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"Sulla culpa in eligendo e in vigilando per la valutazione dei rischi "
fonte www.puntosicuro.it / Sentenze
06/07/2015 - Una sentenza quella che
si commenta nella quale viene messa in evidenza dalla Corte di Cassazione
penale la necessità da parte del datore di lavoro di scegliere oculatamente il
soggetto al quale affidare la valutazione dei rischi esistenti nella propria
azienda nonché di vigilare sul suo operato e sui tempi di esecuzione di tale
importante adempimento, necessità tanto più avvertita nel caso in cui il datore
di lavoro, che è titolare indelegabile dell’obbligo di valutare i rischi e di
elaborare il relativo DVR, si affidi a soggetti o società esterne. Individuata nel
caso in esame dapprima dal Tribunale e ribadita quindi dalla suprema Corte una “ culpa
in eligendo” a carico del datore di lavoro, addebitata al momento della
scelta del soggetto al quale ha affidata la valutazione dei rischi ed una “culpa
in vigilando” a carico dello stesso nel momento in cui non ha provveduto a
controllare il suo operato.
Il caso e il ricorso in Cassazione
Il Tribunale ha condannato il legale
rappresentante di una cooperativa alla pena dell’ammenda per la contravvenzione
prevista dall’articolo 29 comma 1 e punita dall’articolo 55 comma 1 del D.
Lgs. n. 81/2008 perché, in qualità di
datore di lavoro, non aveva effettuata
la valutazione
dei rischi e non aveva elaborato il documento di cui all’articolo 17 comma
1 lettera a) dello stesso D. Lgs. in collaborazione con il responsabile del
servizio di prevenzione e protezione ed il medico competente, nei casi previsti
dall’articolo 41.
Avverso la sentenza l’imputato, tramite il
proprio difensore, ha proposto impugnazione qualificata come appello, nella
quale ha sostenuto che aveva commissionato ad una società esterna la redazione
del documento di valutazione dei rischi, documento che era stato redatto in
ritardo per cause imputabili alla società stessa ed era stato presentato alla
Asl 48 ore dopo il sopralluogo nel quale era stato accertato il reato. Il
Tribunale aveva comunque ritenuto sussistente una “culpa in eligendo” e una “culpa
in vigilando” in capo all’imputato, il quale si era affidato ad una impresa
inadeguata e non aveva sorvegliato sui tempi di effettiva redazione del
documento. In merito la difesa del datore di lavoro ha messo in evidenza che,
ammesso pure che il documento presentato avesse alcune lacune, la versione
definitiva dello stesso era stata comunque depositata nel successivo mese di agosto.
Le
decisioni della suprema Corte
L’impugnazione, qualificata come ricorso per
cassazione, essendo stata proposta avverso una sentenza di condanna alla sola
ammenda inappellabile ai sensi dell’articolo 593 c.p.p., comma 3, è stata
ritenuta inammissibile da parte della Corte di Cassazione perché basata su
motivi non sufficientemente specifici. Secondo la stessa Corte, infatti, la difesa
si era limitata a mere indimostrate asserzioni in relazione alla circostanza
che il ritardo nella redazione del documento di valutazione dei rischi sarebbe
stato imputabile esclusivamente all’inerzia della società che era stata
incaricata a tale scopo per cui i rilievi presentati non sono stati ritenuti idonei
a scardinare l’impianto logico-argomentativo della sentenza impugnata. Il
ricorrente ha trascurato infatti, secondo la suprema Corte, “
di
contestare le affermazioni contenute nella stessa sentenza, secondo cui vi
sarebbero, nel caso di specie, sia una culpa in eligendo, per l’affidamento
dell’incarico di redazione del documento ad una società dotata di
un’organizzazione inadeguata, sia una culpa in vigilando, per il mancato
controllo dell’imputato sui tempi di esecuzione di tale importante e
indifferibile adempimento”. “Né la difesa ha spiegato”, ha così
concluso la Sez. III
, “perché l’imputato, pur consapevole della mancanza del documento,
abbia comunque continuato lo svolgimento dell’attività aziendale, rispetto alla
quale tale documento che deve avere data certa ed essere custodito presso
l’unità produttiva a cui si riferisce la valutazione dei rischi, costituisce un
presupposto indefettibile (ai sensi del Decreto Legislativo n. 81 del 2008,
articolo 38, comma 2 e articolo 29, comma 4)”.
Tenuto conto, altresì, della sentenza 13/6/2000
n. 186 della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non
sussistevano elementi per ritenere che la parte avesse proposto il ricorso
senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, la
Corte di Cassazione ha condannato il ricorrente, a norma dell’articolo 616
c.p.p., al pagamento delle spese del procedimento nonché della somma di
1.000,00 euro in favore della cassa delle ammende.
Gerardo Porreca
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