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"Datore di lavoro: l’indelegabilità delle scelte di politica aziendale"
fonte www.puntosicuro.it / Sentenze
23/02/2015 -
Commento a cura di Gerardo Porreca
È un tema che in questi ultimi tempi sta ricorrendo spesso quello
affrontato dalla Corte di Cassazione in questa sentenza e cioè quello
riguardante l’
individuazione dei limiti della delegabilità degli obblighi che
al datore di lavoro rivengono dall’applicazione delle disposizioni di
legge in materia di salute e di sicurezza sul lavoro per ultima, tra le
altre, la sentenza Sez. IV Pen. n. 25222 del
13/6/2014, Pres. Brusco, P.M. Iacoviello in proc. M.G. in base alla
quale in materia di salute e di sicurezza sul lavoro non sono delegabili
le scelte generali di politica aziendale, dalle quali possono derivare
carenze strutturali, e l’organizzazione generale della sicurezza sul
lavoro anche se lo stesso ha provveduto ad una ripartizione delle
competenze specifiche all’interno della propria azienda. Pur a fronte di
una delega corretta ed efficace,
infatti, ha ribadito la Corte suprema in questa sentenza, non potrebbe
andare esente da responsabilità il datore di lavoro allorché le carenze
riscontrate nella disciplina antinfortunistica e, più in generale,
nella materia della sicurezza attengano a delle scelte di carattere
generale della politica aziendale oppure a delle carenze strutturali,
rispetto alle quali nessuna capacità di intervento possa realisticamente
attribuirsi ad un delegato alla sicurezza.
Il
fatto e l’iter giudiziario
La Corte di Appello, in parziale riforma di quella resa
all'esito del giudizio abbreviato condizionato dal Tribunale, ha dichiarato non
doversi procedere nei confronti del Presidente del Consiglio di Amministrazione
di una società in ordine alla contravvenzione ascrittagli (art. 4 comma 2, 88
quinquies e 88 novies d.lgs. n. 626 del 1994) perché estinta per prescrizione
ed ha invece confermata la condanna alla pena di mesi uno e giorni dieci di
reclusione sostituita con quella pecuniaria di € 1.520 di multa, in ordine al
reato di lesioni colpose con violazione delle norme a tutela degli infortuni
sul lavoro in danno di un dipendente della società medesima.
Secondo l'imputazione, il Presidente del Consiglio di
Amministrazione della società, avente ad oggetto la produzione di prodotti
chimici, attività a rischio di incidente rilevante ai sensi dell'art 8 D. Lgs n.
334/99 (c.d normativa anti Seveso), nonché il delegato in materia di
prevenzione e sicurezza sul lavoro dallo stesso nominato in forza di una delega
e di una successiva procura notarile, entrambe non indicanti il budget di spesa
a disposizione dei delegato e gestore dello stabilimento ai sensi del D. Lgs n.
334/1999 (con designazione analogamente priva di indicazione dei poteri di
spesa) per colpa consistita nella violazione di norme in materia di prevenzione
infortuni, cagionavano lesioni personali gravi (pericolo di vita e comunque
durata superiore ai 40 giorni) ad un dipendente della società il quale, assunto
come operaio, dopo aver ricevuto il giorno stesso due sole ore di
informazione-formazione, era intento nel turno di
notte a travasare, attraverso il boccaporto, in un reattore contenente
liquidi infiammabili un sacco in polietilene contenente polvere di DBTO
(dibutilossido di stagno), anch'esso altamente infiammabile come evidenziato
nelle schede tecniche dei prodotto,
peraltro senza adeguati dispositivi di protezione individuale. Durante
lo scuotimento del sacco, con movimento vorticoso della polvere e/o sfregamento
della polvere stessa contro il sacco in polietilene ed a causa delle cariche
elettrostatiche che fungevano da innesco dei vapori presenti all'interno del
reattore, il lavoratore veniva investito da una fiammata, riportando così
ustioni di 2° e 3° grado sul 60% del corpo (volto, torace e arti superiore).
Al Presidente del Consiglio di Amministrazione, in
particolare, era stata contestata la violazione dell'art. 4 comma 2,
88-quinques e 88-novies del D. Lgs. 19/9/1994 n. 626 per non aver redatto un
documento di valutazione dei rischi da atmosfere esplosive, e per non avere
indicato le relative misure di prevenzione e protezione, incombenza alla quale
lo stesso era specificamente tenuto e che non poteva essere oggetto di delega.
Il
ricorso in Cassazione, le motivazioni e le decisioni della Corte suprema
Il Presidente del Consiglio di Amministrazione ha fatto
ricorso in Cassazione denunciando una violazione di legge in relazione all'art.
1, comma 4 dei D.lgs. n. 626/1994 sostenendo che la norma doveva essere
interpretata secondo il principio ad impossibilità
nemo tenetur dovendosi ritenere che la valutazione del rischio era
indelegabile solo nel senso che il datore di lavoro, che nel caso di specie
doveva occuparsi di quattro distinte aziende di cui una in Germania e l'altra
negli USA, deve preoccuparsi che la valutazione sia fatta e non che non potesse
per far questo avvalersi dell'opera di terzi così come appunto aveva fatto lui.
Il ricorrente ha altresì sostenuta una contraddittorietà o manifesta illogicità
della motivazione addotta dalla Corte laddove la stessa, dopo avere affermato
che l'obbligo di valutazione dei rischi è indelegabile, subito dopo ha
sostenuto che il datore di lavoro, consapevole dei propri limiti di competenza
e conoscenze, deve ricorrere all'ausilio di professionisti specializzati.
Il ricorso è stato ritenuto infondato dalla Corte di
Cassazione che lo ha pertanto respinto. La stessa ha fatto presente che la
sentenza impugnata ha richiamato l'art. 4 ter del D. Lgs. n. 626/1994 laddove
lo stesso ha stabilito che il datore di lavoro non può delegare gli adempimenti
previsti all'art. 4, commi 1, 2, 4 lett. a) e 11 primo periodo e l'art. 4 dello
stesso D. Lgs. che ha precisato che spetta al datore di lavoro effettuare la valutazione
dei rischi ed elaborare il documento di valutazione dei rischi indicando le
relative misure di prevenzione e protezione. Correttamente, ha sostenuto la
Sez. IV, la Corte di Appello ha ritenuto che in materia di prevenzione degli
infortuni sul lavoro, in virtù della sopra richiamata normativa, il datore di
lavoro non può delegare l'attività di valutazione dei rischi per la salute e la
sicurezza del lavoratore e la designazione del responsabile del servizio di
prevenzione e protezione dei rischi neanche nell'ambito d'imprese di grandi
dimensioni.
Anche correttamente la Corte territoriale aveva ritenuto
che il rischio era insito nella pericolosità fisica e chimica del prodotto DBTO
e nelle modalità di lavorazione consistenti in uno sversamento che poteva
determinare, come appunto è accaduto, la formazione di polveri che, miscelate
con l'aria contenuta nel reattore e idonee a caricarsi elettrostaticamente per
effetto dello stesso sversamento a causa dello strofinio della polvere stessa
contro la superficie del sacco, potevano provocare una scintilla sufficiente ad
innescare, con la potente miscela di sostanze infiammabili già presenti nel
reattore, la fiammata ed il conseguente infortunio. Il rischio suddetto, al
quale poteva essere sottoposta nella circostanza anche la popolazione, avrebbe
dovuto essere considerato in una appropriata scheda di valutazione dei rischi
con l’indicazione delle relative precauzioni e ciò da parte del datore di
lavoro senza che potesse delegare tale obbligo ad altri.
Il responsabile del servizio di prevenzione e protezione,
ha fatto ancora presente la Sez. IV, è una sorta di consulente del datore di
lavoro ed i risultati dei suoi studi ed elaborazioni sono fatti propri dal
datore di lavoro che lo ha nominato, con la conseguenza che quest'ultimo è
chiamato a rispondere delle eventuali negligenze del primo. Il ricorso
all'ausilio di professionisti specializzati, infatti, non implica alcuna
possibilità di scaricare sugli stessi ogni responsabilità di cui è
espressamente onerato il datore di lavoro ma significa solo che questi può
avvalersi, facendole proprie, delle segnalazioni, raccomandazioni, consigli
precauzionali e prevenzionali espressi dagli specialisti in relazione alla
specifica attività lavorativa per la quale è stato sollecitato il loro
intervento.
È vero, ha quindi proseguito la Corte suprema, che nelle
imprese di grandi dimensioni si pone la delicata questione, attinente
all'individuazione del soggetto che assume su di sé, in via immediata e
diretta, la posizione di garanzia, la cui soluzione precede, logicamente e
giuridicamente, quella della (eventuale) delega
di funzioni e che in imprese di tal genere non può individuarsi questo
soggetto, automaticamente, in colui o in coloro che occupano la posizione di
vertice, occorrendo un puntuale accertamento, in concreto, dell'effettiva
situazione della gerarchia delle responsabilità all'interno dell'apparato strutturale,
così da verificare la eventuale predisposizione di un adeguato organigramma
dirigenziale ed esecutivo il cui corretto funzionamento esonera l'organo di
vertice da responsabilità di livello intermedio e finale. In altri termini, ha
precisato la Sez. IV, nelle imprese di grandi dimensioni non è possibile
attribuire senz'altro all'organo di vertice la responsabilità per
l'inosservanza della normativa di sicurezza, occorrendo sempre apprezzare
l'apparato organizzativo che si è costituito, sì da poter risalire, all'interno
di questo, al responsabile di settore, e se così non fosse si finirebbe con
l'addebitare all'organo di vertice quasi una sorta di responsabilità oggettiva
rispetto a situazioni ragionevolmente non controllabili, perché devolute alla cura
ed alla conseguente responsabilità di altri.
È altrettanto vero però, ha tenuto a precisare la Corte di
Cassazione, che il problema interpretativo ricorrente è sempre stato quello
della individuazione delle condizioni di
legittimità della delega e questo
per evitare una facile elusione dell'obbligo di garanzia gravante sul datore di
lavoro e, nel contempo, per scongiurare il rischio, sopra evidenziato, di
trasformare tale obbligo in una sorta di responsabilità oggettiva, correlata in
via diretta ed immediata alla posizione soggettiva di datore di lavoro.
“
Altrettanto
consolidato”, ha sostenuto però la Sez. IV, “
è il principio che la delega non può essere illimitata quanto
all'oggetto delle attività trasferibili. In vero, pur a fronte di una delega
corretta ed efficace, non potrebbe andare esente da responsabilità il datore di
lavoro allorché le carenze nella disciplina antinfortunistica e, più in
generale, nella materia della sicurezza, attengano a scelte di carattere
generale della politica aziendale ovvero a carenze strutturali, rispetto alle
quali nessuna capacità di intervento possa realisticamente attribuirsi al
delegato alla sicurezza” per cui, ha così concluso la suprema Corte, “
è da ritenere, quindi, senz'altro fermo l'
obbligo per il datore di lavoro di
intervenire allorché apprezzi che il rischio connesso allo svolgimento
dell'attività lavorativa si riconnette a scelte di carattere generale di
politica aziendale ovvero a carenze strutturali, rispetto alle quali
nessuna capacità di intervento possa realisticamente attribuirsi al delegato
alla sicurezza. Tali principi hanno trovato conferma nel D.Lgs. n. 81 dei 2008,
che prevede, infatti, gli obblighi del datore di lavoro non delegabili, per
l'importanza e, all'evidenza, per l'intima correlazione con le scelte aziendali
di fondo che sono e rimangono attribuite al potere/dovere del datore di lavoro”.
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