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"Gli obblighi in caso di macchine da componenti assemblati"
fonte www.puntosicuro.it / Sicurezza Macchine ed Attrezzature
08/09/2014 -
Commento a cura di Gerardo Porreca.
Prende in esame la
Corte di Cassazione in questa sentenza un caso, già oggetto in passato di altre
sentenze della suprema Corte e cioè quello in cui una impresa provvede ad
assemblare delle macchine prodotte da altre ditte e ribadisce nell’occasione quelli
che sono gli obblighi che derivano dall’operazione di assiemaggio. Il D.P.R. 24 luglio 1996 n. 459, la cosiddetta " Direttiva
macchine", ha sostenuto la suprema Corte, ha disciplinato i presidi
antinfortunistici concernenti le macchine ed ha in sostanza introdotto un
"
minimum tecnologico obbligato
comune” che, da un lato, ha esteso ad altri operatori l'obbligo di
controllo della regolarità della macchina prima che la stessa venga messa a
disposizione del lavoratore e dall’altro ha individuato i cosiddetti "
costruttori in senso giuridico" di
un macchinario e cioè quelli che creano un sistema che risulti composto da macchine
prodotte da altre ditte, i quali proprio a seguito di tale assemblaggio hanno l'obbligo
di controllare la regolarità del macchinario nel suo complesso al fine di
ottenere la certificazione necessaria per metterla in esercizio a disposizione
dei propri lavoratori.
Il
fatto e l’iter giudiziario
Il Tribunale ha dichiarato il direttore di
uno stabilimento responsabile del delitto previsto dall'art. 590 c.p., comma 3,
condannandolo alla pena di euro 200 di multa concesse le circostanze attenuanti
generiche equivalenti alle contestate aggravanti e applicata la diminuzione per
il rito abbreviato. L’imputazione era riferita ad un infortunio occorso ad un
lavoratore dello stabilimento il quale, mentre era intento a controllare una cesoia
orizzontale che provvedeva automaticamente al taglio di alcuni tondini di
acciaio, essendosi bloccato a metà corsa il coltello mobile della macchina, dopo
aver cercato di riavviare la macchina operando dal quadro comando e lasciando
il pulsante del ciclo automatico inserito e dopo aver preso una manovella, era
entrato nella cabina in cui era alloggiata la macchina ed aveva sbloccato il
freno pneumatico e quindi, inserita la manovella nel volano, aveva ottenuto il
movimento avanti-indietro della slitta porta-coltelli. Nel mentre faceva questa
operazione però, poiché il sensore di rilevamento della manovella era
verosimilmente guasto o non regolato, la macchina era ripartita
improvvisamente, facendo ruotare la manovella precedentemente inserita che quindi
colpiva il polso sinistro del dipendente causandogli la frattura dell'epifisi
distale del radio sinistro.
Secondo i giudici di merito, la causa
dell'attivazione improvvisa della macchina era riconducibile a un guasto o
rottura del sensore che, se avesse funzionato correttamente, l'avrebbe
impedita. Il dipendente, non attivando il pulsante di emergenza prima di
intervenire manualmente sulla macchina, non aveva osservato le disposizioni
impartite ma il datore di lavoro, dal canto suo, non aveva proceduto alla
eliminazione del rischio sostituendo il micro di sicurezza a induzione, componente
rivelatosi non adatto, con dispositivo idoneo ai sensi del D.P.R. 24 luglio
1996 n. 459 come disposto dagli artt. 35 e 36 del D. Lgs. 19 settembre 1994 n.
626.
Il Tribunale aveva preso atto che il rischio
di riattivazione della macchina durante la procedura di set up manuale era
stato previsto dal datore di lavoro a tal punto da collocare un pulsante di
emergenza (che il dipendente non aveva premuto) e da installare un sensore sul
volano, sensore idoneo a impedire la riattivazione nel caso in cui fosse stata
inserita la manovella, ma aveva accertato altresì che non era stato introdotto
un meccanismo idoneo a segnalare eventuali guasti, per cui la situazione aveva
generato una falsa sicurezza nel dipendente, ritenendo che tale previsione
avrebbe consentito di eliminare completamente il rischio. Sotto il profilo
soggettivo, quindi, il Tribunale aveva ritenuto che l'evento fosse prevedibile
ed evitabile, avuto riguardo allo stato della tecnica, e che l'osservanza delle
norme cautelari fosse in concreto esigibile.
Nell'atto di appello l'imputato aveva
contestato la risposta data dal perito in ordine alle ragioni per cui la
macchina si sarebbe riavviata improvvisamente osservando come non fosse affatto
chiaro il perché, dato che sia il selettore in automatico che quello manuale
avrebbero comunque richiesto un comando esterno per ripartire ed aveva avanzato
altresì l’ipotesi che l'inserimento della manovella potesse essere avvenuto nel
corso delle ultime rotazioni che il volano subisce per inerzia prima
dell'arresto completo e che la manovella fosse sfuggita quindi di mano al
lavoratore, nessuna influenza potendo avere il malfunzionamento del sensore che
toglie corrente alla macchina ma non blocca l'inerzia che prescinde dalla
trasmissione della corrente.
Avendo il lavoratore scelto di operare
diversamente da come di solito faceva e avendo, dal canto suo, il datore di
lavoro predisposto un sistema di ispezioni specifico della sicurezza delle
macchine con rotazione settimanale, individuato il rischio e provveduto
all'informazione e formazione del lavoratore, non residuavano profili di colpa
individuabili a carico dell'imputato, che aveva inserito un sensore sulla porta
anziché sopra la sede di inserimento della manovella, soluzione ritenuta idonea
dallo stesso perito, non potendosi a lui imputare quindi l'incolpevole guasto
del sensore.
Il giudice di appello, al quale ha fatto ricorso
l’imputato, ha confermata la sentenza di primo grado affermando che la
previsione del rischio diligentemente adottata dal datore di lavoro con
l'inserimento di un sensore, non previsto dal costruttore della macchina ma
idoneo a impedire il contatto tra motore e volano al momento del set up
manuale, avrebbe dovuto essere completata con l'adozione di accorgimenti
adeguati ad allertare circa il guasto o malfunzionamento del sensore stesso.
Il
ricorso e le decisioni della Corte di Cassazione
Il direttore dello
stabilimento ha fatto ricorso alla Corte di Cassazione sostenendo che la Corte
territoriale, nell’affermare che la previsione del rischio avrebbe dovuto
essere completata con l'adozione di accorgimenti adeguati a segnalare il guasto
o malfunzionamento del sensore stesso, aveva basato il giudizio di
prevedibilità con una valutazione ex post di una scrupolosa e meticolosa
previsione dell'evento in concreto verificatosi, mentre una corretta
valutazione della prevedibilità ex ante doveva portare ad affermare che le
misure adottate dal datore di lavoro fossero idonee a prevenire il rischio
stesso. Il ricorrente ha sostenuto ancora che la Corte territoriale, a fronte
della tesi difensiva secondo la quale l'inserimento della manovella poteva
essere avvenuto nel corso delle ultime rotazioni che il volano subisce per
inerzia prima dell'arresto completo e che la manovella fosse sfuggita di mano
al lavoratore, si era limitata a contestarne la fondatezza sulla base solo delle
dichiarazioni rese dal lavoratore stesso.
La Corte di Cassazione
ha ritenuto il ricorso infondato e lo ha pertanto rigettato. Per un corretto inquadramento della
fattispecie concreta esaminata dai giudici di merito, ha fatto presente la
suprema Corte, occorre prendere le mosse dalla normativa introdotta con D.P.R.
24 luglio 1996 n. 459, cosiddetta "Direttiva macchine", che ha
disciplinato i presidi antinfortunistici concernenti le macchine e i componenti
di sicurezza immessi sul mercato. Dal raccordo di tale normativa con il
sistema prevenzionistico già in vigore, ha sostenuto la Sez. IV penale, si è
desunta un'anticipazione della tutela antinfortunistica al momento della
costruzione, vendita, noleggio e concessione in uso delle macchine, parti di
macchine o apparecchi in genere, coinvolgendosi nella responsabilità per la
mancata rispondenza dei prodotti alle normative di sicurezza tutti gli
operatori ai quali siano imputabili dette attività. “
Si è, in sostanza, introdotto”, ha proseguito la Corte di
Cassazione, “
un "minimum tecnologico
obbligato comune
che, da un lato, ha
esteso ad altri operatori l'obbligo di controllo della regolarità della
macchina o del pezzo prima che gli stessi vengano messi a disposizione del
lavoratore; d'altro canto, si è attribuito tale obbligo a soggetti individuati
come "costruttori in senso giuridico" del macchinario quando, ad
esempio, pur risultando il macchinario composto di pezzi prodotti da altre
ditte, l'obbligo di controllare la regolarità del macchinario nel suo complesso
al fine di ottenere la certificazione necessaria per immetterlo sul mercato
spettasse ad una impresa in particolare, in ipotesi incaricata di assemblare
tutte le componenti”.
In merito al rapporto
esistente fra il costruttore e l’utilizzatore delle macchine
la suprema Corte ha avuto modo inoltre di precisare che “
le disposizioni che hanno dato attuazione alle ‘Direttive macchine’
dell'Unione Europea, pur indicando le prescrizioni di sicurezza necessarie per
ottenere il certificato di conformità e il marchio CE richiesti per immettere
il prodotto nel mercato, non escludono ulteriori profili in cui si possa
sostanziare il complessivo dovere di garanzia di coloro che pongono in uso il
macchinario nei confronti dei lavoratori, che sono i diretti utilizzatori delle
macchine stesse, non potendo costituire motivo di esonero della responsabilità
del costruttore quello di aver ottenuto la certificazione e di aver rispettato
le prescrizioni a tal fine necessarie”.
Esaminando le sentenze
dei giudici di merito la Corte di Cassazione ha fatto osservare inoltre che per
intervenire sulla macchina in caso di blocco il costruttore aveva previsto una
determinata procedura che contemplava l'arresto della macchina con il pulsante
di emergenza ed il freno pneumatico sempre inserito, a garanzia di un eventuale
innesto accidentale della frizione, e che l’utente, allo scopo di ottenere
registrazioni più accurate, per garantire qualità superiore del prodotto finito
e riduzione dei tempi di intervento, aveva modificato la macchina, inserendo
una manovella con la quale era possibile effettuare in via manuale le registrazioni
e i controlli necessari per resettare la macchina. Una volta inserita la
manovella, la modifica prevedeva un sensore ad induzione che ne rilevava la
presenza al fine di inibire l'inserimento della frizione. Era stato accertato
dal Tribunale, sulla scorta della perizia espletata, ha ancora fatto presente
la Sez. IV, che la modifica introdotta dall’utente stesso escludeva l'unica
sicurezza prevista dal costruttore, concretata dal freno pneumatico sempre
bloccato, avendola sostituita con un sensore che svolgeva le funzioni di
componente di sicurezza.
Un componente di
sicurezza, ha inoltre precisato la suprema Corte, a norma del D.P.R. n. 459 del
1996, art. 1, comma 2, lett. b), ha lo scopo di assicurare con la sua
utilizzazione una funzione di sicurezza ed è, per definizione, una parte del
macchinario il cui guasto o cattivo funzionamento pregiudica la sicurezza o la
salute delle persone esposte per cui, in base alle prescrizioni impartite
dall'Allegato 1 del D.P.R. n. 459 del 1996, deve essere dotato di un meccanismo
atto a consentire al lavoratore di rilevarne l'eventuale guasto. Era stato
quindi accertato da Tribunale che, a seguito della modifica del macchinario
operata dall'impresa datrice di lavoro, la macchina era stata dotata di un
componente di sicurezza inidoneo in quanto privo del dispositivo di
segnalazione di eventuali guasti e che pertanto il datore di lavoro aveva,
dunque, privato il macchinario della misura di sicurezza fornita dal
costruttore costituita dal freno pneumatico sempre inserito.
Il giudice di primo grado, ha proseguito la
sez. IV, aveva accertato che il rischio creato dal componente di sicurezza
installato dalla società datrice di lavoro poteva essere eliminato, indicando
le soluzioni tecniche prospettate dal perito, ritenendo che il datore di lavoro
avrebbe dovuto adottare le cautele idonee a consentire al lavoratore di
rilevare il guasto onde evitare il riavvio accidentale della macchina.
Contrariamente, dunque, a quanto sostenuto dal ricorrente, i giudici di merito avevano
messo in correlazione l'evento occorso al lavoratore alla condotta colposa del
datore di lavoro sottolineando la violazione delle prescrizioni
antinfortunistiche dettate dalla cosiddetta Direttiva macchine,
correttamente ritenendo esigibile dal datore di lavoro l'obbligo di controllare
la conformità del macchinario, in linea con i chiari obiettivi del sistema
prevenzionistico, al fine di azzerare il rischio per il lavoratore. Né era risultata
corretta la censura mossa dal ricorrente laddove aveva sostenuto che la Corte d’Appello
avrebbe valutato la prevedibilità dell'evento con giudizio ex post, essendo stato
chiaramente indicato nella sentenza di primo grado che il sensore introdotto
dal datore di lavoro era un componente di sicurezza inidoneo che era stato
installato modificando il macchinario fornito dal costruttore.
La Corte suprema ha ritenuto opportuno infine
ricordare come, a norma dell’art. 3 comma 1 del D. Lgs. n. 626 del 1994, le
misure generali che il datore di lavoro deve adottare per la protezione della
salute e per la sicurezza dei lavoratori sono, tra le altre, la valutazione dei
rischi, l'eliminazione dei rischi in relazione alle conoscenze acquisite in
base al progresso tecnico, la riduzione dei rischi alla fonte, la sostituzione
di ciò che è pericoloso con ciò che non lo è o è meno pericoloso, l'uso di
segnali di avvertimento o di sicurezza, la regolare manutenzione di ambienti,
attrezzature, macchine ed impianti, con particolare riguardo ai dispositivi di
sicurezza in conformità alla indicazione dei fabbricanti. Correttamente, dunque
i giudici di merito, secondo la suprema Corte, avevano ritenuto di individuare
la responsabilità del datore di lavoro non avendo lo stesso proceduto
all'eliminazione del rischio, prevedibile ed evitabile in quanto connesso
proprio alla modifica da lui eseguita sul macchinario ed ha affermato in conclusione
il principio in base al quale “
nel
momento in cui il datore di lavoro interviene con una condotta positiva a
modificare un macchinario, assume di fatto l'obbligo di garanzia posto a carico
del produttore dalla cosiddetta Direttiva macchine e risponde, per colposa
omissione, dell'inidoneità della trasformazione a garantire l'eliminazione di rischi
per il lavoratore in quanto pone in essere un comportamento colposo,
concretatosi nella negligente o imperita trasformazione della macchina, che
crea i presupposti per il verificarsi dell'evento dannoso che il datore stesso
ha, in generale, l'obbligo di impedire”.
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