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"Competenze Stato-Regioni e Jobs Act: le prospettive di un mutamento"
fonte www.puntosicuro.it / Normativa
10/12/2014 -
Pubblichiamo la seconda e ultima parte dell’articolo,
scritto per PuntoSicuro dall’avvocato Lorenzo Fantini, sull’assetto attuale e
futuro delle competenze legislative in materia di salute e sicurezza. Nella prima parte sono stati individuati gli indirizzi passati in materia, è stato
descritto il percorso e l’adeguamento del Testo Unico alla situazione
all’assetto portato dalla legge costituzionale n. 3 del 2001.
Ora si arriva all’oggi, alle prospettive reali di un mutamento delle competenze di Stato e Regioni e alle novità della delega, contenuta nel Jobs Act - approvato definitivamente il 3 dicembre in Senato - che riguarda anche la materia della “igiene e sicurezza sul lavoro”.
Ora si arriva all’oggi, alle prospettive reali di un mutamento delle competenze di Stato e Regioni e alle novità della delega, contenuta nel Jobs Act - approvato definitivamente il 3 dicembre in Senato - che riguarda anche la materia della “igiene e sicurezza sul lavoro”.
3. La prospettiva di un
mutamento delle competenze di Stato e Regioni in materia di salute e sicurezza
Nella prima parte
di questo contributo ho cercato di fornire una – per quanto sintetica –
ricostruzione storica e sistematica
delle ragioni e dei contenuti della definizione, operata dal “testo unico” di
salute e sicurezza sul lavoro, dell’assetto delle competenze tra
Stato e Regioni
in materia antinfortunistica.
Al riguardo,
ritengo utile sottolineare come il tema del cambiamento delle competenze in
materia di salute e sicurezza sul lavoro sia stato, negli anni successivi alla
pubblicazione del “testo unico” di salute e sicurezza sul lavoro e del decreto
“correttivo” (d.lgs. n. 106/2009) del d.lgs. n. 81/2008, di costante attualità,
per ragioni non tanto di tipo dottrinale quanto, invece, più legate alla
difficoltà di applicazione di una normativa non semplice nelle diverse parti
del territorio italiano,
troppo spesso
interpretata dagli organi di vigilanza competenti in materia – i quali, va
ricordato, sono
ex lege le ASL ma
anche, in taluni settori (edilizia su tutti) le Direzioni Territoriali del
Lavoro del Ministero del lavoro e delle politiche sociali e, in altri, organi
diversi (si veda quanto previsto all’articolo 13 del d.lgs. n. 81/2008) –
in modo niente affatto uniforme nelle
diverse Regioni o Province autonome.
In tale contesto,
solo in parte mitigato dalla operatività (oggi apprezzabile, dopo un primo
periodo di stasi nelle relative attività) della Commissione per gli interpelli
in materia di salute e sicurezza (chiamata a fornire indirizzi operativi comuni
agli organi di vigilanza di Stato e Regioni su temi di natura generale discussi
in materia di salute e sicurezza sul lavoro) prevista dall’articolo 12 del
d.lgs. n. 81/2008, si è sempre più diffusa tra gli operatori la convinzione che
sia opportuno se non addirittura necessario un
mutamento almeno dell’assetto istituzionale – se non proprio delle
competenze legislative – della salute e sicurezza sul lavoro, con particolare
riferimento alle attribuzione della titolarità della vigilanza in materia.
Al riguardo, valore
paradigmatico va attribuito alle
ampie
considerazioni svolte al punto 2.5. della “
Relazione finale”,
approvata
in data 15 Gennaio 2013 dal Senato della Repubblica [1],
da parte della Commissione parlamentare di inchiesta per gli infortuni sul
lavoro, che si riportano – parzialmente – di seguito.
“
2.5.
La
proposta della Commissione. L’istituzione dell’Agenzia nazionale per la salute
e la sicurezza sul lavoro
In vista della scadenza
del suo mandato, la Commissione d’inchiesta ha sentito come suo dovere non solo
la necessità di segnalare l’esistenza di una
serie di difficoltà e di ritardi nel coordinamento e nella cooperazione
tra gli organismi statali e periferici del sistema della tutela della
salute e della sicurezza sul lavoro, ma anche l’esigenza di individuare e
suggerire, al Governo e al Parlamento, possibili soluzioni. La prima ipotesi
presa in considerazione è stata quella di una proposta di modifica
dell’articolo 117 della Costituzione per riportare alla competenza esclusiva
dello Stato la potestà legislativa in materia di tutela della salute e
sicurezza sul lavoro. Si trattava certamente di una proposta «forte», in quanto
incideva direttamente sull’assetto del nostro sistema istituzionale e, come
tale, è stata oggetto di un’ampia riflessione all’interno della Commissione.
Con questa proposta di
revisione costituzionale non si intendeva tuttavia sottrarre
competenze o poteri
alle Regioni
e alle Province autonome, in nome di una malintesa forma di
statalismo o centralismo, bensì piuttosto ripristinare le condizioni per
l’esercizio di un effettivo potere di indirizzo e di programmazione nelle
politiche a favore della salute e sicurezza sul lavoro, capace di dispiegarsi
in maniera univoca su tutto il territorio nazionale, per assicurare uguali
livelli di tutela di diritti che – è bene ribadirlo – sono costituzionalmente
garantiti. Un potere di questo tipo potrebbe essere esercitato soltanto dallo
Stato, ma non andrebbe ad interferire con le altre attribuzioni spettanti alle
Regioni in questo settore, considerato tra l’altro che l’azione amministrativa
– ossia le concrete competenze operative, volte a tradurre in pratica gli
indirizzi politici – dovrebbe necessariamente esplicarsi a livello locale, come
prevede del resto anche l’articolo 118, primo comma, della Costituzione, in
applicazione del principio di sussidiarietà.
Questa posizione trova
conforto nel confronto con l’assetto normativo di altri Paesi. All’inizio della
XVI legislatura, la Commissione d’inchiesta ha svolto un’apposita indagine in
tre Paesi dell’Unione europea (Germania, Francia e Regno Unito), dalla quale è
risultato che in tutti e tre gli Stati la potestà legislativa in materia di
“tutela e sicurezza del lavoro” è di esclusiva competenza statale, anche in una
nazione di marcata impronta federalista come la Germania.
In realtà, sul tema
della competenza legislativa si confrontano, legittimamente,
due distinte posizioni, fra chi ritiene
che essa dovrebbe essere appunto ricondotta in via esclusiva allo Stato, per
assicurare una effettiva uniformità di indirizzo, e chi invece sostiene
l’opportunità che essa rimanga concorrente fra lo Stato e le Regioni e Province
autonome, per garantire una più efficace attuazione in ambito territoriale. Si
tratta ovviamente di un tema complesso, che si iscrive nel più generale
dibattito sulla ridefinizione dei rapporti e delle competenze tra lo Stato
centrale e gli enti locali, intorno al quale esistono opinioni e sensibilità
diverse”.
La Commissione prosegue ricordando come le criticità da lei stessa
riscontrate nel corso degli anni siano state decisamente
negate dalle Regioni a tale scopo audite e, tenendo conto delle
medesime, formalizza la proposta che testualmente di seguito si trascrive:
“Come risulta da questa
ampia illustrazione, il sistema delle Regioni e delle Province autonome è
dunque fermamente contrario ad una revisione dell’articolo 117 della
Costituzione, ritenendo che essa non risolverebbe i problemi indicati dalla
Commissione d’inchiesta, che andrebbero invece affrontati con interventi volti
a rafforzare il coordinamento e la leale collaborazione tra le amministrazioni
centrali e periferiche nelle sedi istituzionali già esistenti. Ciononostante,
le Regioni hanno comunque riconosciuto l’esistenza di un problema generale, che
è appunto quello di assicurare
una più
efficace uniformità di indirizzo politico e quindi di azione sia a livello
nazionale che territoriale, anche se le valutazioni divergono riguardo alle
possibili soluzioni.
Nel prendere atto della
posizione del
sistema regionale
, la Commissione ha avviato
lo studio di una soluzione alternativa che, senza incidere sul riparto delle
competenze costituzionali in materia di tutela della salute e sicurezza sul
lavoro, possa tuttavia fornire correttivi all’attuale situazione, nella
convinzione che occorra comunque prevenire quei rischi di eccessiva dispersione
e disomogeneità dell’azione amministrativa che – è bene ripeterlo – sono emersi
in modo chiaro durante l’inchiesta, in particolare attraverso la ricognizione
diretta svolta in tutte le Regioni d’Italia negli ultimi due anni.
Si è già spiegato che
nell’attuale assetto istituzionale il coordinamento a livello centrale delle
attività di prevenzione e di vigilanza per la tutela della salute e della
sicurezza sul lavoro spetta al Comitato per l’indirizzo e la valutazione delle
politiche attive e per il coordinamento nazionale dell’attività di vigilanza,
previsto dall’articolo 5 del Testo unico. Tuttavia, per le difficoltà già
indicate, il Comitato non ha potuto finora svolgere appieno questa funzione, il
che costituisce un oggettivo elemento di debolezza del sistema e impone un
ripensamento della natura e degli strumenti a disposizione di questo organismo.
Come si è già accennato nel paragrafo 2.3, partendo da tale assunto, dopo
un’attenta riflessione la Commissione d’inchiesta ha elaborato una proposta,
mirante a sopprimere il Comitato e a sostituirlo contestualmente con una nuova
«
Agenzia nazionale per la salute e la
sicurezza sul lavoro», che ne assumerà le funzioni. L’Agenzia eserciterà
tali attribuzioni, e in particolare quella della programmazione e del
coordinamento delle attività di prevenzione e di vigilanza in materia di salute
e sicurezza sul lavoro, con un rafforzamento dei relativi poteri rispetto
all’assetto vigente. I diversi aspetti dell’iniziativa sono stati esaminati in
particolare nelle sedute del 14 e del 21 novembre 2012 e hanno condotto alla
predisposizione di un testo normativo che, su iniziativa del presidente Tofani
e dei componenti della Commissione, è infine confluito nel disegno di legge n.
3587, presentato in Senato il 27 novembre 2012 e intitolato «Istituzione
dell’Agenzia nazionale per la salute e la sicurezza sul lavoro».
La scelta di proporre
questa soluzione si rende necessaria proprio alla luce delle considerazioni
precedenti: il sistema della prevenzione disegnato dal Testo unico è infatti
necessariamente complesso e articolato, coinvolgendo le competenze di una
pluralità di soggetti istituzionali e sociali. Serve quindi una modalità di
raccordo più forte, che possa fare da sintesi tra le diverse istanze e,
contemporaneamente, dare impulso alle varie attività di prevenzione e di
contrasto agli infortuni e alle malattie professionali. Al riguardo, la
Commissione ha ritenuto che tale compito possa essere meglio assolto da un organismo
dedicato, che sia al tempo stesso operativamente snello e dotato di adeguate
competenze e risorse.
La formula
dell’Agenzia, già prevista e presente nel nostro ordinamento con compiti di
supervisione e controllo in vari settori di pubblico interesse (si pensi, solo
per fare un esempio, all’Agenzia nazionale per la sicurezza delle ferrovie), è
apparsa quindi la scelta più idonea a soddisfare queste esigenze”.
La Commissione, dopo aver esplicato nel dettaglio la proposta
(effettivamente confluita in un vero e proprio disegno di legge), conclude sul
punto formulando: “
L’auspicio (…) che
questa iniziativa possa trovare il sostegno convinto di tutte le istituzioni e
le forze politiche e sociali del Paese, per giungere ad una sua rapida
attuazione nella prossima legislatura, e contribuire così in questo modo ad una
più efficace azione di prevenzione e contrasto agli infortuni e alle malattie
professionali”.
4. Il “Jobs act” e
le possibili novità in materia: “solo” semplificazioni o anche rivisitazione
delle competenze istituzionali?
Tutto quanto sin
qui ricordato va inserito in un momento storico nel quale l’elemento di
prepotente attualità è l’esistenza di un testo – all’interno del
Jobs Act approvato in modo definitivo
il 3 dicembre 2014 a Palazzo Madama – che prevede, tra l’altro, una vera e
propria delega in materia di salute e sicurezza sul lavoro, per quanto di
portata assolutamente non chiara e con una formulazione che desta, del tutto
legittimamente, non poche perplessità (al riguardo si rinvia a
Il
Jobs act e le modifiche in materia di salute e sicurezza
, di Tiziano Menduto, su www.puntosicuro.it del 6 novembre 2014, che contiene
anche una intervista a Cinzia Frascheri sull’argomento).
In particolare, il testo del
Ddl n.1428-B, approvato in Senato pochi giorni fa con le modifiche
della Camera dei Deputati del 25 novembre 2014, comprende una
delega che riguarda anche la materia
della
“igiene e sicurezza sul lavoro”
(espressione evidentemente superata in quanto, come noto, a seguito
dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 81/2008, di “igiene sul lavoro” non si
parla più per essere, invece, utilizzata la più generale dizione di “salute e
sicurezza sul lavoro”) in ordine alla quale:
“
il Governo è delegato ad adottare, entro sei mesi dalla data di
entrata in vigore della presente legge, su proposta del Ministro del lavoro e
delle politiche sociali, di concerto con il Ministro per la semplificazione e
la pubblica amministrazione, uno o più decreti legislativi contenenti
disposizioni di semplificazione e razionalizzazione delle procedure e degli
adempimenti a carico di cittadini e imprese”.
L’articolo
1, comma 5, del documento in commento individua come segue i
principi e criteri direttivi
[2]
della possibile delega:
a) “razionalizzazione e
semplificazione
delle procedure
e degli adempimenti, anche mediante
abrogazione di norme, connessi con la costituzione e la gestione del rapporto
di lavoro, con l’obiettivo di ridurre drasticamente il numero di atti di
gestione del medesimo rapporto, di carattere amministrativo;
b) semplificazione, anche mediante
norme di carattere interpretativo, o abrogazione delle norme interessate da
rilevanti contrasti interpretativi, giurisprudenziali o amministrativi;
c) unificazione delle comunicazioni
alle pubbliche amministrazioni per i medesimi eventi e obbligo delle stesse
amministrazioni di trasmetterle alle altre amministrazioni competenti;
d) introduzione del divieto per le
pubbliche amministrazioni di richiedere dati dei quali esse sono in possesso;
e) rafforzamento del sistema di
trasmissione delle comunicazioni in via telematica e abolizione
della tenuta di documenti cartacei;
f) revisione del
regime
delle sanzioni
, tenendo conto dell’eventuale natura
formale della violazione, in modo da favorire l’immediata eliminazione degli
effetti della condotta illecita,
nonché valorizzazione degli istituti
di tipo premiale;
g) previsione di modalità
semplificate per garantire data certa nonché l’autenticità della manifestazione
di volontà della lavoratrice o del lavoratore in relazione alle dimissioni o
alla risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, anche tenuto conto della
necessità di assicurare la certezza della cessazione del rapporto nel caso di
comportamento concludente in tal senso della lavoratrice o del lavoratore;
h) individuazione di modalità
organizzative e gestionali che consentano di svolgere esclusivamente in via
telematica tutti gli adempimenti di carattere amministrativo connessi con la
costituzione, la gestione e la cessazione del rapporto di lavoro;
i) revisione degli adempimenti in
materia di libretto formativo del cittadino, in un’ottica di integrazione
nell’ambito della dorsale informativa di cui all’articolo 4, comma 51, della
legge 28 giugno 2012, n. 92, e della banca dati delle politiche attive e
passive del lavoro di cui all’articolo 8 del decreto-legge 28 giugno 2013, n.
76, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 99, anche con
riferimento al sistema dell’apprendimento permanente;
l) promozione del principio di
legalità e priorità delle politiche volte a prevenire e scoraggiare il lavoro
sommerso in tutte le sue forme ai sensi delle risoluzioni del Parlamento
europeo del 9 ottobre 2008 sul rafforzamento della lotta al lavoro sommerso
(2008/2035(INI)) e del 14 gennaio 2014 sulle ispezioni sul lavoro efficaci come
strategia per migliorare le condizioni di lavoro in Europa (2013/2112(INI)”.
Il testo
approvato e la possibile
rivisitazione
della normativa di salute e sicurezza sul lavoro costituisce, a parere di
chi scrive, una importante opportunità.
In
particolare, mi pare utile che si possano sfruttare oltre cinque anni di
applicazione del “testo unico” – un tempo non lungo ma sufficiente ad
individuare taluni errori nella attuale regolamentazione, resi evidenti dalla
applicazione della normativa in concreto – per migliorarne la comprensibilità e
l’efficacia in termini di prevenzione degli infortuni e delle malattie
professionali. Al riguardo, pur comprendendo le preoccupazioni che sono state
espresse (nell’ambito della già segnalata intervista resa a
Tiziano Menduto) da Cinzia
Frascheri in ordine all’ipotesi di un troppo radicale
mutamento dell’assetto legislativo italiano in materia di salute e sicurezza,
non le reputo condivisibili in ragione della circostanza
che tale scelta non sarebbe giuridicamente possibile
per la semplice ragione che, come noto, il
“testo unico” è regolamentazione di derivazione comunitaria che, quindi, non
ammette modifiche legislative che comportino la lesione di livelli di tutela
già vigenti in Italia e a loro volta attuativi di direttive comunitarie.
In tale
contesto ritengo che l’occasione da cogliere, anzi, dovrebbe essere quella di
snellire le disposizioni vigenti in materia di salute e sicurezza e
perfezionarle,
partendo dalla garanzia
del più rigoroso e insuperabile rispetto dei livelli di tutela che sono
trasposizione in Italia delle previsioni delle direttive comunitarie di
riferimento.
In tale
scenario, come già esposto ancora molto “fluido” sia quanto alla possibilità
che l’intervento di riforma si realizzi sia quanto alla sua conclusiva portata,
è parimenti auspicabile un intervento
sull’assetto delle competenze tra Stato e Regioni, che dovrebbe muoversi
nella direzione di una modifica dell’assetto istituzionale oggi vigente.
Ciò per le
ragioni già evidenziate dalla Commissione di inchiesta nella citata “Relazione
finale” e anche per l’eccessivo proliferare di interventi a livello regionale e
provinciale troppo disomogenei tra loro e realizzati con strumenti impropri,
vale a dire non con leggi ma con decreti, delibere o, addirittura, per mezzo di
circolari, in quanto inidonei a sostituire la legislazione nazionale (per
quanto “cedevole” nel senso sopra illustrato). Tale modifica potrebbe essere
limitata ad alcuni aspetti dell’assetto istituzionale in materia (è il caso
della Agenzia proposta dalla Commissione d’inchiesta), realizzandosi a
struttura costituzionale invariata, oppure – auspicabilmente – potrebbe passare
per mezzo del disegno di legge di modifica
costituzionale,
anch’esso in discussione in Parlamento, che prevede la devoluzione della
materia della salute e sicurezza allo Stato.
Una simile
scelta sarebbe essa stessa una
semplificazione,
sia in quanto individuerebbe un riferimento unico a livello nazionale in luogo
di tanti a livello territoriale (in ordine ai quali neppure è possibile
ipotizzare rapporti di tipo gerarchico che giustifichino interventi di
correzione nei riguardi di provvedimenti regionali o provinciali non coerenti
con quelli di altre Regioni o Province autonome) e sia perché renderebbe
possibile l’eliminazione, per quanto graduale, di atti (si pensi, per tutti, ai
molteplici Accordi in Conferenza Stato-Regioni applicabili alla materia della
formazione alla salute e sicurezza sul lavoro) complessi e spesso in contrasto
tra loro.
Fondamentale,
qualora si decidesse di mutare il quadro normativo di riferimento, sarebbe
collocare la materia della salute e sicurezza sul lavoro nell’ambito dell’
“
ordinamento
civile” materia che già oggi, ai sensi dell’articolo 117, secondo
comma, lettera l), della Costituzione, ricade nella sfera della competenza
esclusiva dello Stato. Tale conclusione si impone in quanto le disposizioni
vigenti in materia di salute e sicurezza in Italia sono, come pacifico,
innanzitutto attuative dell’obbligo generale di tutela di cui all’articolo 2087
del codice civile, interpretato – dai Giudici civili e penali – in base al noto
principio della “massima sicurezza tecnologicamente possibile” [3].
Ciò varrebbe a dire riconoscere una volta per tutte che la materia della salute
e sicurezza sui luoghi di lavoro è
“oggetto
di un’obbligazione contrattuale del datore di lavoro alla quale fa riscontro il
diritto del lavoratore a che siano approntate tutte le misure necessarie a
garantirgli l’integrità fisica e la personalità morale” (M. Persiani,
Devolution
e diritto del lavoro, op. cit., 24).
Si tratta, del resto, di una
interpretazione condivisa dalla giurisprudenza della Corte costituzionale
secondo cui tutto ciò che riguarda i rapporti intersoggettivi tra datore e
lavoratore deve essere collocato nell’
“ordinamento
civile" (Corte cost. n. 50/2005), compresa l’ipotetica disciplina
legislativa (allo stato, inesistente) del
mobbing, fenomeno che
“rientra nell’ordinamento civile” in
quanto
“non può non mirare a
salvaguardare sul luogo di lavoro la dignità ed i diritti fondamentali del
lavoratore” (Corte cost., n. 359/2003). Come può dirsi – a parere di chi
scrive – a maggior ragione per la massima parte della disciplina vigente in
materia di salute e sicurezza sul lavoro.
A favore della tesi della competenza
legislativa esclusiva dello Stato nella materia della salute e sicurezza
sul lavoro depone, altresì, la circostanza che la maggior parte delle norme
allo stato applicabili è assistita da sanzione penale la quale, a meno che non
si intenda – come l’ordinamento vigente
non
consente – ipotizzare una differente disciplina regionale,
resta nella completa disponibilità del legislatore statale.
Al riguardo – in tal modo in
qualche misura “tradendo” una volontà di dare alla attuale formulazione
dell’articolo 117 della Costituzione una interpretazione che non vanifichi, con
specifico riguardo alla infelice espressione “tutela e sicurezza del lavoro”,
il principio della “devoluzione” della legislazione alle Regioni – il
Consiglio di Stato, nel già descritto
parere del 2004, era arrivato addirittura ad ipotizzare la possibilità che
“la disposizione statale preveda il nucleo
del precetto (…), al contempo enunciando il criterio tecnico alla stregua del
quale il legislatore regionale può attendere alla specificazione, sempre in
chiave tecnica, dello stesso precetto statale” prefigurando una tecnica
normativa “composita” che appare di ben difficile applicabilità.
In ogni caso, la posizione complessivamente
assunta dal Consiglio di Stato (e descritta nel dettaglio nella prima parte
di questo contributo) appare in un certo senso (a mio parere,
fortunatamente) “isolata”, ancora più ove si consideri che nel parere in
commento sembra argomentarsi nel senso che sarebbero le Regioni a dover
legiferare in materia di salute e sicurezza sul lavoro spettando allo Stato
unicamente la determinazione dei principi generali in materia in alcuni
limitati casi. Al riguardo, è sufficiente rimarcare come la Corte costituzionale
nella più volte citata sentenza n. 359 del 2003 ha affermato che anche ove sia
assente una disciplina legislativa
“deve
ritenersi precluso alle Regioni intervenire, in ambiti di potestà legislativa
concorrente, dettando norme che vanno ad incidere sul terreno dei principi
fondamentali”.
In un tale contesto la
devoluzione della competenza legislativa
in materia di salute e sicurezza allo Stato in luogo delle Regioni
eliminerebbe anche solo potenzialmente la
disomogeneità tra normative territoriali di salute e sicurezza, la quale
espone i lavoratori al rischio del difetto di tutela sui luoghi di lavoro e lo
Stato alla responsabilità risarcitoria per incompleta attuazione delle
direttive comunitarie; ciò proprio in una materia, quale la salute e sicurezza
sul lavoro, che riguarda beni di natura primaria costituzionalmente tutelati e
che, pertanto, impone la sicura (ed uniforme anche a livello territoriale)
individuazione di alcune garanzie di base rispetto alle quali la potestà
legislativa concorrente delle Regioni si manifesti – casomai – unicamente
tramite deroghe migliorative rispetto ai livelli dettati dalla legislazione
statale.
Avv. Lorenzo Fantini
[1] Disponibile, quindi, nel relativo
sito, ma anche in www.olympus.uniurb.it
[2] Il
testo è stato leggermente modificato il 25 novembre dalla Camera dei Deputati
rispetto alla prima versione approvata dal Senato della Repubblica nella seduta
pomeridiana dell’8 ottobre 2014.
[3] In ordine al quale, quanto alla
relativa importanza e portata, sia consentito rinviare a Dubini-Fantini,
I compiti e le responsabilità delle figure
della prevenzione, EPC, 2014, Volume II
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