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"Decreto 231: la responsabilità amministrativa nei gruppi societari"
fonte www.puntosicuro.it / Normativa
03/07/2015 - Il fenomeno dei
gruppi societari rappresenta in
Italia una soluzione organizzativa diffusa che viene adottata per varie
ragioni. Ad esempio per l’esigenza di diversificare l’attività e
ripartire i rischi tra le varie imprese.
Tuttavia il D.Lgs. 231/2001, il decreto che introduce la
responsabilità amministrativa per
le aziende derivante da uno o più illeciti conseguenti alla commissione
di un reato, non affronta espressamente gli aspetti connessi alla
responsabilità dell’ente appartenente a un gruppo di imprese. E inoltre
la maggiore complessità organizzativa dei gruppi societari rende più
complicata nelle singole imprese la costruzione di sistemi di
prevenzione dei reati rilevanti ai sensi del D.Lgs. 231/2001.
Per dare informazioni sulla responsabilità amministrativa e
sull’adozione dei modelli organizzativi nel contesto dei gruppi
societari, possiamo fare riferimento al documento di Confindustria,
aggiornato nel 2014, dal titolo “ Linee
guida per la costruzione dei modelli di organizzazione, gestione e
controllo. Ai sensi del Decreto Legislativo 8 giugno 2001, n. 231”.
Nel capitolo dedicato alla
responsabilità da reato nei gruppi di
imprese si indica che nel nostro ordinamento, benché manchi una “disciplina
generale del gruppo”, esistono tuttavia “alcuni indici normativi, quali il
controllo e il collegamento (art. 2359 c.c.) e la direzione e coordinamento
(art. 2497 c.c.) di società, che confermano la rilevanza del fenomeno delle
imprese organizzate in forma di gruppo”. Ma l’ordinamento giuridico “considera
unitariamente il gruppo solo nella prospettiva economica. Nella prospettiva del
diritto, esso risulta privo di autonoma capacità giuridica e costituisce un
raggruppamento di enti dotati di singole e distinte soggettività giuridiche”. E
dunque, non essendo un ente, un gruppo “non può considerarsi diretto centro di
imputazione della responsabilità da reato e non è inquadrabile tra i soggetti
indicati dell’art. 1 del decreto 231”:
non
si può dunque in alcun modo “affermare una responsabilità diretta del gruppo ai
sensi del decreto 231”.
Tuttavia gli enti che compongono
il gruppo possono “rispondere in dipendenza dei reati commessi nello
svolgimento dell’attività di impresa. È dunque più corretto interrogarsi sulla
responsabilità da reato nel gruppo”. E come affermato dalla giurisprudenza di
legittimità (ad esempio
Cass., VI Sez.
pen., sent. n. 2658 del 2014), “non è possibile desumere la responsabilità
delle società controllate dalla mera esistenza del rapporto di controllo o di
collegamento all’interno di un gruppo di società. Il giudice deve
esplicitamente individuare e motivare la sussistenza dei criteri di imputazione
della responsabilità da reato anche in capo alle controllate”.
È dunque necessario chiarire “quali
accorgimenti organizzativi possono essere adottati dalle imprese organizzate in
forma di gruppo - in primo luogo la holding - per non incorrere in
responsabilità a seguito del reato commesso dagli esponenti di un’altra società
del gruppo”.
Il documento affronta
direttamente anche il tema della
responsabilità
della holding per il reato commesso nella controllata.
La giurisprudenza di legittimità
(cfr.
Cass., V Sez. pen., sent. n. 24583
del 2011) indica che “non si può, con un inaccettabile automatismo,
ritenere che l’appartenenza della società a un gruppo di per sé implichi che le
scelte compiute, ad esempio, dalla controllata perseguano un interesse che
trascende quello proprio, essendo piuttosto imputabile all’intero raggruppamento
o alla sua controllante o capogruppo”. E dunque perché anche un’altra società
del gruppo sia ritenuta responsabile da reato “occorre quindi che l’illecito
commesso nella controllata abbia recato una specifica e concreta utilità -
effettiva o potenziale e non necessariamente di carattere patrimoniale - alla
controllante o a un’altra società del gruppo”.
Dunque la holding/controllante
potrà essere ritenuta “
responsabile per
il reato commesso nell’attività della controllata qualora:
- sia stato commesso un reato
presupposto nell’ interesse
o vantaggio immediato e diretto, oltre che della controllata, anche della
controllante;
- persone fisiche collegate in
via funzionale alla controllante abbiano partecipato alla commissione del reato
presupposto recando un contributo causalmente rilevante (Cass., V sez. pen.,
sent. n. 24583 del 2011), provato in maniera concreta e specifica”.
Nel documento, che vi invitiamo a
leggere integralmente, sono presentati anche alcuni esempi esplicativi.
Infine le linee guida si
soffermano sull’
adozione di modelli
organizzativi idonei a prevenire reati-presupposto della responsabilità da
reato nel contesto dei gruppi.
Il documento indica infatti che
per bilanciare l’autonomia delle singole società e la promozione di una
politica di gruppo nella lotta alla criminalità di impresa, è opportuno che
“l’attività di organizzazione per prevenire reati-presupposto della
responsabilità da reato degli enti tenga conto di alcuni accorgimenti”.
Innanzitutto viene sottolineato
che ogni società del gruppo è “chiamata a svolgere autonomamente l’attività di
predisposizione e revisione del proprio Modello organizzativo”.
E se questa attività può essere
condotta “anche in base a indicazioni e modalità attuative previste da parte
della holding in funzione dell’assetto organizzativo e operativo di gruppo”,
queste indicazioni non dovranno determinare una “limitazione di autonomia” da
parte delle società controllate nell’adozione del Modello
organizzativo.
In particolare “l’adozione da
parte di ogni società del gruppo di un proprio autonomo Modello determina due
fondamentali
conseguenze:
- consente di elaborare un
modello realmente calibrato sulla realtà organizzativa della singola impresa.
Infatti, solo quest’ultima può realizzare la puntuale ed efficace ricognizione
e gestione dei rischi di reato, necessaria affinché al modello sia riconosciuta
l’efficacia esimente di cui all’articolo 6 del decreto 231;
- conferma l’autonomia della
singola unità operativa del gruppo e, perciò, ridimensiona il rischio di una
risalita della responsabilità in capo alla controllante”.
Ed è poi opportuno che ogni
società del gruppo “nomini un proprio
Organismo
di vigilanza, distinto anche nella scelta dei singoli componenti. Non è
infatti raccomandabile l’identificazione, nell’ambito del Gruppo, di Organismi
di vigilanza composti dai medesimi soggetti. Solo un Organismo di vigilanza
costituito nell’ambito del singolo ente può infatti dirsi ‘
organismo dell’ente, dotato di autonomi poteri di iniziativa e
controllo’ (art. 6, comma 1, lett. b, decreto 231)”. E per evitare una “risalita
alla responsabilità della controllante per i reati commessi nella controllata,
è anche opportuno evitare che i medesimi soggetti rivestano ruoli apicali
presso più società del gruppo (cd.
interlocking
directorates)”.
Dopo aver presentato le soluzioni
organizzative che espongono gli enti del gruppo, “in particolare la holding, a
responsabilità per il reato commesso all’interno della controllata”, le linee
guida sottolineano gli aspetti positivi del raccordare gli sforzi organizzativi
degli enti raggruppati per contrastare più efficacemente i fenomeni di
criminalità di impresa.
Nell’esercizio dei poteri di
direzione e coordinamento la controllante può, ad esempio, “sollecitare
l’adozione ed efficace attuazione da parte di tutte le società del gruppo di
propri modelli
organizzativi”. E la capogruppo potrà indicare anche “una struttura del
codice di comportamento, principi comuni del sistema disciplinare e dei protocolli
attuativi. Queste componenti del modello dovranno, tuttavia, essere
autonomamente implementate dalle singole società del gruppo” e calate nelle specifiche
realtà aziendali.
Il documento ricorda tuttavia
che, sulla base delle passate esperienze, “nella prassi operativa possono
presentarsi talune
problematiche,
riconducibili a profili di competenze specialistiche e di dimensionamento
organizzativo che connotano tipicamente le società del gruppo, con possibili
riflessi in termini di efficacia del complessivo modello di
governance in materia 231, valutato a
livello di gruppo”.
Concludiamo segnalando, infine,
che le linee guida si soffermano anche sulle peculiarità della responsabilità
231 nei
gruppi transnazionali,
gruppi che proprio per la dimensione transnazionale presentano “profili
specifici di potenziale pericolosità in termini di criminalità economica” (dispersione
geografica delle attività, decentramento decisionale, crescente complessità
delle operazioni economiche, difficoltà
nel perseguire i reati, ...).
Confindustria, “ Linee guida per la costruzione dei modelli di organizzazione,
gestione e controllo. Ai sensi del Decreto Legislativo 8 giugno 2001, n. 231”,
Parte Generale, documento aggiornato al mese di marzo 2014 (formato PDF, 1.37
MB).
Confindustria, “ Linee guida per la costruzione dei modelli di organizzazione,
gestione e controllo. Ai sensi del Decreto Legislativo 8 giugno 2001, n. 231”,
Parte Speciale, documento aggiornato al mese di marzo 2014 (formato PDF, 1.39
MB).
Tiziano Menduto
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