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"Decreto 231: obblighi di informazione e responsabilità dell’OdV"
fonte www.puntosicuro.it / Normativa
22/09/2015 - Il tema dell’esonero dalla responsabilità amministrativa (D.Lgs. 231/2001) in relazione all’adozione di idonei
modelli di organizzazione e alla presenza
di un ente dotato di autonomi poteri di iniziativa e controllo, l’
Organismo di vigilanza (OdV),
non finisce mai di generare dubbi interpretativi sul dettato normativo o
sulle possibili conseguenze in termini di responsabilità.
Ad esempio cosa vuol dire la lettera d) del secondo comma dell’articolo 6 del D.Lgs. 231/2001, quando indica che
in relazione all'estensione dei poteri delegati e al rischio di commissione dei reati è necessario
prevedere
obblighi di informazione nei confronti dell'organismo deputato a vigilare sul funzionamento e l'osservanza dei modelli?
E quali sono i
profili penali di responsabilità dell’ Organismo di vigilanza?
Per provare rispondere a queste
domande torniamo a presentare un documento di Confindustria, aggiornato nel
2014, dal titolo “ Linee
guida per la costruzione dei modelli di organizzazione, gestione e controllo.
Ai sensi del Decreto Legislativo 8 giugno 2001, n. 231”.
L’
obbligo di informazione dell’Organismo di Vigilanza, come indicato
all’articolo 6, sembra concepito – scrive il documento confindustriale – “quale
ulteriore strumento per agevolare l’attività di vigilanza sull’efficacia del
Modello e di accertamento a posteriori delle cause che hanno reso possibile il
verificarsi del reato”.
Se effettivamente è questo lo
spirito del legislatore, allora si può ritenere che l’obbligo di informazione
all’OdV debba essere rivolto alle funzioni aziendali a rischio reato e
riguardare:
a) “le risultanze periodiche dell’attività
di controllo dalle stesse posta in essere per dare attuazione ai modelli
(report riepilogativi dell’attività svolta, attività di monitoraggio, indici
consuntivi, ecc.);
b) le anomalie o atipicità
riscontrate nell’ambito delle informazioni disponibili (un fatto non rilevante,
se singolarmente considerato, potrebbe assumere diversa valutazione in presenza
di ripetitività o estensione dell’area di accadimento)”.
E le
informazioni potranno riguardare, ad esempio:
- “le decisioni relative alla
richiesta, erogazione e utilizzo di finanziamenti pubblici;
- le richieste di assistenza
legale inoltrate dai dirigenti e/o dai dipendenti nei confronti dei quali la
Magistratura procede per i reati previsti dalla richiamata normativa;
- i provvedimenti e/o notizie
provenienti da organi di polizia giudiziaria, o da qualsiasi altra autorità, dai
quali si evinca lo svolgimento di indagini, anche nei confronti di ignoti, per
i reati di cui al decreto
231;
- le commissioni di inchiesta o
relazioni interne dalle quali emergano responsabilità per le ipotesi di reato
di cui al decreto 231;
- le notizie relative alla
effettiva attuazione, a tutti i livelli aziendali, del modello organizzativo,
con evidenza dei procedimenti disciplinari svolti e delle eventuali sanzioni
irrogate ovvero dei provvedimenti di archiviazione di tali procedimenti con le
relative motivazioni;
- gli esiti dei controlli -
preventivi e successivi - che sono stati effettuati nel periodo di riferimento,
sugli affidamenti a operatori del mercato, a seguito di gare a livello
nazionale ed europeo, ovvero a trattativa privata;
- gli esiti del monitoraggio e
del controllo già effettuato nel periodo di riferimento, sulle commesse
acquisite da enti pubblici o soggetti che svolgano funzioni di pubblica
utilità”.
E l’Organismo di vigilanza
dovrebbe inoltre “
ricevere copia della
reportistica periodica in materia di salute e sicurezza sul lavoro”.
Pur tuttavia se le informazioni
fornite all’ Organismo
di vigilanza “mirano a consentirgli di migliorare le proprie attività di
pianificazione dei controlli”, “all’OdV
non incombe un obbligo di agire ogni qualvolta vi sia una segnalazione, essendo
rimesso alla sua discrezionalità (e responsabilità) di stabilire in quali casi
attivarsi”.
E, tra l’altro, l’obbligo di
informazione “dovrà essere esteso anche ai
dipendenti
che vengano in possesso di notizie relative alla commissione dei reati, in
specie all’interno dell’ente, ovvero a ‘pratiche’ non in linea con le norme di
comportamento che l’ente è tenuto a emanare (come visto in precedenza)
nell’ambito del Modello disegnato dal decreto 231 (i cd. codici etici)”.
E tale obbligo “rientra nel più ampio dovere di diligenza e obbligo di fedeltà
del prestatore di lavoro di cui agli articoli 2104 e 2105 del codice civile. Di
conseguenza, rientrando in tali doveri, il corretto adempimento all’obbligo di
informazione da parte del prestatore di lavoro non può dar luogo
all’applicazione di sanzioni disciplinari”.
Il documento, che vi invitiamo a
visionare integralmente, si sofferma anche sull’importanza di garantire la
riservatezza a chi segnala le violazioni e alla necessità di misure deterrenti
contro ogni informativa impropria.
Veniamo infine al tema delle
responsabilità dell’Organismo di vigilanza.
Ci possono essere responsabilità
penali in capo all’ Organismo
di vigilanza nel caso di “illeciti commessi in conseguenza del mancato
esercizio del potere di vigilanza sull’attuazione e sul funzionamento del
Modello”?
La fonte di detta responsabilità “potrebbe
essere individuata nell’articolo 40, comma 2, del Codice penale e, dunque, nel
principio in base al quale ‘
non impedire
un evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo’.
Pertanto, l’Organismo di vigilanza potrebbe risultare punibile a titolo di
concorso omissivo nei reati commessi dall’ente, a seguito del mancato esercizio
del potere di vigilanza e controllo sull’attuazione di Modelli organizzativi
allo stesso attribuito”.
Tuttavia in questo caso “
l’obbligo di vigilanza non comporta di per
sé l’obbligo di impedire l’azione illecita. Quest’ultimo obbligo, e la
responsabilità penale che ne deriva ai sensi del citato articolo 40, comma 2,
del codice penale, sussiste solo quando il destinatario è posto nella posizione
di garante del bene giuridico protetto”. E – continuano le linee guida – “dalla
lettura complessiva delle disposizioni che disciplinano l’attività e gli
obblighi dell’Organismo di vigilanza sembra evincersi che ad esso siano
devoluti compiti di controllo in ordine non alla realizzazione dei reati ma al
funzionamento e all’osservanza del Modello, curandone, altresì, l’aggiornamento
e l’eventuale adeguamento ove vi siano modificazioni degli assetti aziendali di
riferimento”.
E una lettura diversa, che
attribuisse in questo caso all’OdV “compiti d’impedimento dei reati”, “mal si
concilierebbe con la sostanziale assenza di poteri impeditivi, giacché
l’Organismo di vigilanza non può neppure modificare di propria iniziativa i
modelli esistenti e assolve, invece, a un compito consultivo dell’organo
dirigente. Peraltro, l’obbligo d’impedire la realizzazione di reati equivarrebbe
ad attribuire compiti e doveri simili a quelli che, nel nostro ordinamento, ha
la polizia giudiziaria”.
E si ricorda, in conclusione, che
la situazione non muta “con riferimento ai delitti colposi realizzati con
violazione delle norme in materia di salute e sicurezza sul lavoro e di tutela
dell’ambiente. Anche in questo caso l’Organismo di vigilanza non ha obblighi di
controllo dell’attività, ma doveri di verifica della idoneità e sufficienza dei
modelli organizzativi a prevenire i reati”.
Confindustria, “ Linee guida per la costruzione dei modelli di organizzazione,
gestione e controllo. Ai sensi del Decreto Legislativo 8 giugno 2001, n. 231”,
Parte Generale, documento aggiornato al mese di marzo 2014 (formato PDF, 1.37
MB).
Confindustria, “ Linee guida per la costruzione dei modelli di organizzazione,
gestione e controllo. Ai sensi del Decreto Legislativo 8 giugno 2001, n. 231”,
Parte Speciale, documento aggiornato al mese di marzo 2014 (formato PDF, 1.39
MB).
Tiziano Menduto
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