vita e tempi di lavoro, soprattutto per le persone
che hanno carichi di cura familiare, o la paura di perdere il posto di lavoro,
a causa del tipo di contratto di lavoro, della situazione aziendale, o del più
generale andamento dell’economia”.
L’autore sottolinea poi
l’importanza nella valutazione della conoscenza della
soggettività
del fenomeno:
“persone diverse possono reagire in modo diverso a situazioni simili e anche
una stessa persona può, in momenti diversi della propria vita, reagire in
maniera diversa a situazioni simili”. E la risposta immediata dell’individuo
allo stimolo stressogeno “risente di precondizioni abituali o del momento,
compresi le caratteristiche della personalità e la capacità di adattamento
dell’individuo (stile di coping)”.
Dunque
una valutazione seria del fenomeno non può prescindere dalla percezione
soggettiva dei lavoratori e si sconsigliano “improbabili scorciatoie che
portano ad affidare la valutazione dello stress alla sola lettura dei dati
oggettivi, che possono certamente semplificare la valutazione
dello stress intesa come formale adempimento normativo, ma rischiano
seriamente di pregiudicarne la validità e l’utilità”.
E tra l’altro la
raccolta dei dati soggettivi presenta
tre
grandi vantaggi:
- “rappresenta un modo efficace
per formare e informare i lavoratori sul rischio stress;
- consente di coinvolgerli
nell’analisi dei fattori di stress preparando così il terreno ad una fattiva
collaborazione per l’individuazione e la messa in opera delle soluzioni;
- consente di far emergere i
cosiddetti ‘errori latenti’, ovvero quei problemi attribuibili non ad errori
delle singole persone (cd. errori attivi) ma ai processi di lavoro, alle scelte
organizzative, alle condizioni dell’ambiente di lavoro, alle decisioni
manageriali o alla cultura organizzativa”.
A questo punto l’autore presenta
un modello che segue queste e altre premesse riportate nell’intervento: il
Sistema di Valutazione dello Stress
(SVS) (Arcuri, Ciacia, Gentile, Laureti, 2011), articolato in un modello
teorico di riferimento, un modello operativo e nei relativi strumenti
correlati. Un sistema che si basa su un modello teorico di riferimento messo a
punto da S3 Opus adattando e rielaborando alcuni dei principali studi condotti
in materia (in particolare, Cooper, 1986). Il modello concettuale adottato è di
tipo olistico e consente di mettere in relazione diretta i fattori di stress
con i rischi per la salute dei lavoratori cogliendo la soggettività del
fenomeno”.
Rimandandovi ad una lettura
integrale del documento, che si sofferma su vari dettagli del Sistema SVS, ci
soffermiamo molto brevemente sul
modello
operativo che utilizza una metodologia di lavoro diffusa a livello europeo
e adottata in quasi tutti i modelli di valutazione dei rischi:
-
preparazione delle attività: la valutazione
dello stress lavoro-correlato è “un’attività complessa che, per avere
successo, richiede l’acquisizione di molte informazioni, competenze
diversificate, sensibilizzazione e coinvolgimento di tutto il personale; per
questi motivi è necessario una preparazione accurata” che si esplica almeno nei
seguenti punti: incontro con il Top Management; costituzione di un gruppo di
lavoro (
Stress Team); definizione di
un piano d’azione, in cui vengono stabiliti attività, tempi, modalità
operative, divisione dei ruoli; realizzazione di azioni di
formazione-informazione rivolte a tutti i lavoratori;
-
individuazione dei fattori di rischio: il modello teorico individua
cinque fattori di rischio organizzativo:
“le caratteristiche del lavoro (complessità, carico di lavoro, tempi e ritmi,
autonomia e controllo), le condizioni fisiche (sicurezza e comfort), i fattori
socio-organizzativi (modalità di gestione delle risorse umane, comunicazione,
sicurezza del lavoro), fattori relazionali (clima organizzativo, relazioni
interpersonali con capi, colleghi e collaboratori), la difficoltà di
conciliazione tra tempi di vita e tempi di lavoro”;
-
raccolta dei dati (oggettivi e soggettivi): la valutazione dello
stress lavoro-correlato “si basa sulla raccolta e l’analisi sia di dati aziendali
“oggettivi” (ad esempio “tasso di turnover” e “tasso di mobilità”), sia “dati
soggettivi sulla condizione di lavoro, ovvero sulla percezione che il
lavoratore ha relativamente alle proprie condizioni di lavoro e agli effetti
che queste producono sulla sua salute”;
-
valutazione dei rischi: “l’analisi e il confronto tra dati
oggettivi e dati soggettivi consente una prima valutazione del rischio.
Attraverso un sistema di calcolo automatizzato e ben collaudato, SVS consente
di classificare il rischio stress in
3
categorie: rischio basso, medio, alto. Ad esempio “se il rischio risulta
basso, si potrà procedere alla
redazione del documento di valutazione del rischio (DVR), limitandosi a
prevedere come uniche misure di intervento iniziative di formazione/ informazione
rivolte a tutti i lavoratori”, il periodico controllo dello stress, e la
verifica della correttezza della procedura di valutazione adottata. Se il
rischio “risulta invece ‘
significativo’
(medio o alto), occorrerà svolgere un approfondimento d’indagine che consenta
di focalizzare meglio le relazioni causa-effetto soprattutto su quei settori e
quei gruppi omogenei di lavoratori che risultano dall’indagine essere
particolarmente esposti. Una metodologia particolarmente indicata per
approfondire queste tematiche è il
focus
group che ha il vantaggio, tra l’altro, di assicurare un forte
coinvolgimento dei lavoratori interessati alla problematica e di individuare,
assieme all’analisi delle cause, prime possibili soluzioni. La differenza tra
rischio medio e rischio alto determina l’urgenza dell’intervento”;
-
gestione del rischio (individuazione e attuazione delle soluzioni):
si ricorda che lo scopo della valutazione
del rischio stress lavoro-correlato “è quello di aumentare la
consapevolezza dei datori di lavoro, dei lavoratori e dei loro rappresentanti
sugli effetti dello stress nonché di guidarli e sostenerli nella riduzione del
rischio”. Dunque “non può limitarsi all’osservazione di indicatori oggettivi o
soggettivi, si deve addentrare negli aspetti dell’organizzazione che possono
essere migliorati, come, ad esempio, assicurare il rispetto dei principi
ergonomici nell’organizzazione del lavoro, nella concezione dei posti di
lavoro, nella scelta delle attrezzature e nella definizione dei metodi di lavoro
e produzione, in particolare al fine di ridurre gli effetti sulla salute del
lavoro monotono e di quello ripetitivo (DL.vo 81/2008, art. 15, comma d)”;
-
controllo e riesame: “a distanza di tempo, a cadenze predefinite,
occorre verificare i risultati ottenuti attraverso l’attuazione delle soluzioni
individuate. Il controllo viene fatto ripetendo la valutazione del rischio,
eventualmente approfondendo gli aspetti relativi alle criticità evidenziate e
ai gruppi di lavoratori maggiormente esposti. Si consiglia di ripetere la
valutazione annualmente (preferibilmente variando il mese di rilevazione per
evitare l’incidenza della stagionalità). Nei casi in cui il rischio riscontrato
sia alto si suggerisce di ripetere la valutazione dopo 6 mesi”.
L’intervento si conclude
ricordando che il percorso proposto attraverso il
sistema SVS per la valutazione del rischio stress lavoro-correlato
prevede una serie di azioni che debbono essere realizzate da un apposito gruppo
di lavoro interno all’azienda (ST -
Stress
Team).
Infatti “il sistema SVS non
sostituisce il lavoro dello ST ma lo guida e lo supporta, fornendo tutte le
indicazioni metodologiche e gli strumenti necessari” per l’analisi e un
software che gestisce “le informazioni secondo una procedura informatizzata ben
collaudata che restituisce allo ST il documento di valutazione del rischio e i
suggerimenti (buone pratiche) per ridurre i rischi”.
Istituto Superiore di Sanità, “ Rapporto ISTISAN 12/19 – atti del corso “Gestione del
personale, qualità della vita di lavoro e stress lavoro-correlato”, a cura
di Felice Paolo Arcuri (Società di Studi Socio-economici e Organizzativi S3
Opus, Roma) e Silvana Caciolli (Dipartimento di Ambiente e Connessa Prevenzione
Primaria, Istituto Superiore di Sanità, Roma), Roma, 20-22 giugno 2011 (formato
PDF, 1.96 MB).
Tiziano Menduto
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